I dimenticati di sempre

La pandemia è l’ennesimo esempio di uno dei problemi più terribili e cruciali del mondo contemporaneo: la straordinaria disparità tra un mondo e l’altro, tra ricchi e poveri. Tutte sono possibili vittime del covid-19, ma alcuni possono affrontarlo, mentre altri sono lasciate al loro miserabile destino.  


Fuente: Exclusivo de Al Mayadeen Red El Mayadeen

Traduzione: Redazione ASC-TI

I dimenticati di sempre

Tom Hanks, il grande attore americano, si è ammalato di Covid-19 all’inizio della pandemia. Ora si è ripreso. Anche il principe Carlo, l’eterno erede della corona britannica, si ammalò. Adesso sta ben. Seguiamo giorno per giorno l’evoluzione di Boris Johnson, Primo Ministro del Regno Unito, durante il suo soggiorno in terapia intensiva. Ora è stato dimesso.

New York, la grande metropoli, è stata ultimamente al centro dell’attualità. Il governatore dell’omonimo stato, Andrew Cuomo, è stato elogiato per la sua  leadership.

Dei quasi 800.000 malati confermati negli Stati Uniti, New York, una sola città, ne ha circa 150.000, e lo Stato ne ha quasi 250.000 (le cifre non possono essere esatte; variano, e purtroppo peggiorano di giorno in giorno). Cuomo ha condotto una lotta permanente non solo per il controllo della malattia, ma anche per l'acquisizione delle risorse necessarie ad affrontare le esigenze degli ospedali. Aveva solo quattromila ventilatori, per esempio, e ha detto di averne richiesti trentamila.

Cuomo, democratico, non si è risparmiato le critiche del repubblicano Donald Trump. Per Trump, che non ha perso tempo a minimizzare gli enormi effetti della pandemia, quattromila ventilatori sono più che sufficienti e preferisce denigrare Cuomo. Anche su questioni umanitarie predomina la campagna elettorale.

La polemica e le malattie delle celebrità sono state in prima pagina ogni giorno.

L’altra statistica

Ma bisogna scavare a fondo nella stampa quotidiana per scoprire anche altre statistiche, quelle scioccanti.

Il Sudan del Sud, con 11 milioni di abitanti (poco meno di New York), ha quattro ventilatori. E cinque vicepresidenti. La Liberia, con la stessa popolazione, sta andando un po' meglio. Ha sei ventilatori. Beh, cinque: il sesto è all'interno dell'ambasciata americana.

Dieci paesi in Africa semplicemente non hanno ventilatori. E in tutto il continente ce ne sono circa quattromila, per gli ospedali pubblici di 41 Paesi. Questi sono dati del New York Times.

Il numero di pazienti affetti da Covid-19 in Africa potrebbe non essere così rilevante – anche se si tratta di esseri umani – perché la mobilità nel continente non è così elevata come in Europa, Asia o Nord America.  Ma a differenza dell’Ebola, dove il mondo industrializzato s’infettava in Africa, i visitatori di questi Paesi ora infettano gli africani.

I numeri dei contagi sono ancora contenuti, rispetto al resto del mondo. La malattia è iniziata più tardi. Tuttavia, l’Organizzazione Mondiale della Sanità avverte che la sua curva di crescita è più ripida di quella europea.

L’Africa può essere una bomba a orologeria, il cui unico vantaggio è che affronterà la crisi con le conoscenze accumulate che la scienza sta raccogliendo sulla lotta contro la malattia.

Lo stesso vale per i rifugiati e gli sfollati.  Secondo l’agenzia specializzata delle Nazioni Unite, l’UNHCR, ci sono circa 70 milioni di persone in queste categorie.  Vivono in condizioni estremamente difficili, dove il sovraffollamento e la mancanza di accesso a risorse essenziali come l’acqua potabile sono di per sé un altro tipo di pandemia.

Per loro, i consigli sulla salute sono una cosa da ridere. Evitare la vicinanza e l’isolamento, a persone che vivono in condizioni di sovraffollamento? Lavaggio continuo delle mani per chi non ha acqua o sapone? Il sito weforum.org  riporta la seguente testimonianza: “Ci viene chiesto di lavarci le mani ogni venti secondi. La gente non ha il bagno. Non hanno acqua. Non hanno il sapone e non possono comprarlo. Il virus sta evidenziando le stridenti differenze tra le persone.”

Negli Stati Uniti. E in America Latina?

Negli stessi Stati Uniti, gli immigrati hanno situazioni simili di disagio e d’impossibilità di affrontare gli impegni quotidiani. Non hanno un’assicurazione sanitaria e il salario (per chi ne ha uno) non consente loro l’accesso alle strutture sanitarie. Molti di coloro che lavoravano nei servizi (caffetterie, ristoranti, tassisti) ora sono disoccupati. Persino le chiese dove si rivolgevano per chiedere aiuto, ora sono chiuse.

Anche per chi ha un lavoro più stabile la situazione è complessa. L’istruzione di lavorare da casa, per esempio, è un altro consiglio crudele. Secondo il quotidiano britannico The Guardian, solo il 16 per cento dei lavoratori latini è in grado di farlo. Le conseguenze delle loro deplorevoli condizioni sono evidenti: il 34% dei morti a New York sono latini.

Confesso che mi sono dato molto da fare per trovare queste cifre e queste realtà. Non sono notizie da prima pagina. Non sono notizie di spicco dei notiziari.

E in America latina le prospettive che sta aprendo questa pandemia non sono migliori. Anzi, sono molto oscure.

L’economista Fernando Ayala, professore all’Università di Zagabria, in Croazia, ci rimanda ai recenti dati della Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi, che delineano questo futuro quasi immediato:

“Dagli attuali 185 milioni di poveri – in una regione di 620 milioni di abitanti – il loro numero salirà a 220 milioni, e la povertà estrema crescerà del 67,4%, cioè raggiungerà 90 milioni di esseri umani, che attualmente hanno solo un dollaro al giorno per sopravvivere” (90 milioni, più o meno, è la popolazione dell’Italia o della Francia, n.d.r).

Alicia Bárcena, direttrice dell’ECLAC indica che l’attuale crisi mondiale si differenzia dalla crisi finanziaria del 2008 perché colpisce “le persone, la produzione e il benessere”. La lenta crescita economica degli ultimi sette anni nella regione è stata aggravata dalla pandemia che sta già cominciando a mostrare le sue prime conseguenze con un forte calo dei prezzi delle sue esportazioni di materie prime, minerali e prodotti agricoli come la soia, che vengono inviati principalmente sul mercato cinese, americano ed europeo”.

In altre parole, anche se la pandemia passa – e nessuno sa quando passerà – tutto indica che il peggio deve ancora venire.

L’etica della disuguaglianza

La pandemia è l’ennesimo esempio di uno dei problemi più terribili e cruciali del mondo contemporaneo: la straordinaria disparità tra un mondo e l’altro, tra ricchi e poveri. Tutti sono possibili vittime del covid-19, ma alcuni possono affrontarlo (e superarlo), mentre altri sono lasciati al loro miserabile destino.  

Si tratta infine del fallimento del modello neoliberale, essenza della disuguaglianza evidenziata. Lo riassume il sacerdote e pensatore brasiliano Frei Betto:

“La pandemia ha demoralizzato il discorso neoliberale sull’efficienza del libero mercato. Come nelle crisi precedenti, si è fatto ricorso al ruolo interventista dello Stato. I Paesi che hanno privatizzato il sistema sanitario, come gli Stati Uniti, hanno più difficoltà a contenere il virus rispetto a quelli con un sistema pubblico di assistenza ai malati. Tuttavia, c’è chi non ha imparato nulla dalla crisi, come chi, contro tutti i principi etici e religiosi universali, crede che sia più importante salvare i profitti delle banche e delle imprese che salvare vite umane.”

 

Pubblicato in Attualità, Internazionale

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