50 anni fa moriva Malcolm X. Un ricordo del suo storico incontro con Fidel Castro a New York

“Fino a quando lo zio Sam è contro di te, puoi star certo di essere un bravo ragazzo” fu uno dei commenti che fece Malcolm X a Fidel Castro il 19 settembre 1960, quando – per l’unica volta – si incontrarono presso l’Hotel Theresa a Harlem.

Cubadebate|
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare |02/03/2015

“Fino a quando lo zio Sam è contro di te, puoi star certo di essere un bravo ragazzo” fu uno dei commenti che fece Malcolm X a Fidel Castro il 19 settembre 1960, quando – per l’unica volta – si incontrarono presso l’Hotel Theresa a Harlem.

Fidel era venuto a New York per partecipare all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. La Rivoluzione cubana era al potere da poco più di un anno e mezzo, ma l’opposizione del governo degli Stati Uniti per la nuova esperienza era già evidente. Un clima ostile anticubano si era diffuso attraverso la stampa e le dichiarazioni del portavoce del governo degli Stati Uniti. I gestori dei principali alberghi di New York si rifiutavano di accogliere la delegazione cubana. L’unico che offrì i suoi servizi richiese condizioni umilianti.

Con zaino e tuta mimetica, il Primo ministro cubano fece improvvisamente ingresso alle Nazioni Unite affermando la sua volontà di accamparsi nei giardini della sede dell’organizzazione mondiale. Immediatamente si manifestò la solidarietà della comunità latina e afro-americana. La delegazione cubana fu invitata a scendere all’Hotel Theresa, nel cuore di Harlem, quartiere povero della popolazione nera di New York. Tra i coordinatori di questa azione si trovava Malcolm X, allora leader della Nation of Islam.

L’incontro tra i due leader nella stanza occupata da Fidel, fu fraterno e comprese molte riflessioni filosofiche e politiche. Parlarono dei cubani e degli afro-americani, di Lumumba e dell’Africa, del razzismo e della solidarietà. Le parole del Comandante in capo apposero un sigillo sulla ragione che univa i due uomini: “Stiamo lottando per gli oppressi”.

Uno dei giornalisti invitati a questo incontro storico, Ralph D.Matthews scrisse un articolo per il settimanale New York Citizen-Call, pubblicato il 24 settembre 1960. Cubadebate lo riproduce per i suoi lettori.

Nella camera da letto di Fidel

Per incontrare il Primo ministro Fidel Castro dopo il suo arrivo presso l’Hotel Theresa a Harlem, bisognava superare una piccola forza di polizia di New York a guardia del palazzo e diverse guardie di sicurezza statunitensi e cubane. Ma un’ora dopo l’arrivo del leader cubano, Jimmy Booker del quotidiano Amsterdam News, il fotografo Carl Nesfield e io calammo nella tempesta della stanza caraibica per ascoltare lo scambio di idee con il leader musulmano Malcolm X.

Il dottor Castro non voleva perdere tempo con i giornalisti dei quotidiani, ma accettò di vedere due rappresentanti della stampa nera.

Malcolm X era uno dei pochi che poteva entrare perché era da poco stato nominato nel comitato di accoglienza dei dignitari in visita, istituito dal quartiere di Harlem dal Consiglio di quartiere del 28° distretto.

Seguimmo Malcolm e i suoi collaboratori, Joseph e John X, in fondo al corridoio del nono piano, brulicante di fotografi, frustrati per non essere in grado di vedere la barba di Castro e giornalisti respinti dagli agenti di sicurezza.

Passammo il controllo e, uno ad uno, ci lasciarono entrare nella stanza del dottor Castro che si alzò e strinse la mano a ognuno di noi. Sembrava di buon umore. L’accoglienza entusiasta che gli aveva riservato Harlem risuonava nelle sue orecchie.

Castro indossava una mimetica verde militare. Me l’aspettavo trasandata come appariva nelle foto delle riviste. Con mia grande sorpresa, la sua tenuta era stirata, immacolata, impeccabile.

La barba, nella penombra della stanza, era color caffè con qualche sfumatura rossiccia.

Dopo le presentazioni, si sedette in un angolo del letto e chiese a Malcolm X di sederglisi accanto. La conversazione si avviò in un curioso inglese stentato. Noi che eravamo attorno non cogliemmo le prime parole, ma Malcolm rispose: “A causa vostra è sceso il gelo in città ma qui è caldo”.

Il Primo ministro sorrise, annuendo: “Aaah, sì. Anch’io qui sento questo calore”.

Poi il leader musulmano, sempre combattivo, disse: “Penso che troverete che la gente di Harlem non sia così influenzata dalla propaganda del centro città”.

In un inglese esitante, il dottor Castro riprese: “Ammiro questo atteggiamento. So bene come la propaganda può cambiare le persone. La tua gente vive qui ed è costantemente esposta a questa propaganda eppure capisce le cose. E’ molto interessante”.

“Siamo 20 milioni” dichiarò Malcolm, “e ogni giorno capiamo meglio”.

Dalla stanza adiacente entrarono gli altri membri della delegazione del partito di Castro, rendendo ancora più angusto lo spazio. La maggior parte dei cubani fumavano lunghi sigari e quando qualcosa li divertiva, piegavano la testa all’indietro e sbuffavano pennacchi di fumo ridendo.

I gesti che accompagnavano l’eloquio di Castro erano strani. Si toccava le tempie con le dita tese come se per sottolineare qualcosa o batteva il petto come per assicurarsi che fosse ancora lì.

L’interprete tradusse le frase più lunghe di Malcolm X in spagnolo e Castro ascoltò con attenzione, sorridendo educatamente.

Durante la conversazione, il Castro di Cuba e il Malcolm di Harlem spaziarono un un vasto campo filosofico e politico.

Sulla questione dell’accoglienza riservata dall’Hotel Shelbourgne, il dottor Castro disse: “Hanno preso i nostri soldi, 14.000 dollari. Non volevano che venissimo qui. Quando hanno saputo che saremmo venuti lo stesso, hanno voluto che fossimo accompagnati”.

Sulla discriminazione razziale, disse: “Stiamo lottando per gli oppressi”. Alzando una mano chiarì cautamente: “Non intendiamo intervenire nella politica interna del paese”. Tornando sul tema della disuguaglianza razziale, il dottor Castro aggiunse: “Parlerò all’Assemblea (generale dell’Onu)”.

Sull’Africa

“Abbiamo novità su Lumumba?” Malcolm X si aprì in un grande sorriso al nome del leader congolese. Castro alzò la mano: “Cercheremo di difendere (Lumumba) fortemente”.

“Spero che Lumumba soggiornerà qui al Theresa”.

“Ci sono 14 Paesi africani che entreranno all’Assemblea. Siamo latinoamericani. Siamo loro fratelli”.

Sui neri nordamericani

“Castro lotta contro la discriminazione a Cuba e in tutto il mondo”.

“Il nostro popolo sta cambiando. Ora siamo uno dei popoli liberi del mondo”. “Voi siete privati dei vostri diritti e li reclamate”.

“Negli Stati Uniti, i neri hanno una maggiore coscienza politica, una visione più chiara che chiunque”.

Sui rapporti tra Stati Uniti e Cuba

In risposta l’affermazione di Malcolm “Fino a quando lo zio Sam è contro di te, puoi star certo di essere un bravo ragazzo” il dottor Castro rispose: “Non lo zio Sam, ma chi controlla riviste e giornali”.

Sull’Assemblea generale delle Nazioni Unite

“Trarremo una lezione importantissima da questa sessione dell’Assemblea. Accadranno molte cose e la gente avrà un’idea più chiara dei propri diritti”.

Il dottor Castro concluse la sua conversazione, cercando di citare Lincoln: “Si può ingannare una parte del popolo, un momento…”, ma l’inglese lo tradì e alzando le braccia intese: “Sai cosa voglio dire”.
[La citazione è: Si può ingannare una parte del popolo sempre, oppure tutto il popolo per un certo periodo di tempo. Ma non si può ingannare l’intero popolo per sempre, ndr]”

Malcolm, che si era alzato per i saluti, si intrattenne a spiegare ciò che era la sua organizzazione musulmana a un giornalista cubano appena arrivato: “Noi siamo seguaci di Elijah Muhammad, il quale ha detto che possiamo sederci e pregare per più di 400 anni. Ma se vogliamo i nostri diritti ora, bisogna…”. Qui si fermò e sorridendo energicamente concluse: “Bene…”

Castro sorrise. Sorrise di nuovo quando Malcolm raccontò una storia: “Nessuno conosce il suo padrone come chi lo serve. Siamo stati servi da quando siamo arrivati qui. Conosciamo tutti quei particolari… Capisci? Sappiamo tutto quello che farà il padrone prima che lo sappia lui stesso”.

Il leader cubano ascoltò la traduzione in spagnolo e poi reclinò la testa all’indietro, ridendo di cuore, “si”, disse entusiasta, “sì”.

Dopo gli “addii”, abbiamo riattraversato il corridoio affollato, preso l’ascensore che ci ha fatto uscire in strada, dove era ancora riunita una folla.

Un fiume febbrile si riversò nella notte di Harlem al solo grido: “Viva Castro!”


Dalla nota introduttiva dell’Autobiografia di Malcolm X
(BUR, Rizzoli) : http://www.resistenze.org/sito/os/mp/osmpfc04-015927.htm
Pubblicato in Cultura

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