Cuba, il paese nelle mani dei giovani

A Cuba essere giovani è sinonimo di cambiamento, progresso, futuro. Essere giovani è, in ogni caso, affrontare le sfide e creare o ricreare uno spazio per il pieno sviluppo e il futuro. Trasformare i problemi in opportunità, in soluzioni, essere la forza motrice della società.

di Agustín Lage
Fonte: La PUPILA INSOMNE
Traduzione e aggiunte: GFJ

Il Socialismo a Cuba è stato ratificato, una volta di più, appena due anni fa, quando la nuova Costituzione della Repubblica è stata approvata con l’86,85% dei voti di cui buona parte dei giovani che sono i protagonisti di quella costruzione legittima e unitaria della realtà dell'Isola, dove nessuno impone criteri e dove si è potuto avallare ciò che il popolo ritiene sia meglio per il futuro del paese.

Il paese è nelle mani dei giovani. Lo è sempre stato: Martí aveva 16 anni quando scrisse “La presidenza politica a Cuba”, Mella aveva 22 anni quando fondò il Partito Comunista, Guiteras aveva 27 anni quando ordinò la nazionalizzazione della Compagnia Elettrica, Fidel aveva 27 anni anche quando prese d’assalto la Caserma Moncada, e il Che aveva 30 anni quando prese Santa Clara.
L’avanguardia giovanile aveva sempre concetti molto chiari su ciò che doveva essere fatto in ogni momento. Ecco perché è così importante discutere i concetti essenziali di cui abbiamo bisogno per affrontare i compiti di oggi e andare avanti. Uno di questi concetti essenziali, forse il più importante, è che difendere Cuba e difendere il socialismo non sono due battaglie diverse, ma una sola.

Credere nei giovani è vedere in loro la generazione di domani, una generazione migliore della nostra, una generazione con molte più virtù e molti meno difetti delle virtù e dei difetti della nostra generazione.

DAL DISCORSO PRONUNCIATO DAL COMANDANTE FIDEL CASTRO RUZ, ALLA CHIUSURA DEL CONGRESSO DELL'ASSOCIAZIONE DEI GIOVANI RIBELLI, ALLO STADIO LATINOAMERICANO, IL 4 APRILE 1962

Le società umane sono entità storiche, e questa storicità significa che ciò che siamo oggi è la conseguenza di una traiettoria lunga e complessa, diversa per ogni collettività umana. La nostra è una traiettoria che collega, fin dalle sue origini, l’aspirazione alla sovranità nazionale con quella all’equità e alla giustizia sociale.

Per Cuba nel XXI secolo, sovranità e socialismo sono due concetti interdipendenti: non avremo sovranità nazionale senza socialismo, né potremo costruire il socialismo senza sovranità nazionale.

Per Cuba, sovranità e socialismo sono la stessa cosa.

La sovranità nazionale è sempre stata (ed è ancora) un obiettivo sacro per il quale molti cubani hanno dato la vita. Ma è sempre stato un obiettivo non fine a se stesso. La sovranità non è una stazione di passaggio: è un punto di partenza. Lo difendiamo perché è ciò che ci permette di continuare il cammino verso mete più alte, legate alla giustizia sociale, alla dignità umana e alla cultura.

La difesa della sovranità nazionale oggi include la difesa del socialismo.

La sovranità non è un concetto astratto: è il diritto di essere diversi. E tra queste differenze, siamo diventati il più lungo esperimento storico di costruzione del socialismo, attualmente in sviluppo (con l’eccezione della Cina e tutte le sue particolarità).

Essere “diversi” oggi significa avere la libertà effettiva di superare la logica delle relazioni di mercato che costruiscono disuguaglianze ed esclusione, e di orientare le strategie verso una razionalità economica che crea cultura, giustizia e sostenibilità a lungo termine, diversa dalla razionalità della massimizzazione dei profitti immediati.

Significa che se dovessimo fare marcia indietro sulla sovranità nazionale, la costruzione della nostra istituzionalità, perfettibile ma inclusiva e partecipativa, sarebbe congelata, l’innovazione e lo sviluppo sarebbero congelati, e allora i centri del potere mondiale riprenderebbero l’acquisizione di beni come dal XIX secolo, e fabbricherebbero a Cuba la “loro” élite nazionale subordinata. È già successo una volta nel 1902. I cubani di oggi, e quelli di domani, non possono permettere che questo accada di nuovo.

Raggiungere gli obiettivi interdipendenti della sovranità nazionale e della giustizia sociale nel mondo di oggi richiede la proprietà sociale dei mezzi fondamentali di produzione e il ruolo guida dell’impresa statale nell’economia.

È indubbio che molto resta da perfezionare nel nostro sistema sociale socialista e lo sappiamo. Tuttavia, questo progresso deve essere fatto nel rispetto della ferma decisione delle maggioranze. Nessuno può imporre a una società cambiamenti diversi da quelli che i giovani e il popolo vogliono fare liberamente, nell’esercizio della cultura, degli ideali, dei progetti e della sovranità del paese.

La giustizia sociale è l’educazione, la salute, l’accesso alla cultura, la protezione del lavoro e la sicurezza sociale, obiettivi che si realizzano in un sistema di istituzioni iscritte a bilancio e finanziate dalle entrate dell’economia statale. Non avremmo potuto costruirlo con le tasse di un’economia sottosviluppata, privatizzata e dipendente.

L’uguaglianza sociale non è una conseguenza dello sviluppo economico: è un prerequisito dello sviluppo economico.

La traiettoria rivoluzionaria di Cuba ha costruito un ampio consenso nella nostra società sugli obiettivi che dobbiamo raggiungere. Questo consenso è una risorsa innegabile.

La credenza di base del capitalismo (anche in coloro che onestamente credono ancora nel capitalismo) è la costruzione della prosperità materiale basata sulla proprietà privata e sulla concorrenza. La nostra si basa sulla creatività guidata da ideali di equità e solidarietà tra le persone, comprese le generazioni future.

Abbiamo molte opzioni davanti a noi, e c’è molto da discutere nella nostra società, ma non potremmo fare nulla se non avessimo la sovranità nazionale per difendere un’indipendenza, che dipende molto, in questo XXI secolo, dall’educazione, dalla scienza e dalla cultura.

Sulla sovranità di Cuba e sull’ideale socialista dobbiamo costruire un consenso solido come una roccia di granito. Dopo, possiamo discutere quanto  e cosa vogliamo sui modi concreti di realizzarli.

Il nostro compito è quello di rafforzare questo consenso. Il piano dei nostri avversari storici è quello di eroderlo. “Piano contro piano” era un’espressione di José Martí.

Negli anni ’80, quando c’erano già segni di disintegrazione in Unione Sovietica, Fidel disse: “Il piano contro il piano”, utilizzando un’espressione del giovane José Martí.


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