Ulises Guilarte de Nacimiento, dirigente sindacale e politico cubano. Attualmente è segretario generale della Central de Trabajadores de Cuba (CTC) e membro dell'Ufficio Politico del Partito Comunista di Cuba, è anche deputato all'Assemblea Nazionale del Potere Popolare. Membro del Consiglio di Stato della Repubblica di Cuba dal 19 aprile 2018.

Al II Congresso della classe operaia e al V Congresso del Psuv ha partecipato, come invitato speciale, Ulises Guilarte de Nacimiento, membro dell’Ufficio politico del Comitato Centrale del Partito Comunista cubano, e segretario generale della Centrale dei lavoratori di Cuba, che ci ha concesso questa intervista.

 Caracas, II Congresso della classe operaia e al V Congresso del Psuv: per un Mondo multipolare (leggi)

Intervista esclusiva al dirigente sindacale Ulises Guilarte de Nacimiento, del PC Cubano

D. Qual è la situazione a Cuba in questo momento?

R. Io credo che la dignità, l’esempio che la rivoluzione cubana ha mantenuto a oltre sessant’anni dal suo trionfo, illumina, come un faro, le aspirazioni della gran maggioranza delle masse popolari che vedono realizzati nel nostro paese il diritto pieno alla salute, le garanzie di protezione sociale, i diritti delle donne, l’equità e la giustizia sociale. È soprattutto questo che cerca di occultare la campagna mediatica del governo Usa, perché nonostante il bloqueo genocida imposto unilateralmente a una piccola isola come la nostra, essa continua a risplendere e ad avanzare in maniera spedita nello sviluppo dei suoi principali programmi economico-sociali. Dopo l’ultimo congresso del nostro partito, celebrato in aprile, abbiamo ribadito che il perfezionamento del nostro modello economico e sociale è inclusivo, ampio, ma sempre con la prevalenza delle basi, dei principi dell’internazionalismo, della solidarietà, della cooperazione e della integrazione di chi ha di meno e deve unirsi per combattere la politica neoliberista. Cuba oggi continua a dare un esempio di solidarietà al mondo. Di quella solidarietà che ci ha insegnato Fidel, che non consiste nel dare quel che ci avanza, ma quello che abbiamo. Per questo, ci sono più di 56 brigate di collaboratori medici in oltre 40 paesi del mondo. Prima del covid, sono andati a combattere l’epidemia dell’ebola, hanno salvato molte vite, non per denaro, ma per un sentimento alto del dovere professionale e un profondo spirito umanista e solidale. Lo stesso con cui siamo venuti a partecipare al II Congresso dei lavoratori e delle lavoratrici e al V del Psuv: per ratificare la solidarietà militante e internazionalista della rivoluzione cubana; per continuare a sviluppare spazi di interesse comune tra le due organizzazioni, unendoci  nella denuncia, in tutti gli organismi internazionali, della pratica di ingerenza che entrambi i nostri paesi subiscono da parte della politica nordamericana per il solo fatto di non volerci inginocchiare al disegno imperialista.  

D. Come hai visto questi due congressi?

R. Come un importante momento di bilancio del lavoro svolto in questi anni, ma anche di proiezione e pianificazione, che permetterà di consolidare il lavoro del partito nella base, affinché continui a essere avanguardia di classe, della militanza venezuelana e nel quale Cuba darà il suo contributo sul terreno dell’integrazione, nello sforzo comune di mostrare al mondo la nostra verità: la verità dei popoli e soprattutto l’impegno, come diceva Fidel, di costruire un mondo migliore.

D. Che significa essere sindacalista a Cuba in presenza di un Partito comunista rivoluzionario e con tutta la complessità richiesta per adattare l’economia alla congiuntura senza per questo abbandonare i principi?

R. A Cuba il processo di formazione è costante. Nella mia esperienza personale, ho iniziato a militare nella gioventù comunista, lavorando come operaio in fabbrica e essendo al contempo dirigente della gioventù comunista. Poi sono passato al lavoro di partito e poi si è deciso che mi dedicassi all’impegno sindacale. Però tutto questo, a Cuba, è sempre il risultato dell’appoggio popolare, di come viene considerato il tuo lavoro politico di dirigente, di come tu lo rappresenti nei diversi spazi e scenari nei quali si dibatte l’agenda pubblica del paese e nei quali è necessario portare la voce dei lavoratori e del popolo che, in definitiva, come indica il nostro modello economico, governa a Cuba. È il popolo che governa, che decide e comanda, non è l’oligarchia, non sono le élite. Questo ci spinge ad assumere un’altissima responsabilità nell’assicurare l’esercizio di direzione, la rappresentazione del nostro popolo, un’altissima responsabilità e un enorme impegno.

D. Dopo i tentativi destabilizzanti dell’11 luglio, l’anno scorso, il Partito ha organizzato incontri con tutti i settori sociali per ascoltare le esigenze autentiche della popolazione. Quali sono state le linee principali adottate dopo questi incontri?

R. Ti ho spiegato che abbiamo insufficienze, insoddisfazione, penuria, perché il bloqueo ci asfissia economicamente, non ci permette avere relazioni e scambi commerciali. Tutto ci costa molto più caro in termini finanziari ed economici, e questa realtà ha provocato un livello di depressione e scontento in una parte della massa popolare, alimentato e amplificato dalla campagna mediatica dell’imperialismo che cerca di usare queste debolezze per esacerbare gli interessi contro-rivoluzionari, volti soprattutto a cercare di rovesciare un governo che continua a mantenere l’appoggio maggioritario del popolo. Indubbiamente abbiamo fatto tesoro di quanto è accaduto e la lezione più significativa che abbiamo tratto è che dobbiamo rafforzare permanentemente il vincolo con il popolo, stare molto vicino al popolo per ascoltare in maniera diretta questa insoddisfazione e avere la capacità, che oggi abbiamo, di poter dare soluzione alle domande, esigenze o rivendicazioni. Per questo oggi stiamo impegnati in un programma di trasformazione chiamato dei “barrios”.

D. In cosa consiste?

R. Coinvolgere la popolazione nella ricerca di soluzioni collettive sul piano abitativo, di viabilità, della rete idrica, e anche spirituali, culturali, di spazi ricreativi per i giovani. In questo ha avuto un ruolo importante la partecipazione del movimento sindacale, della gioventù comunista, perché ci siamo aggiunti alla mobilitazione di parte dei nostri lavoratori e della gioventù nell’appoggiare la trasformazione dei barrios, e al contempo abbiamo realizzato incontri settoriali con gli intellettuali, gli artisti, con la comunità religiosa, o Lgbt, con i giovani lavoratori, con le femministe, affinché il popolo potesse contribuire con le sue proposte alla soluzione dei nostri problemi. E abbiamo raggiunto una grande stabilità, ottenuto un successo straordinario nella lotta alla pandemia: il 94% della popolazione è stata vaccinata con le tre dosi, e così la totalità dei bambini e delle donne incinte. Questo ci ha permesso di aprire le frontiere al turismo, procedere a un recupero graduale dell’economia, giacché, in definitiva, questo è il compito principale: in quel che facciamo della nostra produzione materiale si situa la soluzione alla domanda del popolo.

D. Come ha fatto Cuba a riprendersi a livello economico nonostante il bloqueo e come sta contribuendo all’economia della regione?

R. Il governo Trump ha emesso oltre 243 misure coercitive contro il nostro paese, per esempio esercitando pressione sulle banche che hanno mantenuto accordi con noi o contro fornitori di materie prime essenziali per l’attività industriale e per l’economia. Però abbiamo scelto di non pensare troppo al bloqueo, di denunciarlo, certo, ma anche di potenziare le risorse interne: sviluppare l’agricoltura, la produzione di zucchero, i nostri prodotti esportabili. Siamo leader mondiali nella produzione di tabacco, raggiungiamo livelli importanti nell’esportazione di rum, siamo produttori di nichel, che pure esportiamo e così pure per i prodotti del mare. Siamo primi nel turismo. Abbiamo una potente industria chimico-farmaceutica dovuta a uno sviluppo scientifico delle risorse umane molto elevato: per questo abbiamo potuto produrre cinque vaccini. Quale paese sottosviluppato avrebbe potuto fare altrimenti?

D. Tuttavia, il vaccino cubano non viene riconosciuto…

R. Esiste, però, un gruppo di paesi che considera questo vessatorio e che riesce comunque a incorporare il nostro vaccino nel protocollo sanitario. Perché la miglior dimostrazione viene dagli indici di salute del nostro popolo e dai risultati raggiunti nella lotta al covid. Oggi da noi si ammalano 7 o 8 persone, mentre nei paesi sviluppati sono migliaia. Tuttavia la nostra battaglia è quella di contribuire sempre più al processo di integrazione regionale, di cooperazione internazionale per assicurare, come disse Fidel, l’unità nella diversità che consenta di introdurre i nostri prodotti. Questo fece Chávez quando abbiamo inaugurato il Mercosur e tutti i meccanismi di integrazione regionali con i quali scambiavamo i nostri prodotti, sviluppando le reciproche economie. Un impegno che stiamo rinnovando.

D. A Cuba si sta discutendo il nuovo codice delle famiglie. Perché l’uso di questo plurale e quali sono le innovazioni?

R. Il nuovo codice delle famiglie risponde ai cambiamenti intercorsi nella nostra società, alle nuove forme di famiglia che si sono sviluppate al di fuori della famiglia tradizionale. Nell’Assemblea nazionale si è deciso di esaminare la proposta dei legislatori e affrontare il tema nella sua integralità per adeguare il codice ai concetti più moderni del vivere in società. Si è deciso, soprattutto, di coinvolgere totalmente il popolo che deve apportare opinioni e proposte, dibattendo il progetto in ogni comunità e quartiere. Con tutte queste integrazioni, il progetto tornerà all’esame dell’Assemblea nazionale per essere infine sottoposto a referendum. Ora siamo nella fase della discussione popolare. Si tratta di un codice altamente inclusivo e garantista dei diritti dei minori e delle diversità, che sicuramente il nostro popolo saprà apprezzare nel modo migliore.

D. Si è molto speculato sull’astensione di Cuba all’Onu sul conflitto ucraino. Qual è la vostra posizione al riguardo?

R. La difesa della pace fa parte dei nostri principi, respingiamo la guerra. Per questo, ci siamo astenuti. Tuttavia riconosciamo l’insieme di ragioni che ha portato il presidente russo Vladimir Putin ad adottare la decisione di respingere il carattere interventista dalla Nato che ha tentato di accerchiare il governo russo alle sue frontiere, minacciando la stabilità del paese.