Fidel è Fidel

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Considero la necessità che i nuovi poeti abbiano una piena sensibilità del paese di cui sono una parte essenziale, un paese, la loro Patria, liberato dal criminale dominio imperialista che lo vuole aggredire per schiavizzarlo anche più di prima, come ha la spudoratezza di proclamare. La poesia è sempre stata un’arma tradizionale rivoluzionaria del nostro popolo”.

Il poeta Angel Augier 10 anni fa, in la Jiribilla, si espresse in questo modo con quella plasticità di linguaggio che solo i poeti sono capaci d’esporre.

La sua presenza in questo omaggio traccia un parallelo tra la poesia e due uomini la cui relazione va al disopra di quella dei fratelli di sangue, passa giustamente per la bellezza poetica dell’unione di due uomini nella famiglia, in battaglia e nel progetto di un paese.

E più di questo, nel fedele impegno con il loro popolo e l’indiscutibile fede nella vittoria che il maggiore dei due inculcò a tutti.

Come si sa il nostro popolo cita familiarmente “Fidel”, il Comandante in Capo, e “Raúl” il generale d’esercito Raúl Castro Ruz, Ministro delle Forze Armate, con familiarità che non è mancanza di rispetto, ma un tratto d’affetto e di riguardo”, scrisse allora Augier.

E in questo modo leggeremo di Raúl su Fidel.

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Nel libro Así es Fidel, del giornalista Luis Báez,  questi si esprime con questa testimonianza:

Io non ho mai visto nessun’altro – e lo dico riferendomi a fatti concreti – che abbia avuto una volontà così forte di fronte alle maggiori difficoltà come Fidel. Si deve pensare allo sforzo che ha fatto per organizzare un attacco come quello alla caserma Moncada  e pensare a come in poche ore svanirono tanta dedizione, tante speranze e fu versato tanto sangue.
Poi vennero la prigione, l’esilio, l’organizzazione del Granma, la clandestinità e occasionalmente la persecuzione del Messico, “dove certamente violammo alcune leggi, ma non contro questo fraterno paese, ma perché ci stava a cuore la liberazione di Cuba, e poi giungemmo in Patria e tre giorni dopo, in poche ore, vedemmo distruggere di nuovo lo sforzo accumulato e morirono decine di compagni…”
… Quando due settimane dopo, il 18 dicembre del 1956, incontrai  Fidel che si trovava già alle falde della Sierra Maestra, in un luogo chiamato Cinco Palmas, dopo un abbraccio iniziale la sua prima domanda fu “Quanti fucili hai?”  Io risposi che cinque e lui riassunse “E due che ho io fa sette. Adesso sì che vinciamo la guerra!”
Dopo quell’incontro i fratelli non si videro più sino ad un altro 18 dicembre, ma del 1958, esattamente due anni dopo. Questa volta fu a La Rinconada, vicino a Jiguaní, dov’era installato il Quartiere Generale dell’Esercito Ribelle per dirigere l’offensiva finale contro la dittatura batistiana.
Il nuovo incontro fu molto differente:le sette armi e i dodici uomini erano diventati un forte e invincibile esercito del popolo, al punto di coronare il trionfo sulla dittatura di Batista. La scena era l’immagine dell’irremovibile fede nella vittoria di Fidel.
In un’intervista con Mario Vázquez Raña, per l’Organizzazione Editori del Messico (OEM), Raúl commentava:
“Con le scarse forze a disposizione, circa 300 uomini, Fidel impose la sua volontà al nemico, che contava con più di 12.000 uomini ben armati e appoggiati dall’aviazione e gli impedì d’applicare l’offensiva strategica contro il primo fronte della Sierra Maestra, che non solo fu fermata, ma anche smantellata e poi sconfitta alla fine dall’Esercito Ribelle che lui comandava.
Questo permise il passaggio delle nostre forze alla controffensiva generale, la partenza verso occidente delle colonne degli invasori del Che e di Camilo e tutto questo determinò la vittoria della Rivoluzione sei mesi più tardi.
E aggiunse “Conversando con un gruppo dei nostri generali su quella prodezza militare dell’Esercito Ribelle comandato direttamente da Fidel, ricordai la famosa battaglia delle Termopili, nella Grecia antiva che studiai nelgi anni del liceo.
Come racconta la storia, in quello stretto cammino montagnoso,  Leonida, re di Sparta, si trincerò con  i suoi 300 migliori soldati spartani resistendo con fermezza  sino a che restò vivo un combattente di fronte all’ esercito persiano infinitamente più numeroso, comandato dal re Serse I, che alla fine fu sconfitto.
Quell’azione eroica mi ricorda con più forza oggi la gloriosa prodezza del nostro Esercito Ribelle guidato da Fidel in quella battaglia decisiva.
Il 24 febbraio del 2008, quando fu eletto Presidente dei Consigli di Stato e dei Ministri, con molta chiarezza Raúl definì questa rispettosa relazione suo fratello e Capo:
“Assumo la responsabilità che mi si affida con la convinzione che come ho affermato molte volte il Comandante in Capo della Rivoluzione cubana è uno solo.
“Fidel è Fidel, tutti lo sappiamo bene Fidel è insostituibile e il popolo continuerà la sua opera quando non ci sarà più fisicamente.
E saranno sempre presenti le sue idee, che hanno reso possibile creare il bastione di dignità e giustizia che rappresenta il nostro paese.
“Solo il Partito Comunista, garanzia sicura dell’unità della nazione  cubana, può essere un degno erede della fiducia depositata dal popolo nel suo leader.
Questa è la forza dirigente superiore della società e dello Stato, e così stabilisce l’Articolo 5 della nostra Costituzione, approvata nel referendum dal 97.7% dei votanti.
“Sicuro d’esprimere il sentimento del nostro popolo, chiedo a questa Assemblea come organo supremo del potere dello Stato, che per le decisioni di speciale importanza per il futuro della nazione, soprattutto quelle vincolate alla difesa, alla politica estera e allo sviluppo socio-economico del paese. Mi si permetta di continuare a consultare il leader della Rivoluzione, il compagno Fidel Castro Ruz”.

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