Arnaldo Alberti: il diritto alla difesa, la nostra colpa, che fare?


Non è una occupazione quella della striscia di Gaza e della Palestina, è una riduzione di un popolo intero alla schiavitù.” Arnaldo Alberti

di Arnaldo Alberti
23 agosto 2014

Il popolo ebreo è fatto anche di gente meravigliosa. Ricordo le letture, appena post adolescenziali, del libro “La pesanteur e la grace” di Simone Weil, comunista, una delle donne che ho amato “alla follia”. Una follia che sorge spesso in me quando mi confronto con la spiritualità laica, espressa da un’intelligenza e una sensibilità le cui origini stanno tutte nel mistero. Il caso confonde e dispone spesso in modo incomprensibile gli elementi del sapere, della memoria e dell’esperienza.

Ricordo anche Anna Arendt, un’altra donna ebrea, che con una cortissima frase contenuta in un suo saggio di 300 pagine, mi ha folgorato. La politica, ha scritto l’allieva e l’amante di Heidegger, è fare qualcosa assieme.

È ciò che facciamo noi oggi. Alle due splendide donne, Simone Weil scomparsa nel 1943 e la Arendt nel 1975, accostiamo due ebrei viventi, uomini di notevole spessore: il direttore d’orchestra Barenboint e Moni Ovadia. Anche con la musica e lo spettacolo è fare qualche cosa assieme, è perciò fare politica, nel più alto senso del termine.

È doveroso aggiungere agli irriducibili oppositori della destra israeliana, fascista e razzista, il redattore e i giornalisti del quotidiano Haaretz. Con coraggio mantengono uno spirito liberale e di denuncia per gli atti criminali commessi dal governo di Netanjau e dagli elettori che lo sostengono.

Dopo la luce, abbagliante, diffusa da questi ebrei, entriamo nell’oscurità, in un percorso di assoluta aridità etica e morale.

Aridità e oscurità che si rivela in tutto la sua dimensione di sterile freddezza se solo per un momento rievochiamo il genocidio del popolo ebraico, perpetrato dai nazisti, tuttavia accostato ad altri genocidi di uguale disumanità e dei quali si parla poco, troppo poco, come quello degli armeni o dei nativi delle Americhe.

Allora quando le sofferenze degli ebrei non sono più percepite come isolate e uniche, capiamo come nessun popolo può arrogarsi il privilegio d’essere stato la sola vittima di un genocidio senza precedenti per trarne un beneficio ed agire in modo arbitrario. E qui entra prepotente in questione la nostra responsabilità nell’impostare un gioco di colpa e per una presunta e perversa remissione dei peccati, di giustificazione di atti spietati. Sorge allora il dubbio che noi permettiamo allo Stato di Israele di massacrare i palestinesi ridotti a vittime sacrificate ad un Dio onnipotente che ha uno spazio esorbitante nei libri delle religioni monoteiste.

Abramo è il primo patriarca dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’Islam. Il suo Dio è un dio crudele. Ordina al padre di uccidere Isacco, l’unico figlio già adolescente, distrugge Sodoma e Gomorra e nel 1250 avanti Cristo aiuta gli ebrei a radere al suolo Gerico. Il dio dei cristiani anche lui è configurato in un Olimpo al quale accede dopo essere stato ucciso con metodi disumani. Ancora oggi, sebbene interessi a poche persone, nelle funzioni religiose cattoliche Cristo è rievocato con la presenza rituale del sangue e dell’agnello sacrificale che, grazie al sangue versato, toglie i peccati dal mondo.

Non saremo mai capaci, il nostro inconscio lo impedisce perentoriamente, di spezzare la catena che ci lega a episodi di violenza e ai massacri fintanto che l’empatia, non solo per le vittime ma rivolta anche ai carnefici, ci permette di prender coscienza dello stato di alienazione profonda, di degrado sociale, di disumanità espresso dai seviziatori, essi stessi vittime di un’incapacità dovuta ad uno squilibrio mentale e dell’anima, che corrompe i fondamenti su cui si basano le elementari regole della convivenza civile.

Ma andiamo lontano, a ritroso, nel tempo. Fintanto che la condizione umana non è panoramicamente osservata nella sua storia e su di essa non si medita come condizione d’assieme invece che considerarla episodica e settoriale, nella soluzione dei problemi connessi alla violenza, non si arriva da nessuna parte.

Consideriamo la presenza degli Iloti nell’antica Grecia. Le influenze della classicità sono importanti tanto per la cultura ebraica quanto per quella cristiana. Gli Iloti furono un popolo sottomesso e dominato da Sparta che aveva occupato i loro territori e ridotto i nativi in schiavitù. Da una prima riflessione sommaria rileviamo che per i due milioni di abitanti di Gaza si evita con cura il termine di schiavi. Non ci si rende conto che si manipola il linguaggio. Gli schiavi di Gaza e della Palestina vivono in condizioni peggiori degli Iloti dominati da Sparta nel IX secolo avanti Cristo. Perciò già la storia della classicità è insegnata e recepita in modo parziale e fazioso. Per poter riusare i concetti culturali quali giustificazioni di comportamenti aberranti si tolgono elementi decisivi per una critica etica e morale che attende ancora d’essere fatta.

Non è una occupazione quella della striscia di Gaza e della Palestina, è una riduzione di un popolo intero alla schiavitù. Due elementi importanti lo confermano: il primo è la possibilità di uccidere impunemente un palestinese da parte di un esercito, di una marina e di un’arma aerea di uno Stato confessionale indegno di chiamarsi democratico e l’altro è la distruzione gratuita di edifici in previsione di vendere cemento e fare un profitto per ricostruirli. Gli schiavi di Gaza, ricostruendo, e le organizzazioni internazionali che pagano il cemento favorendo un ottimo profitto per Israele, sono due volte vittime: prima dei massacri e delle distruzioni poi dell’onere della ricostruzione regolata dall’occupante.

Un profitto massimizzato quello ottenuto dallo Stato sionista. È taciuto il fatto che le vittime sono considerate danni collaterali al profitto e l’aggressione lo incrementa per il bisogno costante ed ossessivo dell’aggressore di avere armi. Gli Stati Uniti versano ad Israele oltre due miliardi di dollari che tornano negli USA per pagare gli armamenti. Lo stesso gioco con l’Egitto. Al potere vi è un generale, anche lui sanguinario e golpista, sostenuto dalla CIA, che spudoratamente oggi si offre come mediatore fra Hamas e Israele.

Le stragi a Gaza cesserebbero immediatamente se Obama interrompe il flusso di miliardi di dollari verso il Medio Oriente e il riflusso degli stessi dollari negli USA a profitto degli azionisti dell’industria bellica di una potenza che da cinquant’anni le guerre le ha perse tutte e frustrata ha sostituito il combattimento sul terreno con la viltà dell’omicidio mirato a distanza usando i droni. La rovina prossima degli Stati Uniti, trascinati nel baratro da un alleato che umilia regolarmente quella che fu una grande potenza, cosciente della debolezza morale di una nazione il cui pensiero politico dominante, invece che su dei valori, si basa sul principio d’ottenere il massimo profitto. L’avere è preferito all’essere e l’economia, oggi e ovunque, domina la politica. Con la globalizzazione il dominio degli USA si è esteso a gran parte del pianeta.

Il diritto di Israele alla difesa del suo Stato e di un territorio che non è suo (la terra su cui siamo di passaggio ci è concessa in prestito per un brevissimo periodo) viene ossessivamente ripetuto da un uomo, come Kerry, nel cui sguardo e nel modo di porsi si legge tutta l’insicurezza della precarietà e dell’ambiguità di una storia che ha alle spalle e che dovrebbe sostenere un disegno politico di egemonia planetaria. John Kerry sa che il territorio degli USA è stato “difeso” sopprimendo un popolo dei nativi indiani e richiudendo i resti nelle riserve. Il modello usato per la creazione di uno Stato nel XIIX secolo nel Nordamerica, il cui destino è quello di diventare egemone nel XX secolo è per Israele esemplare. Prima i sionisti colonizzano e ammazzano, poi creano le riserve per metterci i sopravvissuti, come oggi è Gaza o in futuro sarà lo Stato della Palestina se si attua la sciagurata soluzione dei due Stati.
Il sionismo è per il popolo ebraico una trappola mortale. Il carnefice, che con un’assenza del senso del ragionevole sfoggia la bandiera con la stella di Davide quando con i blindati va ad ammazzare proprio Davide, è prigioniero della sua vittima. Uno Stato non ha futuro quando già tradisce il mito che ne determina l’esistenza. Davide appartiene a tutti i popoli e a tutte le culture. I personaggi mitologici sono come l’aria che si respira per non soffocare.

L’umiliante accondiscendenza dell’Europa è responsabile delle stragi a Gaza. Intanto che nella striscia si cannoneggiavano le scuole dell’ONU a Bruxelle si discutevano le sanzioni da applicare nei confronti della Russia. Nessuno ha osato proporre una sanzione per fermare Israele. Nemmeno la Svizzera ha manifestato l’intenzione di voler rinunciare all’acquisto dei droni, la cui efficacia è stata testata in questi giorni nel massacrare donne e bambini inermi.

Che fare? È la nostra coscienza, libera e indipendente che dovrebbe suggerircelo dopo una riflessione profonda sulla condizione di miseria morale ed etica in cui vivono oggi l’uomo e la donna nei paesi chiamati spudoratamente avanzati. Il nostro grado di civiltà regredisce in rapporto diretto all’aumento di ricchezza e di benessere materiale ottenuti grazie alle scorrerie dei grandi predatori. È una legge implacabile: il potere supportato dal desiderio di possesso sfrenato di denaro sopprime ogni sentimento di solidarietà col debole, cancella il buon senso comune di pietà e di giustizia sociale.

Solo il ritorno al buon senso comune, ispirato ai valori di libertà, di uguaglianza e di solidarietà può salvarci da future catastrofi ed evitare nuovi eccidi nella regione ed altrove. È necessario e urgente sostituire la ragione ai deliri dei profeti trascritti nei libri sacri, il dubbio ai dogmi imposti dalla fede.

Perciò per i territori oggi separati di Israele e della Palestina la sola soluzione, sul modello proposto da Mandela, è la creazione di un unico Stato laico, fondato invece che sui privilegi di razza, di appartenenza religiosa e di censo su basi e valori illuministi da proporre come esempio per una nuova configurazione politica dell’immensa estensione di territorio mediorientale, spezzettato negli Stati postcoloniali in cui vivono un miliardo di genti islamiche.

Arnaldo Alberti

a.alberti@bluewin.ch

Pubblicato in Cultura

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