Dall’America Latina un grido unanime: “No al Bloqueo!”

Mercoledì 02 Dicembre 2009 

di Alessandro Bongarzone

Si è chiuso  a Estoril, in Portogallo, il XIX Summit ("Cumbre", in spagnolo) Ibero Americano. Lula: non si tratta con il capo dei golpisti honduregni

ESTORIL – Stop all’embargo USA a Cuba. è la richiesta avanzata – quasi fuori tempo massimo – dal vertice ibero americano che si è svolto dal 29 novembre all’1 dicembre, nella cittadina portoghese, distante 15 chilometri da Lisbona, sede del noto autodromo di Formula 1.

In una dichiarazione congiunta, l’unica approvata all’unanimità, i 22 paesi partecipanti – tutti i latino-americani e, per l’Europa, Portogallo, Spagna e Andorra – hanno chiesto “al governo degli Stati Uniti che con carattere immediato ponga fine alla sua politica di embargo economico, commerciale e finanziario a Cuba”.  Soddisfazione è stata espressa da parte della delegazione cubana presente al vertice di cui, però, non faceva parte il presidente Raul Castro trattenuto da impegni di stato, sull’isola caraibica.

Il vertice è stato disertato anche dai leader di: Bolivia, Guatemala, Nicaragua, Uruguay, Paraguay, Honduras e il venezuelano Hugo Chavez che, dopo aver dato forfait all’incontro sul clima di Manaus, organizzato la scorsa settimana dal presidente Luiz Inacio Lula da Silva, per evitare il confronto con il suo collega colombiano Alvaro Uribe, ha scelto di non presenziare neanche all’appuntamento portoghese, pur inviando una rappresentanza ministeriale.

Era chiaro, quindi, fin dall’inizio che, le numerose assenze, in particolar modo, quelle di Castro e Chavez – appunto – avrebbero impedito alla “Cumbre” di affrontare, nel pieno delle potenzialità, le importanti questioni sul tappeto: dal clima all’economia; dalla sanità alle scelte sulla tutela e il sostegno allo sviluppo dell’infanzia. Senza contare che, a ingarbugliare ancor più la situazione. si è aggiunta – fin dal primo giorno del vertice – la notizia dell’esito delle “elezioni” in Honduras questione che ha contribuito non poco alla mancata riuscita del vertice.

Infatti, dopo che il presidente “Lula” (all’interno dell’ambasciata brasiliana a Tegucigalpa si ripara il “deposto” presidente Zelaya) ha aperto le danze, dando voce al malcontento di molti paesi latinoamericani affermando di non poter “trattare con il leader dei golpisti” e confermando la sua scelta di non riconoscere il nuovo governo del paese centroamericano uscito dalle elezioni di domenica, la “patata bollente”, per evitare il fallimento completo del vertice – è passata nelle mani del presidente di turno, il primo ministro portoghese, Jose Socrates.

Al termine di una notte di incontri e tentativi di mediazione, il premier portoghese ha presentato un testo che, alla fine, scontentava un po’ tutti: i possibilisti europei (Spagna e Portogallo) propensi ad un processo che punti ad un “grande accordo nazionale” che poggi su un “ampio consenso” perché, dice Zapatero “le libere elezioni non bastano per far mandare giù alla comunità internazionale la deposizione con le armi del presidente eletto di Honduras, Manuel Zelaya”; i filo statunitensi (Colombia, Perù, Panama e Costa Rica) pronti al riconoscimento e gli irriducibili (Venezuela, Bolivia, Cile, Cuba, Ecuador, Guatemala, Nicaragua e Paraguay) guidati dai grandi Stati del Sud, Brasile e Argentina che rimangono fermi sulla linea del “no” e continuano a chiedere che vengano rispettati gli accordi presi con il capo del golpe, Micheletti, che si era impegnato a riconsegnare la presidenza a Zelaya.



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