“Come sono diventato un rivoluzionario e internazionalista”. Intervista a Andre Vltchek, a un mese dalla sua misteriosa morte in Turchia

Ad un mese esatto dalla scomparsa di Andre Vltchek, pubblichiamo una sua intervista del 2018. Restiamo in attesa di eventuali chiarimenti sulla sua morte improvvisa avvenuta a Istambul, poco dopo l’arrivo in città. Avevamo dato qui la notizia

di Binu Mathew*
Fonte originale + FOTO:  Countercurrents.org/
Titolo originale: How I Became A Revolutionary And Internationalist: Andre Vltchek

TraduzioneTHINGS CHANGE

"Non si trattava solo di rifiutare gli USA; rifiutavo l’occidente, principalmente l’Europa. Vedo e ho sempre visto l’Europa come la radice dei problemi (e orrori) che il mondo subisce. Gli USA sono solo la prole dell’Europa. Una versione volgare e muscolare. Ma la vera essenza malvagia di tale piano colonialista occidentale globale, proviene dall’Europa."

Un giovane Andre Vltchek con Eduardo Galeano


"Vado sempre a Cuba, periodicamente, perché è la mia casa intellettuale ed emotiva."

BM (Binu Mathew): Sei uno dei principali critici dell’imperialismo. Puoi dirci come lo sei diventato? Ci puoi raccontare dei tuoi anni di formazione?

AV (Andre Vltchek): Anni di formazione … Ce ne sono stati molti, e in realtà, sento che ancora evolvo, finora. Le persone lo fanno sempre, credo e spero. Sono nato nell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, nella città incredibilmente bella di Leningrado, costruita dal folle Pietro il Grande e da pochi non meno folli architetti italiani e francesi, sulle rive dell’ampio e potente Neva, proprio vicino le paludi infestate dalle zanzare. Non ci ho vissuto a lungo, solo tre anni, ma la città è sempre rimasta in me.
Mia madre è metà russa e metà cinese, mentre mio padre è ceco, scienziato. All’età di tre anni fui portato nella noiosa città industriale di Pilsen (Plzen) in quella che allora era la Cecoslovacchia; una città nota anche per la birra e la vicinanza alla Baviera.
Mio padre appartiene alla vecchia generazione di scienziati che credevano di poter cambiare e migliorare il mondo. Amava la musica classica, la filosofia, la letteratura e il buon vino: per lui tutto questo era inseparabile dai programmi scientifici, dal sogno e dall’immaginazione. Mi spiegò la Teoria della Relatività di Einstein quando avevo 8 anni, e mi insegnò a giocare a scacchi e a pensare in modo logico.
Mia madre era solo una bambina quando scoppiò la seconda guerra mondiale. Metà della mia famiglia morì durante l’assedio di Leningrado, affamata e bombardata dai nazisti. In realtà è quasi morta di fame. Mia nonna combatté i tedeschi, fu decorata per il coraggio: aiutò a difendere e poi a ricostruire la sua amata città. Suo marito, mio nonno, era un comunista, ministro del governo sovietico e cinese del Kazakistan. Ricoprì incarichi ministeriali per la ricerca medica e l’approvvigionamento alimentare. Fu denunciato come spia giapponese prima della guerra (durante il periodo in cui la rete di spionaggio tedesca riuscì a infiltrarsi nella rete di comunicazione dell’intelligence sovietica e fornì letteralmente informazioni false alla leadership sovietica, indebolendola prima di quella guerra). Mio nonno fu giustiziato. Poi, “riabilitato” postumo, quando la verità emerse infine. Era l’amore della vita di mia nonna; non si risposò mai più.
Perché ti dico questo, Binu? Perché i miei anni formativi iniziarono quando avevo 3 anni. La mia famiglia si separò. Mia nonna e mia madre mi istruivano come un sovietico, sulla grande letteratura russa, musica, poesia. Ogni anno venivo mandato per 2-3 mesi a Leningrado, da mia nonna, e lei mi viziava trascinandomi ai teatri d’opera, ai concerti, ai musei. Amavo e mi mancava enormemente la Russia, vivendo la maggior parte dell’anno in una Cecoslovacchia emotivamente fredda e pragmatica. Entrambe, madre e nonna, non hanno mai cercato di risparmiarmi dagli orrori a cui sopravvissero in guerra. Ho vissuto le loro storie durante l’Assedio della città. Mia madre mi leggeva spesso poesie russe e piangeva. Le mancavano il suo Paese e la sua città, tremendamente. Era terrorizzata dalla guerra, anche dopo tanti anni dalla fine. Mi mancava anche Leningrado. E’ così ancora. Poi arrivò il 1968 e io avevo appena 5 anni. Da allora non ci fu infanzia.
Sin dal primo anno di scuola elementare, la mia vita fu un’enorme battaglia per la sopravvivenza. Tra una lezione e l’altra, diversi ragazzi venivano e mi picchiavano senza tante cerimonie, solo per avere la madre russa. Prima, soffrì in silenzio. Poi iniziai a reagire. Sai quanto sono razzisti gli europei. Fui costantemente attaccato non solo perché mia madre era “russa”; ma principalmente perché aveva tratti asiatici. Ricordo ancora quel discorso: “Guarda le tue disgustose orecchie asiatiche, merda”. Quando giocavo a badminton in palestra, i bambini mi pisciavano nelle scarpe durante l’inverno e l’urina diventava ghiaccio.
I miei genitori divorziarono. Il loro matrimonio crollò. Ma anche le loro idee politiche erano diverse. Mio padre lasciò il Partito Comunista della Cecoslovacchia. Da quando avevo 5 anni ricevevo due interpretazioni totalmente diverse degli eventi politici da diversi individui intellettuali e brillanti della mia famiglia. Dovevo decidere cosa fosse giusto e cosa sbagliato. Distrussero la mia infanzia, ma fecero di me uno scrittore duro, in tenera età. Non li ho mai perdonati. Allo stesso tempo, gli sono molto grato. Ma soprattutto a mia nonna, scomparsa circa 20 anni fa. Mi manca e la ammiro sempre di più.

BM: Sei diventato un cittadino nordamericano da adolescente. Puoi parlarci della politica che c’è dietro?

AV: Per essere precisi, diventai cittadino statunitense quando avevo 20 anni. Ma lasciai la Cecoslovacchia, col passaporto sovietico, quando ero molto giovane. Guarda, questa è una storia molto lunga, e la racconto spesso, in forma abbreviata, ma lasciatemi provare qui a spiegarla in dettaglio: nella mia tarda adolescenza, finalmente ho “ceduto”. In qualche modo era “troppo”: il mio background familiare, la mia infanzia incasinata e tutta quella sporcizia e mancanza di sincerità intorno a me.
I cechi odiavano i russi/sovietici, ma allo stesso tempo collaboravano spudoratamente col sistema. Lo furono sempre: coll’Impero austro-ungarico, coi nazisti e ora coll’occidente. Si sono lamentati per tutta la loro storia moderna, ma hanno servito tutti coloro che erano al potere. E vivevano sempre estremamente bene. Sotto il “comunismo” avevano i loro confortevoli appartamenti, case estive, automobili. Quando crebbi, niente era “sacro”. La gente faceva battute volgari su tutto, nessuna donna era “fuori portata”, le orge nelle bevute erano eccessive. Immagino che da giovane scrittore, desiderassi almeno un po’ di purezza. Anch’io mi attaccai alla bottiglia. Fumavo due pacchetti al giorno. Frequentando una scuola secondaria d’élite, il mio “essere diverso” improvvisamente fu una risorsa. Potevo avere quasi tutte le ragazze che volevo. Ma tutto andava, in qualche modo, nella direzione sbagliata.
Iniziai ad ascoltare la propaganda occidentale. A Pilsen era dappertutto: nelle onde corte alla radio, negli spettacoli televisivi provenienti dalla Germania occidentale e dal samizdat (letteratura “proibita”, propaganda occidentale copiata con le fotocopiatrici negli uffici governativi, fuori orario). Iniziai ad ascoltare Voice of America, Radio Free Europe, BBC in inglese, russo e ceco. Fui completamente sottoposto al lavaggio del cervello nell’accettare la narrativa occidentale ufficiale sugli “eventi del 1968”. Mi fu fatto il lavaggio del cervello vedendo il coinvolgimento sovietico in Afghanistan come “crimine”.
Il divorzio dei miei genitori significò che, sin dalla tenera età, ero libero di fare praticamente ciò che desideravo. Viaggiavo con pochi soldi, in treno, in Europa orientale, dai Balcani alla Polonia, da solo. Penso di aver iniziato quando avevo 15 anni. Mi trovai una ragazza in Polonia, membro di “Solidarnosc”. Facemmo un paio di viaggi a Danzica durante le proteste. Mi sentivo un grande dissidente, scrivendo poesie erotiche/rivoluzionarie, come corrispondente della BBC. Non mi importava molto dello studio. Quando avevo bisogno di soldi, facevo traduzioni, poiché parlavo correntemente diverse lingue. Guardando indietro, ero troppo giovane per tutto questo; certo lo ero. Ma di nuovo, come ho detto prima, non ebbi un’infanzia e alcun senso di appartenenza; né una patria. La mia vita non aveva una struttura. Non cercai di essere diverso; ero diverso, soprattutto a causa delle circostanze.
Ai tempi pensavo di essere un comunista, ma “riformista”. In effetti, ero sempre più profondamente influenzato dalla propaganda occidentale e perdevo la cognizione. Andando avanti, inviai il mio primo libro di poesie in occidente e ad un certo punto mi fu ordinato di lasciare il Paese. Dopotutto, avevo la cittadinanza sovietica e le autorità cecoslovacche mi consideravano imbarazzante: non avevano idea di cosa farne di me. Dopo un drammatico viaggio in autostop in mezza Europa, trascorsi del tempo in Italia e poi, molto rapidamente, ottenni asilo politico e andai a New York.
Studiai cinema. Lavorai contemporaneamente come interprete. La mia prima moglie era una concertista di grande talento di Houston.
Fin dall’inizio, capì di essere stato indottrinato e che la realtà dell’occidente era totalmente diversa da quella che vedevo dai suoi media di propaganda.
Ero circondato da altri studenti della Film School of Colombia University, quando avvenne il primo attacco alla Libia. Mi fu prontamente spiegato cosa succedeva. Mentre dall’East Campus della Columbia University potei vedere, di notte, gli incendi che bruciavano Harlem. Fu prima che Harlem divenne un quartiere della classe media, prima che i poveri fossero scacciati. Era la vera Harlem. Andavo sempre lì, in un vecchio jazz club chiamato Baby Grand, a bere con la gente del posto, imparando a conoscerne la vita.

BM: Cosa ti ha spinto a uscire dalla tana del diavolo, dagli Stati Uniti e a schierarti dalla parte del popolo? Perché hai scelto una strada difficile?

AV: In quegli anni vidi la vera America. Viaggiai molto, ma soprattutto mi fu permesso di vedere cosa fosse questo “meraviglioso” capitalismo.
La mia prima moglie proveniva da una famiglia molto ricca. Erano nel business del petrolio. Se l’avessi scelto, avrei potuto avere qualsiasi cosa potessi chiedere. Non lo feci mai. Ma vidi chiaramente come funziona quel mondo. Sai, pochi anni prima, i loro vicini avevano avuto Lady D come ragazza alla pari. Roba del genere… Non ero ancora pronto per fare film. Scrissi il mio primo romanzo, in ceco, e iniziai a “fare soldi” anche come interprete. Ed è allora che “vidi tutto”. Sai, erano anni in cui l’Unione Sovietica crollava e l’occidente praticamente cercava di saccheggiare tutto. Ero presente ai negoziati, quando intere centrali telefoniche delle principali città sovietiche furono “privatizzate”’, o quando le orgogliose navi scientifiche sovietiche rottamate a compagnie alimentari multinazionali, in modo che potessero aiutare a pescare aragoste di acque profonde al largo del Cile e del Perù.
Traducevo e quindi ero presente a riunioni a porte chiuse. Non avrei mai immaginato che potesse esistere tale cinismo e tale degenerazione morale. Era il capitalismo nudo. Le repubbliche ex-sovietiche, ma anche l’ex- Cecoslovacchia, furono spogliate. E vidi ciò che nessuno avrebbe dovuto vedere. Pagavano bene l’interpretazione ad alto livello. Ai tempi, la paga era tra 500 e 1000 dollari al giorno, più le spese. Ma anche “solo” interpretando mi sentivo sporco, disgustato di me stesso e del mondo. Mi sentivo depresso, suicida. Non vedevo alcun significato nel continuare tale esistenza. Volevo correre. Dovevo correre. Alla fine, corsi.
Mi separai da mia moglie. Mollai tutto. E me ne andai senza quasi niente (non c’è modo di salvare nulla a New York, qualunque sia il tuo reddito), in Perù. E il Perù, ai tempi, durante la cosiddetta “Guerra Sporca”, era definito da molti “il posto più triste della Terra”. Era un posto veramente distrutto, senza speranza, pericoloso ed estremamente duro. Bruciai i ponti dietro di me. Avevo bisogno di un nuovo inizio. Ho sempre detto che, nonostante tutto, ero un comunista. Questo era il momento di dimostrarlo. Era il momento di dimostrare che avevo ancora spina dorsale e palle e il cuore dove dovrebbe essere, a sinistra.

BM: Come hai fatto dopo aver rifiutato gli USA e la loro politica? Come sei sopravvissuto? Deve essere stata una lotta!

AV: Prima fu dura; molto dura. Ma ho sempre creduto di poter scrivere e fare film e di poterlo fare bene. Ma vedi, le mie decisioni furono prese per “motivi morali”. Non rifiutai il sistema occidentale e il suo imperialismo perché “non potevo farcela”. Al contrario: io ‘ce l’ho fatta lì’, ce l’ho fatta ‘troppo; troppo alla grande’. Avevo tutto ciò che la maggior parte degli immigrati si sogna, e molto, molto di più. Ma precisamente, ciò che gli altri desideravano mi fece star male e mi disgustò.
Non si trattava solo di rifiutare gli USA; rifiutavo l’occidente, principalmente l’Europa. Vedo e ho sempre visto l’Europa come la radice dei problemi (e orrori) che il mondo subisce. Gli USA sono solo la prole dell’Europa. Una versione volgare e muscolare. Ma la vera essenza malvagia di tale piano colonialista occidentale globale, proviene dall’Europa.
Anche i crimini peggiori commessi sul territorio degli Stati Uniti furono commessi dalla prima e dalla seconda generazione di europei: l’olocausto degli indigeni e l’introduzione della schiavitù. Puoi vederne chiaramente il piano anche oggi: quasi tutta la propaganda anti-russa è definita e prodotta nel Regno Unito. Lo stesso vale per l’intera narrativa neocolonialista.
Ma torniamo alla tua domanda e alle mie difficoltà mentre combattevo l’imperialismo occidentale: non ho mai visto la mia scelta come sacrificio. È un grande privilegio, un onore, combattere l’occidente colonialista. L’affronto, in particolare la sua narrativa sul lavaggio del cervello, in tutti i continenti e in tutti gli angoli del mondo. È una grande lotta e mi piace combatterla. Spesso mi sento tradito, persino abbandonato, da alcuni miei compagni (anche se mai da persone come te, Binu), a volte cedo per sfinimento o infortunio. Ma non mi pento mai di aver intrapreso questa strada. È mio obbligo lottare per un mondo socialista migliore. Non lo vedo mai come un sacrificio.

BM: Quale fu il tuo primo progetto antimperialista dopo essere uscito dall’impero?

AV: Come ho detto prima: Perù. Ma il Perù non era solo il Perù. Ho anche lavorato intensamente nelle “vicinanze”: in Bolivia, Ecuador e nel Cile post-Pinochet. Capì subito e iniziai a descrivere cosa fu fatto ai nativi dell’America Latina. Ho visto e capito che la ricchezza dell’occidente si basa sul saccheggio degli altri. Capì quanto siano straordinarie le culture “precolombiane” delle Americhe.

BM: Hai lavorato a lungo in America Latina. Puoi parlarci del lavoro che vi hai svolto?

AV: Ho fatto parecchio lì, fondamentalmente in tutti i Paesi di lingua spagnola, più Brasile e Caraibi. Tra le altre questioni, seguì le guerre in Perù e Colombia, ma soprattutto le grandi lotte rivoluzionarie in Venezuela, Bolivia ed Ecuador. Vado sempre a Cuba, periodicamente, perché è la mia casa intellettuale ed emotiva. Ho scritto molto sul Brasile di Lula e Dilma, attraversando l’enorme Paese. Ho parlato degli “Archivi degli orrori” lasciati dalla dittatura di Strossner in Paraguay. Ho lavorato col grande scrittore uruguaiano Eduardo Galeano, autore delle “Vene aperte dell’America Latina”, e in Cile, denunciando la colonia nazista tedesca “Colonia Dignidad”. Scrissi delle orribili bande in Guatemala, El Salvador e Honduras, e delle conseguenze dell’attacco nordamericano a Panama, in particolare alla città di Colon. Passai molto tempo in Messico… La mia ultima visita fu nel settembre 2018, dopo che AMLO vinse le elezioni e i messicani avevano scelto il primo governo di sinistra dopo decenni. Per tre settimane girai nel Paese, da Tijuana a Merida, nello Yucatan. Complessivamente, passai circa 5 anni in America Latina.

BM: Hai lavorato duramente anche in Africa. Puoi parlarci del lavoro che vi hai fatto?

AV: Questo è il continente più segnato sulla Terra. Il mondo intero ha subito l’imperialismo e il saccheggio occidentale, ma l’Africa è “unica”, perché in alcun altro posto nella storia moderna, la brutalità degli occidentali raggiunse il culmine. Beh, forse con l’eccezione del sud-est asiatico.
Giravo per un canale televisivo latinoamericano Telesur negli slum peggiori del Kenya e dell’Uganda. Produssi un documentario sul mostruoso campo di Dadaab, costruito per i rifugiati somali nel deserto. E ho prodotto e diretto il mio grande documentario di 90 minuti “Rwanda Gambit”, su come l’occidente ideò una narrativa assolutamente falsa sul genocidio in Ruanda e su come tace su uno dei genocidi più mostruosi di sempre, quello nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), dove Ruanda e Uganda, a nome dell’occidente, hanno completamente spogliato questa nazione ricca di minerali. La RDC ha tutto: dal coltan all’uranio, dall’oro ai diamanti. Dall’invasione del Ruanda sono già morti circa 9 milioni di congolesi.

BM: Penso che tu abbia una storia d’amore con l’Asia. Vivevi per anni in Asia e lavoravi per l’Asia, specialmente in Indonesia. Come è avvenuto questo?

AV: L’Asia è casa mia. Sono asiatico culturalmente e parte del mio sangue lo è. Amo la Cina, ma mi sento anche molto a mio agio in Giappone e altri Paesi.
L’Indonesia non ne è sicuramente parte. Non ci vivo, non potrei mai farlo; preferirei morire. Ne sono così inorridito, che ne scrivo spesso e faccio film. Lo faccio come monito al mondo. Vado in Indonesia per motivi del tutto opposti all’amore : dal 1965, questo 4° popoloso Paese del mondo, divenne un grande laboratorio dell’occidente. L’Indonesia non è un Paese, è un “concetto”. Prima del 1965, sotto il presidente di sinistra antimperialista Sukarno, l’Indonesia era un paese Progressista, culla del movimento dei non allineati. Tutte le risorse naturali furono nazionalizzate.
L’occidente rovesciò Sukarno nel più sanguinoso colpo di Stato del 20° secolo. Furono massacrate 1-3 milioni di persone e i fiumi furono ostruiti da cadaveri: aderenti del Partito Comunista (PKI), intellettuali, insegnanti, sindacalisti. Io la chiamo “Hiroshima intellettuale”. L’occidente suggerì che tutti i teatri e gli studi cinematografici fossero chiusi, che le lingue cinese e russa fossero bandite insieme all’ideologia comunista. Quasi tutti gli scrittori e i pittori furono imprigionati nel campo di concentramento di Buru. Vi furono stupri di massa in tutto l’arcipelago. Pensate che il popolo fu ucciso o messo a tacere per sempre. Invece, furono iniettati e promossi il pop a buon mercato, film di Hollywood e cibo spazzatura. In molti modi, la cultura indonesiana cessò di esistere e la sua diversità fu uccisa.
L’Indonesia commise, col grande aiuto dell’occidente, tre genocidi in poco più di metà del secolo: il genocidio del 1965, poi a Timor orientale e ora genocidio nella Papua occidentale. La nazione divenne estremamente religiosa, oppressiva e dogmatica. Allo stesso tempo, tale nazione di ben oltre 300 milioni (le statistiche ufficiali mentono, mettendo il numero di persone intorno ai 250 milioni) non ha scrittori, registi, pensatori o scienziati. Tutti pensano allo stesso modo, “suppongono di pensare”: amano il capitalismo, odiano i comunisti, vedono la distruzione delle proprie risorse naturali come “progresso”, ascoltano tutti la stessa vecchia musica pop occidentale, guardano le peggiori produzioni di Hollywood e pessimi film horror locali, ed hanno il minor numero di libri letti procapite.
Provo a spiegare, ad analizzare cosa vi successe. Giro contemporaneamente due grandi documentari: uno sulla distruzione totale della natura nella terza isola più grande della terra, il Borneo (conosciuta in Indonesia come Kalimantan), e sul crollo di Giacarta, che ora è la più inquinata e forse una delle grandi città più “invivibili” sulla terra. Certo, lo faccio senza alcun finanziamento, poiché in occidente e nel Sudest asiatico, l’Indonesia è “intoccabile”. Fa esattamente ciò che l’occidente vuole: sacrifica centinaia di milioni di persone, così come la sua natura, in modo che la popolazione occidentale possa prosperare. Pertanto, non viene quasi mai criticato. Quindi si tratta dell’Indonesia.
Amo l’Asia, soprattutto, ed è casa mia; in particolare l’Asia settentrionale. Cina, Giappone, Corea e “Estremo Oriente” russo.
Il sud-est asiatico è una storia completamente diversa. È una potente “storia oscura” che continuo a documentare. Ha sofferto mostruosamente negli ultimi 60 anni: Vietnam, Laos, Cambogia, Timor Est, Papua Occidentale, Indonesia, persino Thailandia. Ha sofferto proprio a causa dell’imperialismo occidentale. Ma le persone erano condizionate a non vedere, a non capire cosa gli veniva fatto. Pertanto, ci lavoro, scrivendo libri e facendo film. Qualcuno deve…

BM: Sei anche un corrispondente di guerra. Devi aver avuto molti eventi memorabili da corrispondente di guerra. Qualcosa di particolare che vorresti condividere con noi?

AV: Sì. Ma la guerra è ovunque, non solo in quei pochi luoghi in cui è ufficialmente riconosciuta. Ovviamente lavoro in Afghanistan, Siria, Iraq. Ma lavoro anche in Kashmir, o nei bassifondi peggiori dell’Africa, nelle terre delle bande del Centro America, o a Gaza. Anche queste sono zone di guerra.
La guerra è dove la giustizia, compresa la giustizia sociale, è crollata; distrutta. Sono pienamente d’accordo con quanto scrisse una volta Hemingway: “Ci sono due tipi di scrittori: quelli che sono andati in guerra e quelli che ne sono invidiosi”. Poiché la guerra esiste quasi ovunque, uno scrittore che non la tocca è un bugiardo. La guerra è la realtà. È terribile, ma quando si combatte per la giustizia e la libertà, è molto meglio della falsa pace creata dai colonialisti occidentali. In questo tipo di “pace” sono presenti tutti gli indicatori di salute e aspettativa di vita da zona di guerra. Stupro, ferite… tutto come in una zona di guerra. I propagandisti occidentali hanno creato un “culto della pace” molto pericoloso. Per l’occidente, la pace è quando il Paese sacrifica completamente le sue risorse naturali e il suo popolo ai profitti delle aziende e dei cittadini occidentali, ma la popolazione è sottomessa, rassegnata. Spesso e molto correttamente dicono in America Latina: niente giustizia, niente pace!

BM: Hai lavorato con Noam Chomsky su un libro e un documentario. Puoi raccontare qualcosa di quest’uomo leggendario? Qualche segreto su Chomsky, la persona?

AV: Noam ama le rose. E il buon vino. Ed è, in sostanza, molto gentile, dal grande senso dell’umorismo. È un peccato che ultimamente non siamo d’accordo: su Russia, Siria e Cina, ad esempio. Ma rispetto la maggior parte del suo lavoro, e devo dire che ha fatto molto, davvero molto, per la nostra umanità e per questo pianeta.

BM: Noam Chomsky ha detto del tuo libro Oceania, ha evocato “la realtà del mondo contemporaneo. Non ha mancato inoltre di ricondurre a realtà dolorose, in particolare per l’occidente, le vergognose loro radici storiche”. Eventuali commenti?

AV: Noam ha gentilmente appoggiato molti dei miei libri e ha persino scritto delle prefazioni. Quando si tratta dei testi di Noam su quelle che chiamate “realtà dalle vergognose radici storiche”, è particolarmente potente quando descrive la conquista del “Nuovo Mondo”, specialmente quella che ora è chiamata America Latina, ma anche Stati Uniti e Canada. Credo che i suoi scritti su questi argomenti abbiano aperto gli occhi a milioni di persone in tutto il mondo.

BM: Scrivi molti libri di storia, politica contemporanea, filosofia, narrativa, ecc. Qual è il tuo libro più apprezzato?

AV: Il libro più acclamato dalla critica è il mio romanzo rivoluzionario Point of No Return. Ha ottenuto anche recensioni super positive dai critici più temuti di Le Monde, Le Figaro e Paris Match. Ma anche un grande successo è stato il mio Exposing Lies of the Empire di 840 pagine, un libro che raccoglie il mio lavoro investigativo in tutti i continenti, dove l’imperialismo deruba, distrugge e manipola i popoli. È scritto con uno stile totalmente nuovo, sperimentale ma molto ben accolto dai lettori: tra romanzo e finzione politica, tra filosofia e giornalismo. Ovviamente, il mio libro con Noam Chomsky sul terrorismo occidentale è andato molto bene e tradotto in circa 35 lingue (…in realtà ne ho perso il conto).

BM: Sei anche un regista di documentari. Come fai a passare dall’essere autore a regista così facilmente?

AV: In realtà è solo una grande lotta all’imperialismo occidentale, e per i giorni luminosi del comunismo globale, no? Il mio lavoro è un enorme mosaico e una grande battaglia. Uso armi diverse, poiché uso vari modi per esprimermi. Può essere attraverso romanzi, giornalismo investigativo, filosofia, libri di saggistica, film, fotografie, ma anche interviste che do costantemente, o parlando in pubblico o nelle principali università.

BM: Hai viaggiato in 160 Paesi. In quale paese preferirai risiedere dopo la pensione? Ovviamente so che sei il tipo di combattente che non pensa nemmeno alla pensione.

AV: Hai ragione: non andrò mai in pensione, sarebbe la mia fine. La mia storia è la mia vita; e il mio viaggio è la mia storia. La rivoluzione è chiamata “processo”, in molti Paesi dell’America Latina. È un viaggio continuo: non può mai finire. Se uno è stanco di questo viaggio, è stanco di questo mondo e della vita stessa.
Su dove vivere, se potessi scegliere? Saresti sorpreso, poiché non avrebbe nulla a che fare con la mia lotta rivoluzionaria: Beh, non necessariamente, perché uno dei Paesi sarebbe la mia amata Cuba.
Un altro è il Giappone. Ma vivo lì da molti, molti anni. O più precisamente, è uno dei Paesi in cui ho vissuto, una delle mie “basi” finora. Certo, il Giappone ha una politica estera assolutamente spaventosa, ma ammiro la sua cultura, la sua natura, la poesia, la letteratura, il cinema, il cibo. Viaggio in tutti i suoi angoli, mi sento al sicuro e scrivo bene quando sono lì. E il Cile. Vi ho vissuto, in diverse occasioni, circa 4 anni. E ancora: il Cile ha una natura meravigliosa, una cultura profonda, un’incredibile poesia, letteratura, cibo e vino eccellenti.

BM: Dato che hai viaggiato in tutto il mondo, quale Paese pensi faccia il meglio per i suoi cittadini?

AV: In realtà ci sono due domande nascoste nella tua domanda. Primo: quale Paese fa il meglio per i suoi cittadini, a scapito dei Paesi saccheggiati e colonizzati? La risposta a questa sarebbe: decisamente quasi tutta l’Europa. Secondo: quale Paese fa il meglio per i suoi cittadini senza saccheggiare il mondo? La risposta è: Bolivia, Cuba, Cina, Russia, Iran, Corea democratica (per quanto possibile), Venezuela (per quanto possibile sotto il terrore istigato dall’estero).

BM: Qual è la tua intuizione per spezzare la stretta soffocante dell’imperialismo?

AV: Non si può negoziare con fascismo e imperialismo. I Paesi oppressi e saccheggiati devono unirsi e combattere. Il primo round di lotta è già stato vinto, in passato. Ad esempio, l’eroica nazione vietnamita ha sconfitto militarmente i colonialisti francesi e gli imperialisti statunitensi. Ma poi, gli imperialisti occidentali si sono raggruppati. Incoraggiati dapprima dividendo con successo Cina e Unione Sovietica, e poi rovinando Unione Sovietica con quel cretino di Gorbaciov e l’alcolista criminale Eltsin, si ripresero ciò che avevano perso, gridando “Pace, pace!”, che significa “non osate combatterci, accettate e dateci!”
Gli imperialisti possono essere sconfitti. È stato dimostrato in Siria, e ora Cina e Russia sono ferme, affrontano minacce, provocazioni, sanzioni e intimidazioni occidentali. Non si dovrebbe mai mostrare debolezza di fronte al terrore occidentale. Guarda il pianeta; guarda cosa è successo ai Paesi che si sono arresi, si sono inginocchiati: guarda l’orrore in Indonesia, Africa orientale, Medio Oriente, sud-est asiatico. Guardate l’India dopo che ha iniziato ad aderire al fondamentalismo del mercato. È questo il mondo che vogliamo? In caso contrario, tutte le forze antimperialiste dovrebbero unirsi e combattere. E non dovremmo mai aspettarci che il pubblico occidentale si unisca a noi. L’opinione pubblica occidentale è viziata dai privilegi e non ha più alcuna sinistra, solo club di discussione che si auto-promuovono e piangono. I Paesi che combattono veramente l’imperialismo occidentale non hanno quasi alleati in occidente.

BM: Qual è la tua opinione sull’ascesa di leader autocratici come Trump negli Stati Uniti, Modi in India, Bolsonaro in Brasile? Credi che ci sia un piano? Qualche corrente di fondo?

AV: Sì. Nelle nazioni confuse, dove i padroni occidentali, i mass media di destra e i sistemi educativi hanno prodotto con successo una banda obbediente ed egocentrica, senza spina dorsale, di cosiddette “élite”, cosa ci si può aspettare? Hanno infangato la sinistra, hanno messo sotto il microscopio partiti e movimenti di sinistra e hanno lavato i cervelli o almeno confuso gli elettori. Che tu ci creda o no, la grande maggioranza delle persone, anche nei Paesi governati dalla sinistra come Brasile o Ecuador (Prima del corso liberista-ndt.), non aveva quasi accesso ai media di sinistra. Orribili canali di propaganda come CNN o FOX in spagnolo “informavano” i cittadini. In Brasile la situazione era molto simile, o addirittura peggiore. Per anni ho avvertito su questo. La sinistra deve “investire” nei media, nell’istruzione, persino nella contro-propaganda. Ne parlai molto con Chomsky. In realtà capisce molto bene cosa succede. Nel nostro libro ho raccontato la mia storia, di come mi fecero il lavaggio del cervello, da bambino, dalle stazioni radiotelevisive occidentali ed imperialiste. E ovviamente non solo io: tutti sono in pericolo, in Siria e Iran, in Cina e Russia, in America Latina. Pertanto, dobbiamo unirci, dobbiamo raddoppiare gli sforzi e fare tutto il possibile per raccontare la nostra versione della storia. E dobbiamo intrecciare i nostri sforzi. Come questa intervista: la adoro. Mio fratello indiano ed io, internazionalista sovietico istruito sul pensiero cubano, scambiandoci idee! Pubblicamente e francamente.

BM: Il cambiamento climatico e la crisi delle risorse portano il mondo al collasso. Pensi che il mondo possa ancora essere salvato? Quali sono i tuoi suggerimenti?

AV: Può essere salvato, ma ancora una volta solo se l’imperialismo e il neocolonialismo vengono distrutti. Il miglior esempio è l’Indonesia e il film che giro sulla distruzione dell’isola del Borneo. In occidente le persone per stare bene spengono ogni luce quando escono, chiudono l’acqua. Ma le loro compagnie saccheggiano ciò che resta della foresta tropicale nativa, spianano intere montagne. A causa della sovrapproduzione e del consumo eccessivo occidentali, intere nazioni insulari dell’Oceania diventano inabitabili. Ciò che serve è ripensare l’intero “ordine mondiale”. Abbiamo davvero bisogno di crescita economica? O dovrebbe essere tutto sulla ridistribuzione. Arriva la Cina! Nonostante quello che viene detto alla gente (di nuovo, dalla propaganda occidentale), la Cina è in prima linea nella lotta per la cosiddetta “civiltà ecologica”. Ne so molto, perché lavoro con un grande filosofo, John Cobb Jr., che ha un’enorme influenza sulla leadership cinese, inclusa la decisione storica d’inserire la civiltà ecologica nella costituzione. Attualmente scriviamo un libro sull’argomento, insieme. La Cina intenzionalmente rallenta la crescita economica, tornando alla saggezza tradizionale, ed è anche riuscita a invertire la migrazione dalle campagne alle città, migliorando la vita rurale. Il libro sarà disponibile tra meno di un mese.

BM: Sei felice?

AV: Sì. Pazzamente. Anche quando sono incazzato e difficilmente mi muovo. Sono un combattente. Sono un internazionalista, un comunista. Stiamo vincendo. Lentamente, molto lentamente, ma vinciamo. Il viaggio è duro, pericoloso. Ma non voglio alcun altro viaggio, o altro destino. La mia vita non è perfetta, ma non la scambierei mai. Faccio del mio meglio. E mi piace così. E amo le storie. Senza buone storie, non c’è vita. Lungo il viaggio, la strada, ci sono milioni di storie. Definiscono e illustrano il nostro genere umano. Sulla base di queste storie, c’è una grande lotta rivoluzionaria che accende di nuovo il nostro pianeta. Gli imperialisti vogliono che dimentichiamo le storie. Vogliono che viviamo su storie spazzatura prefabbricate da Hollywood e Disney. È nostro dovere raccontare le storie vere, perché sono molto più belle di quelle generate al computer, e sono vere. Ecco perché creo, scrivo e filmo. Niente storia, niente rivoluzione! E più sento, vedo e creo, più sono felice.

"L’opinione pubblica occidentale è viziata dai privilegi e non ha più alcuna sinistra, solo club di discussione che si auto-promuovono e piangono. I Paesi che combattono veramente l’imperialismo occidentale non hanno quasi alleati in occidente."

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*Binu Mathew è il giornalista editore di Countercurrents, sito d’informazione geopolitico indiano

 

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