No all’imperialismo. 20 anni di buone ragioni per sostenere Lukashenko, senza se e senza ma

Lukashenko un patriota che ha salvato l’integrità territoriale del suo Paese, sconfitto la canea nazionalista, scongiurato orribili guerre civili, risollevato e rafforzato l’economia nazionale, difeso l’indipendenza e la neutralità della nazione dalla longa manus mortifera della Nato e dell’imperialismo.

di Valerio Gentili*
World Affairs

Valerio Gentili: 20 anni di buone ragioni per sostenere Lukashenko, senza se e senza ma

Lukashenko un patriota che ha salvato l’integrità territoriale del suo Paese, sconfitto la canea nazionalista, scongiurato orribili guerre civili, risollevato e rafforzato l’economia
nazionale, difeso l’indipendenza e la neutralità della nazione dalla longa manus mortifera della Nato e dell’imperialismo. Coltivato col dovuto rispetto la memoria del
passato sovietico ed il ricordo tragico ed insieme glorioso della vittoria contro il nazismo.

Senza facili scorciatoie ed apologie acritiche ma ribadendo quanto di buono, a questa nostra umanità martoriata, quel passato richiama: l’impegno etico verso il
sociale, la pace, l’internazionalismo.

Un destino ben diverso quello bielorusso, quindi, da quello delle vicine repubbliche ex sorelle –come non pensare alla voragine oscura dell’Ucraina- dove fin da subito
borghesie predatrici di provenienza varia, Nato, imperialisti ed oligarchi vecchi e nuovi ebbero modo di fare letteralmente i loro porci comodi, coadiuvati in questo da
caste politiche locali imbelli, ben contente di svestire gli ormai obsoleti ed ingombranti abiti sovietici e partecipare alla distruzione del bene pubblico, avide di briciole ed avanzi lanciati loro dai nuovi padroni stranieri.

Lukashenko non sarà certo Che Guevara ma le porte del suo Paese agli imperialisti le ha sbattute in faccia e con forza, per questa ragione –non per altro- essi lo odiano, perché
sono consapevoli che la Bielorussia rappresenta “un cattivo esempio da non imitare” per le nazioni vicine. Per questo è da quasi vent’anni che Usa e Ue, attraverso le
infami Ong da loro eterodirette, cercano in ogni modo, attraverso qualsiasi mezzo leale e/o legale o meno, di sbarazzarsene.

Ricorrendo, come un mantra, ad ogni elezione al tema dei “brogli” e dei “diritti umani” violati, come se nei Paesi da loro controllati di brogli e violazioni non ne avvenissero a frotte, nel più totale, ipocrita silenzio di human watchers ed affiliati.

La verità è che Lukashenko gode di un consenso popolare enorme e basta ripercorrere gli eventi per comprenderne le ragioni. 20 anni –gli ultimi- di storia della Bielorussia, di certo,
non lasciano spazio a chi vuole rimanere nel mezzo, non parteggiare né per Lukashenko né per i suoi avversari: o si è vittime di una lettura puerile, prepolitica della storia (o è come
recitano le sacre scritture del marxismo-leninismo o per me compagno non va bene), altrimenti, ed è peggio, dislessici nell’approccio al materialismo dialettico e il che
crea problemi nel leggere la realtà al tempo dello scontro interimperialistico, rendendo tutti uguali, tutti colpevoli e tutti malvagi allo stesso modo Usa, Ue, Brics
quando la realtà, al contrario, si presenta diversissima.

Ma veniamo ai fatti.

La Bielorussia ha una popolazione di oltre 10 milioni di abitanti, costituita per il 78% da bielorussi, per la parte restante da oltre un milione di russi, 400 mila ucraini e
alcune centinaia di migliaia di polacchi. Il bielorusso e il russo sono considerati entrambi lingua di stato.

Gli elementi comuni, storicamente e culturalmente, tra i due popoli sono talmente radicati da aver impedito, in questi ultimi anni, che le tendenze nazionaliste (su cui ha
puntato l’Occidente dopo il 1991) riuscissero a coagularsi in un movimento autenticamente di massa. La Bielorussia, che ha tributato milioni di vittime alla guerra contro il nazifascismo, era, inoltre, la più rossa tra le repubbliche sovietiche.

Eppure anche questa nazione, quando il 25 agosto 1991, a pochi giorni dal fallito golpe di Mosca, all’epoca chiamata ancora “Repubblica socialista sovietica di Bielorussia”, per impulso delle manifestazioni organizzate dal movimento separatista Adradzennie (Rinascita), proclamò, al pari delle altre repubbliche della morente Urss, la propria indipendenza. La presidenza fu assunta da Stanislau Suskievic, speaker del locale Soviet Supremo, e lo stato assunse il nome di Repubblica di Belarus.

Egli intraprese una politica ferocemente nazionalista con l’obiettivo strategico di plasmare una nuova “coscienza nazionale” in piena, aggressiva opposizione ai legami storici con la Russia; se all’estremismo nazionalista aggiungiamo un nuovo corso economico, improntato alle ricette, suggerite dai novelli protettori occidentali, votate all’ultraliberismo e accompagnate da pericolosi progetti di privatizzazione, comprendiamo come il malcontento popolare ci mise poco ad esplodere.

La nuova condizione del Paese si palesava dura, critica, a tratti disperata: fabbriche in ginocchio, un enorme livello di disoccupazione, l’imperversare della criminalità, forze armate in via di dissoluzione, la gioventù smarrita moralmente (passano i decenni, variano le latitudini ma il medesimo copione sembra ripetersi all’infinito).

Questo il retroterra che permise, nelle elezioni presidenziali dell’estate del 1994, ad Aleksandr Lukashenko, ex istruttore politico del Kgb, tra i pochi parlamentari, nel dicembre 1991, a pronunciarsi contro la dissoluzione dell’Urss, e noto per il suo rigore nella lotta contro la corruzione, di stravincere le consultazioni sbaragliando, con l’81,7% dei voti, il suo avversario il primo ministro Viaceslau Kiebic. Fin da subito, L. non solo si pronunciava apertamente contro l’ipotesi dell’allargamento ulteriore ad Est della Nato ma ne denunciava il carattere aggressivo e prevaricante la volontà di Stati e popoli non disposti ad assoggettarsi al “nuovo ordine mondiale”.

Persa e con enorme smacco politicamente la partita, le opposizioni nazionaliste, eterodirette e ben stipendiate dai dollari stranieri, iniziarono a denunciare una presunta involuzione autoritaria della nuova amministrazione e a richiamare l’attenzione dell’Occidente, Usa in testa, sulla sistematica violazione dei “diritti dell’uomo” nella nazione. In realtà, gioverebbe ricordare come la Bielorussia sia una delle poche repubbliche dell’ex Urss ad aver mantenuto una composizione multinazionale della sua società.

Non si sono mai verificati conflitti tra nazionalità e confessioni religiose, non vi è mai stata guerra tra bielorussi e polacchi, tra russi ed ebrei.

Imperialismo e autodeterminazione dei Popoli. Bielorussia ...
 
Fu lo stesso Lukashenko a ricordare che fino al 1995 avevamo assistito a un vero e proprio crollo dell’economia. In rapporto ai primi anni ’90 il salario reale aveva subito una caduta di oltre il 40%. Il prodotto interno lordo ammontava solo al 65% rispetto ai livelli del 1990. Il volume della produzione agricola al 74%, quella industriale al 59%. Il deficit di bilancio era quasi il 3% in rapporto al Pil. L’inflazione all’inizio dell’anno registrava un incremento del 50% al mese.

Indici macroeconomici ed economia redistributiva: nel corso della presidenza di Lukashenko, dal 1995 al 2003, il prodotto interno lordo è cresciuto del 59,3%.

Nello stesso periodo, in Russia è aumentato del 27,7%, in Ucraina dell’11,4% e in Moldavia del 7,3%, i ritmi di crescita del Pil sono stati superiori a quelli dei paesi citati, rispettivamente 2,1 , 5,2 e 8,1 volte. Nei principali indicatori economici, la Bielorussia ha preceduto tutti i paesi della regione baltica e dell’Europa Orientale. I ritmi di crescita del Pil sono stati superiori da 1,7 a 8,2 volte rispetto a quelli di Polonia, Ungheria, Cechia, Bulgaria e Romania. Ma la Bielorussia non ha migliorato solo gli indici macroeconomici. Il salario medio ha raggiunto i 190 dollari al mese.

Per volume di edilizia abitativa, destinata a migliaia di abitanti, la repubblica ha superato tutti i paesi della Csi e la maggior parte di quelli dell’Europa Orientale.

Prima dei vicini, essa è uscita dalla crisi ed ha accresciuto la produzione nell’agricoltura. Più di altri paesi, ha destinato finanziamenti alla scienza, alla cultura, all’assistenza sanitaria.

Cosa proponeva, intanto, l’opposizione bielorussa? La copia esatta dei modelli che, nel frattempo, avevano condotto alla distruzione dell’economia nello spazio postsovietico. In primis, privatizzazioni selvagge e “la rimozione dello Stato dalla sfera economica”. Il lupo perde il pelo ma non il vizio, proprio come l’oligarca di Destra russo Boris Nemtsov secondo il quale: “si aprirebbe un’era felice per la Bielorussia, se qualcuno la comprasse”. Anche l’ambasciatore Usa a Minsk, in sostanza, sostiene la medesima posizione e proprio il fatto che Lukashenko non abbia svenduto la Bielorussia né all’Occidente, né agli oligarchi russi, rappresenta una delle ragioni fondamentali del grande sostegno popolare di cui gode da oramai quasi vent’anni.

La Bielorussia ha mantenuto in prevalenza il controllo statale sull’economia. Ad esempio, le banche straniere sono praticamente escluse dal paese, i beni ed i servizi di base sono sovvenzionati dallo stato, i prezzi di vendita al dettaglio sono regolati e il governo continua a puntare sulle imprese statali. Infatti, il 51,2% dei bielorussi lavora in aziende statali, il 47,4% è impiegato da imprese private nazionali e l’1,4 % lavora per imprese a capitale estero.
 
Giova a questo punto ricordare la catastrofe economica seguita nelle altre ex repubbliche socialiste alla dissoluzione dell’Urss, La Repubblica democratica tedesca (Ddr) fiore all’occhiello del campo socialista, per esempio, è semplicemente stata annessa dalla Germania occidentale che ha venduto le imprese dell’Oriente al settore privato. I cittadini della ex Germania Est hanno ottenuto il diritto di esprimersi liberamente, votare per qualsivoglia candidato e la tanto bramata possibilità di fare la spesa in enormi supermercati traboccanti di merci, ma avendo perso il lavoro garantito, gli affitti politici, l’assistenza sanitaria, l’educazione gratuita e tutti gli altri benefici del socialismo reale, quei soldi per fare la spesa (se) li hanno ottenuti con grande fatica, non hanno ottenuto nemmeno un fottuto marco senza doverselo sudare duramente. “Il paradiso capitalista” non gli ha regalato un bel niente…guarda caso di lì a poco, arriverà la “ostalgie”.

In Urss prima del collasso del Paese, quasi tutte le imprese erano pubbliche e le istanze pianificatrici gestivano l’economia. Sotto la direzione dei “riformatori” ora installati al Cremlino, venne attuata una vera vendita al ribasso delle imprese pubbliche, e alcune di esse diventarono la proprietà di individui estremamente ricchi (gli oligarchi) legati al potere statale. La disoccupazione fa la sua comparsa, il tenore di vita di una gran parte della popolazione declina, le imprese occidentali si stabiliscono nel paese e il dollaro è utilizzato come moneta di scambio.

Il cambio di paradigma economico nei paesi dell’Europa dell’est e dell’Asia centrale ha generato la lunga crisi economica dell’inizio degli anni ’90 che ha avuto effetti sociali profondi, con la crescita di forme di povertà e privazione estreme e l’esplosione di laceranti diseguaglianze sociali. Tutto ciò ha fatto da sfondo all’inizio di una serie di conflitti poi sfociati in guerre vere e proprie nella ex-Jugoslavia e in varie parti dello spazio ex-sovietico.

Lukashenko ha avuto la forza ed il coraggio di resistere al modello iper-liberale, caratterizzato da un massiccio programma di privatizzazioni, smantellamento dell’intervento dello stato, bassa tassazione e riduzione della spesa pubblica.

Nel resto dell’ex-Unione Sovietica, la situazione ha preso una piega ben diversa.


*Valerio Gentili un esperto di storia della Resistenza e del combattentismo di sinistra, soprattutto a Roma. Ha pubblicato ‘La legione romana degli Arditi del popolo’ (Purple Press 2009), ‘Roma combattente’ (Castelvecchi 2010), ‘Bastardi senza storia’ (Castelvecchi 2011), ‘Dal nulla sorgemmo’ (Red Press 2012). ‘Volevamo tutto. La guerra del capitale all’antifascismo. Una storia della Resistenza tradita’. (Red Star Press 2016).
Pubblicato in Attualità, Internazionale

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