“I giornalisti sono persone che raccontano alla gente cosa succede alle persone.” Marta Rojas
di Rosa Miriam Elizalde
Fonte: Cuba periodistas
Traduzione: cubainformazione.it
Aggiunte: GFJ
Marta Rojas (1928-2021). Le sue lezioni all’università erano epiche.
Trent’anni fa, quando stavo iniziando le mie lezioni di giornalismo all’Avana, disse agli studenti che l’ascoltavamo parlare della professione: i giornalisti sono persone che raccontano alla gente cosa succede alle persone. Quella donna era Marta Rojas, leggendaria per essere stata la cronista del Moncada, colei che avrebbe raccontato cosa accadde realmente il 26 luglio 1953 nella fortezza di Santiago de Cuba assaltata da Fidel Castro e dai suoi compagni.
Alcuni morirono nello scontro diseguale con i soldati della dittatura di Fulgencio Batista, ma più di 70 furono uccisi dall’esercito dopo una settimana di tormenti.
Marta conservava nelle pieghe della gonna svasata le fotografie che provavano il crimine e partecipò al processo dove Fidel fece la sua propria difesa e accusò i suoi accusatori. La censura gli impedì di pubblicare i suoi reportage di quei giorni, ma diede testimonianza come poté e, allora senza saperlo, salvò le donne che parteciparono all’eroica avventura: Haydée Santamaría e Melba Hernández.
Gli sbirri credettero che il fotografo che accompagnava Marta avesse fotografato le due ragazze poco dopo l’assalto alla Caserma Moncada e, quindi, se le assassinavano, sarebbero stati costretti ad ammettere che loro non erano morte in combattimento.
Marta, che a 93 anni faceva ancora giornalismo e letteratura, è morta all’Avana il 4 ottobre per un infarto fulminante. A settembre ha messo fine al suo ultimo romanzo, Specchio delle tre lune, e quando la morte l’ha sorpresa, conduceva una vita piena e indipendente da signora che va dal parrucchiere, fa le sue faccende domestiche, visita regolarmente gli amici e guida la sua vecchia Fiat blu quando va a far la spesa al mercato.
Credevamo tutti che fosse immortale e anche lei, perché è passata all’aldilà con taccuini e ritagli di giornale sul cuscino, sognando, forse, il suo prossimo libro.
"Farewell famous Cuban journalist Marta Rojas - a friend of Vietnamese people" (leggi). Foto: Marta Rojas con il generale vietnamita Vo Nguyen Giap
Ovunque fosse, la Storia aveva luogo. Fu inviata speciale dell’organo del Movimento 26 luglio nei primi anni della rivoluzione del 1959, e poi del quotidiano Granma. Come corrispondente di guerra, fu in Vietnam nei momenti più difficili, dove il registratore e persino i quaderni erano oggetti inutili che non sopravvivevano all’umidità delle paludi e alla predazione degli insetti, che stettero sul punto di mangiarsela viva.
Le sue lezioni all’università erano epiche. Se facevamo un’intervista, poneva tutta la sua attenzione ai dettagli apparentemente più banali e alle storie che ci raccontavano altri del personaggio centrale. Nella sua intervista con Ho Chi Minh, il giglio appena tagliato come unico lusso nella sua casa di bambù era tanto preminente quanto le parole del dirigente vietnamita o le confessioni che ottenne dai suoi collaboratori. L’insieme ci diceva che lo Zio Ho, come lo chiamavano i suoi compagni, aveva poca somiglianza con i capi di altre rivoluzioni.
Membro del Comitato cubano di solidarietà con il Vietnam del Sud, Marta Rojas, vincitrice del premio nazionale di giornalismo José Martí, è un'esperta della lotta per l'indipendenza del popolo di Ho Chi Minh.
Ricordo Marta ridendo dell’aneddoto del compagno che non riusciva ad organizzare i militanti del suo villaggio, perché erano dei buddisti arretrati che passano la giornata a meditare. Quindi torna indietro e medita, raccomandò Ho Chi Minh.
VIDEO: Marta Rojas condivide le sue esperienze sul Vietnam
La pedagogia di Marta era quella del saper guardare. La routine mi ha insegnato a fissare i dettagli come se li stessi guardando, diceva. Non molto tempo fa, mentre investigava su un articolo sulle prime incursioni di Fidel Castro nell’informatica, sono finita a casa di Marta raccogliendo dalla soffitta della sua favolosa memoria un aneddoto che nessun esperto aveva mai registrato.
Nei primi giorni di ottobre 1963, il dirigente cubano percorse le zone colpite dal ciclone Flora, che aveva devastato la parte orientale dell’isola. Marta lo accompagnava come inviata per il quotidiano Revolución. Mi sentii di nuovo nell’aula universitaria quando lei cominciò a ricordare la montagna che, per la forza delle piogge, era scivolata in modo spettacolare e aveva seppellito un paesino sulle colline di Pinalito, a Guisa, provincia di Granma.
Nonostante il pericolo, gli haitiani e i giamaicani erano riluttanti a lasciare le casupole rimaste in piedi. Alcuni di loro mettevano fuori la testa, ma non facevano caso ai continui appelli. Avevano più paura delle autorità che delle tempeste. Sul bordo di un dirupo, Fidel prese dalla sua jeep verde oliva il telefono portatile che si attivava con una maniglietta all’interno, e diede istruzioni affinché quelle famiglie si beneficiassero della previdenza sociale e si ponesse fine alla condizione di paria. Usino il Ramac, e la parola, disse Marta, suonò come un gracchiare.
Il Ramac 305 fu uno dei primi computer fabbricati al mondo con dischi magnetici ed era stato acquistato dal dittatore Batista. Passò immediatamente ad elaborare i dati del libretto degli assegni dei più poveri tra i poveri, gli Antilliani dispersi e dimenticati sulla costa caraibica dell’isola.
Colore locale, che i giornalisti non siamo stenografi, insisteva Marta. Lei ci portava nel pittoresco come in un mondo in cui descrivere persone e luoghi solo opera sul veramente significativo. Il paesaggio naturale è sempre unito al paesaggio umano, aggiungeva. Nella Caserma Moncada, in Vietnam e nelle montagne di Pinalito, con Fidel o con Ho Chi Minh, dove c’è un reportage c’è anche un racconto. In altre parole, il giornalismo come celebrazione possibile della verità, della bellezza e dell’etica, e come professione che può continuare a trarre risorse dalla finzione, che non è sinonimo di menzogna.
Grazie per questa festa, cara Marta.