Jair Bolsonaro mette a repentaglio la salute dei brasiliani

Le prime a protestare sono state le autorità locali brasiliane e le organizzazioni dei medici brasiliani, che sanno bene che, senza la fondamentale mano dei cubani, il sistema sanitario del Paese si troverebbe immediatamente al collasso.

Giulio Chinappi

YOUng

21/11/2018

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Il mandato presidenziale di Jair Bolsonaro in Brasile non ha ancora avuto inizio, ma le sue dichiarazioni e quelle di alcuni membri della sua prossima squadra di governo possono già far tremare i brasiliani, in particolare quelli delle classi sociali meno agiate. Se il sessantatreenne paulista dovesse confermare quanto detto in questi giorni, infatti, nel più grande Paese dell’America Latina potrebbe presto aprirsi una vera e propria crisi sanitaria.

Il pomo della discordia riguarda l’attività di assistenza sanitaria, rigorosamente gratuita, offerta dai medici cubani in gran parte del territorio nazionale brasiliano, così come accade in tanti altri Paesi latinoamericani e degli altri continenti. Certo, Cuba fornisce assistenza medica ottenendo in cambio importante risorse dai governi terzi, come materie prime (soprattutto petrolio) o derrate alimentari, ma per le popolazioni locali si tratta di un servizio gratuito e fondamentale, che spesso va a colmare le gravi lacune della sanità locale.

La professionalità e la preparazione dei medici cubani è riconosciuta internazionalmente da parte dei governi dei Paesi assistiti, ma anche di agenzie dell’ONU, come l’UNICEF o l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ma, per un uomo di estrema destra come Bolsonaro, ammettere che il suo Brasile ha bisogno dell’aiuto della piccola isola comunista può risultare forse umiliante, e, così, il prossimo inquilino del Palácio da Alvorada ha deciso di mettere i bastoni fra le ruote ai medici cubani. A riportare la notizia, del resto, non sono state solamente testate orientate a sinistra, ma anche giornali del tutto insospettabili di bolscevismo, come Il Sole 24 Ore, in un articolo firmato da Roberto Da Rin.

In pratica, Bolsonaro ha posto delle condizioni inaccettabili per Cuba circa la continuazione del programma “Mais Médicos” (“più medici”), che, se confermate, costringerebbero il governo de L’Avana a ritirare gli oltre ottomila dottori attualmente presenti in Brasile. Le prime a protestare sono state le autorità locali brasiliane e le organizzazioni dei medici brasiliani, che sanno bene che, senza la fondamentale mano dei cubani, il sistema sanitario del Paese si troverebbe immediatamente al collasso. Secondo i dati riportati dal Consiglio nazionale delle strutture sanitarie municipali (Conasems) e dal Fronte nazionale dei sindaci brasiliani (Fnp), nel 79.5% dei comuni brasiliani (3.243 su 5.570) l’assistenza medica si basa essenzialmente sulla presenza dei dottori cubani, che, in particolare, forniscono il 90% dei servizi sanitari alle popolazioni indigene dell’Amazzonia.

Se confermate, le minacce di Bolsonaro priverebbero di fatto tutte le aree più povere ed impervie del Brasile di assistenza medica, visto che il servizio sanitario pubblico, che oltretutto potrebbe subire pesanti tagli proprio con l’instaurazione del nuovo governo, non è in grado di coprire tutto il gigantesco territorio del Paese.

Come se non bastasse, alle parole del prossimo presidente Jair Bolsonaro si sono aggiunte le dichiarazioni del venturo ministro degli Esteri di Brasilia, Ernesto Araújo, che ha fatto sapere al mondo di essere un “negazionista climatico”, al pari di quelli che imperversano a Washington. Secondo una fantasiosa teoria del complotto, infatti, il riscaldamento globale sarebbe un’invenzione della sinistra marxista per affossare le economie occidentali e promuovere la crescita della Cina. Un personaggio del genere diventerà presto ministro nel Paese che dispone della più grande risorsa di biodiversità del pianeta, la foresta amazzonica. Le affermazioni di Araújo si possono facilmente trovare sul suo blog personale, “metapoliticabrasil”.

Secondo alcuni analisti, infine, il prossimo governo brasiliano sarebbe pronto a ritirare il Paese dagli Accordi di Parigi sul clima, seguendo dunque le orme degli Stati Uniti di Donald Trump. Molti, poi, temono una possibile svendita alle multinazionali statunitensi dell’Amazzonia, il cui disboscamento, che già avanza a ritmi fin troppo serrati, potrebbe risultare in una vera e propria tragedia per l’intero pianeta.

di GIULIO CHINAPPI

Pubblicato in Attualità, Cuba, Internazionale

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