Nel carattere del popolo che, il 16 aprile 1961, proclamò la sua Rivoluzione socialista prima di partire per difendere la patria nelle sabbie del Girón, c’è anche l’essenza del Partito che lo conduce fino ad oggi, imbattuto, vittorioso, glorioso, come questa data che, per l’ispirazione di quei giorni, segna anche la fondazione del PCC.
Foto: Ismael Francisco
Più che la gioia, il dolore insegna. Il 16 aprile 1961, Cuba in lutto dava l’addio a sette dei suoi figli caduti sotto le bombe imperialiste, poco più di due anni dopo il trionfo di una Rivoluzione nata per offrire a un popolo sfortunato la chiarezza di una felicità che doveva essere costruita.
Il suo leader stava convincendo, con la forza dei suoi argomenti, una folla che aveva appena visto con i propri occhi lo spargimento di sangue di cui era capace l’imperialismo statunitense, eterno nemico della nuova direzione sociale che l’isola stava prendendo.
Un’invasione armata era la parola d’ordine per distruggere una luce che era minacciosa nella sua essenza, generosa, contraria agli interessi di coloro che non sanno vivere in pace, e vogliono per gli altri umani ciò che non vorrebbero per se stessi. Poi mentirebbero al mondo, perché le fake news e l’uso dei media per falsificare la realtà non è solo una cosa di questi tempi.
Sconvolto dal crimine e dalle nefandezze, Fidel ancora una volta ha messo i puntini sulle i: “noi siamo il contrario“, ha detto loro, ed è stato possibile per la folla capire l’evidenza. Cuba stava lottando per salvare le sue risorse naturali, Cuba si stava aprendo a un nuovo e irreversibile scenario, che non sarebbe venuto gratuitamente, e che avrebbe segnato il suo popolo in modo singolare, educato e guidato da un uomo che il giorno dopo sarebbe stato sul campo di battaglia, offrendo il suo petto, ancora una volta, per difendere la sua patria dall’invasione mercenaria di Playa Girón.
“Quanto sono utili questi eventi per capire, quanto sono utili questi eventi per insegnarci le realtà del mondo“, esclamò, e smontò, una per una, le bugie e le intenzioni del governo imperialista degli Stati Uniti, pronto ad annientare, con la sua forza, il destino intrapreso dall’isola.
Fidel non parlava a un popolo privo di coscienza, destinatario di un discorso incomprensibile. Fidel parlò e il popolo era d’accordo. I fatti lo supportavano, le parole erano sostenute da ogni ora vissuta.
Non era né allarmante né terrificante sentirlo parlare quel giorno di una Rivoluzione socialista. Il popolo cubano non conosceva ancora tutta la dimensione di quella parola, che da allora è stata demonizzata dai nemici storici del progetto sociale cubano, la stessa parola che oggi, nelle parole di Díaz-Canel, “è l’unica spiegazione del fatto che siamo sopravvissuti a quell’assedio feroce e genocida“, che è la frusta del blocco, “senza rinunciare allo sviluppo“, e senza perdere la gioia.
Molto è successo da quel giorno. Siamo testimoni di ciò che abbiamo raggiunto. Siamo parte del nostro socialismo – il più bel progetto di giustizia sociale possibile – costruendo, contribuendo. Nel carattere del popolo infuriato che, il 16 aprile 1961, proclamò la sua Rivoluzione socialista prima di partire per difendere la patria nelle sabbie del Girón, c’è anche l’essenza del Partito che lo ha portato fino ad oggi, imbattuto, vittorioso, glorioso, come questa data che, per l’ispirazione di quei giorni, segna anche la fondazione del PCC.
VIDEO