“… Marx disse che il capitalismo venne al mondo grondando sangue dalla testa ai piedi. La storia dell’imperialismo in tutto il mondo, in Viet Nam, in Angola quando armarono le truppe al servizio dell’apartheid; quando, sapendo che il Sudafrica aveva sette armi nucleari, nutrirono nel proprio animo che fossero lanciate contro di noi durante quei giorni in cui avanzavamo in direzione della Namibia, quando si decisero problemi trascendentali dell’Africa, dimostrano il carattere crudele, ipocrita e sanguinario dell’imperialismo in qualunque parte del mondo. …”
di Julio Martínez Molina
Fonte: www.granma.cu
Fonte (italiano):
CON L’ANTIMPERIALISMO DI FIDEL, PER RESISTERE E VINCERE
Fidel, tra le sue tante virtù, si è convertito in un esperto nel ragionamento del modus operandi dell’imperialismo nordamericano, che ha combattuto con ogni fibra del suo essere per aver annientato milioni di persone, spogliato delle risorse interi continenti, eliminato dirigenti d’avanguardia del Terzo Mondo, silurato l’integrazione dei popoli e imposto a Cuba una spietata ed ininterrotta guerra commerciale, finanziaria, biologica, ideologica e culturale
Solo la resistenza, la dignità e l’antimperialismo propugnati dal Comandante ci faranno resistere e vincere.
Sapeva, come Martí, “dalla nuvola sino al microbo”. Ogni concetto esistente nei saperi degli uomini è applicabile nel pensiero e nell’azione di Fidel. Pertanto nel parlare del Comandante in modo generale si corre il rischio di esaurire tutti gli spazi. Preferisco concentrarmi qui su uno dei profili più importanti del Comandante: il suo antimperialismo.
Profondo conoscitore della storia, ha analizzato come pochi altri la psicologia predatoria degli imperi. Ha studiato i i 12 Cesari; i regni di Spagna, Olanda, Portogallo ed Inghilterra; Alessandro, Gengis Khan e, in modo speciale, gli USA dalla sua formazione come Stato, il suo progetto politico ed i postulati dei suoi dirigenti: già a partire dalla stessa protostoria del paese settentrionale.
Ha intuito i suoi appetiti di espansione, la necessità biologica dei suoi congressisti, senatori e presidenti di comprendere patologicamente maggiori e progressive estensioni geografiche.
Ha parlato più volte di come, non contenti di aver sottratto i loro spazi naturali ai nativi del continente, abbiano acquistato o invaso territori di Messico, Spagna e Francia.
Ma la voracità di Washington – così spesso denunciata da Fidel in articoli, discorsi e apparizioni – superava la piattaforma continentale; andava molto più lontano. Era lì, sotto di loro sulla latitudine della mappa del mondo, la stella dei Caraibi, il Gioiello del Golfo, la Chiave delle Americhe; e, rapidamente, hanno tentato di impadronirsene. Alla fine ci sono riusciti, attraverso l’auto sabotaggio della corazzata Maine, il Trattato di Parigi e la Guerra Ispano-Cubano-Americana. Hanno anche preso altri territori come Portorico, le Filippine…
Fidel, tra le sue tante virtù, si è convertito in un esperto nel ragionamento del modus operandi dell’imperialismo nordamericano, che ha combattuto con ogni fibra del suo essere per aver annientato milioni di persone, spogliato di risorse interi continenti, eliminato capi di avanguardia del Terzo Mondo, silurato l’integrazione dei popoli e imposto a Cuba una spietata e ininterrotta guerra commerciale, finanziaria, biologica, ideologica e culturale.
Sebbene, di sicuro, non sia risultato essere il primo grande pensatore a predire la fine della specie, è stato il primo a metterla in relazione con l’incidenza dell’imperialismo nordamericano nei piani bellici (la sua potenza nucleare è stata da lui fortemente sferzata), ambientali (ha avvertito dei pericoli della natura iperconsumistica di quella nazione) e sociale.
Come dirigente, preoccupato in ogni momento della sua esistenza della cura e sopravvivenza del suo popolo, ha elaborato strategie ed ha escogitato soluzioni per impedire un confronto bellico diretto con la principale potenza militare del pianeta; nonché rafforzare i legami che hanno portato all’avvio del processo di normalizzazione dei rapporti nel dicembre 2014.
Tuttavia, non si è mai fidato (nemmeno dopo questo passaggio) di nulla proveniente dai circoli di potere yankee; non così del suo popolo, che ha sempre amato e rispettato, oltre ad apprezzare oltremodo il serbatoio culturale di quel paese e lo straordinario contributo afroamericano.
Le successive riflessioni di Fidel parlano da sole. In quella scritta il 12 agosto, un giorno dal suo novantesimo compleanno, ha parlato della visita di Obama in Giappone, che non ha ricevuto durante il suo soggiorno all’Avana: «Ritengo che mancasse di livello (…), e gli sono mancate le parole per scusarsi del massacro di centinaia di migliaia di persone a Hiroshima… Ugualmente criminale è stato l’attacco a Nagasaki, città che i padroni della vita hanno scelto a caso. Ecco perché dobbiamo martellare sulla necessità di preservare la pace e che nessuna potenza si prenda il diritto di uccidere milioni di esseri umani».
Dopo la morte del Comandante, i senza patria hanno pronunciato imprecazioni e ignominie in Versailles, Calle 8, Hialeah: quella Miami dell’esilio la cui linea dura tanta paura e rancore ha sempre avuto di lui e ora chiede l’intervento militare a Cuba.
Le parole (sordide, indegne, inique, perfide) dell’ex presidente Donald Trump dopo la morte di Fidel, il 25 novembre 2016, – così come quelle di altri alti funzionari politici yankee – hanno illustrato la visione primitiva imperiale dell’USA politico più cavernicola verso Cuba.
In ogni caso, hanno rappresentato un altro segno che Fidel, come Martí, non si è mai sbagliato: il brutale Nord ci disprezza e non rinuncerà mai ai suoi sforzi per impossessarsi di noi.
Solo la resistenza, la dignità e l’antimperialismo propugnati dal Comandante ci faranno resistere e vincere.