Ai suoi 91 anni, il legato di Fidel si reitera : «Siamo disposti a conversare, ma che non cerchino di cambiare il nostro sistema». Fidel lo avvertì negli Stati Uniti, nel 1995 e dopo più di vent’anni lo segnala Raúl, esprimendo una certezza ben radicata in tutti i cittadini cubani degni.
Il 21 ottobre del 1995 ritorna a Nuova York il viaggiatore anonimo che l’aveva visitata 40 anni prima. Nell’ottobre del 1955, proveniente dal Messico, era giunto in questa città un uomo giovane, alto, forte, con una folta capigliatura scura. Il suo nome: Fidel Castro Ruz, cubano, avvocato di 26 anni. Allora era solo un volto tra i mille che ogni giorno visitavano questa impressionante città dei grattacielo.
Già non è uno sconosciuto senza altri bagagli che i suoi sogni.
Oggi è una delle principali figure della politica mondiale.
Ufficialmente è il Presidente di Cuba; per il popolo è un eroe da leggenda.
Durante il volo Fidel legge alcuni materiali relazionati all’economia mondiale e soprattutto degli Stati Uniti.
Nel pomeriggio del 21 ottobre, il IL-62 si posa sulla pista dell’aeroporto internazionale John F Kennedy. L’atterraggio non è stato facile. L’aereo è arrivato a Nuova York nel mezzo di una forte turbolenza. Per 40 minuti deve sorvolare l’aeroporto e alcuni si sentono male.
Fidel guarda dal finestrino il fenomeno atmosferico. Finalmente l’abilità del pilota permette l’atterraggio in territorio nordamericano.
Il Comandante in Capo scende in uniforme verde olivo.
È la quarta visita di Fidel agli Stati Uniti dopo il trionfo della Rivoluzione:
nell’aprile del 1959, invitato dall’Associazione degli Editori di Quotidiani, nel settembre del 1960 e nell’ottobre del 1979, all’Assemblea delle Nazioni Unite.
In questa occasione il Dipartimento di Stato gli ha dato il visto per cinque giorni con il limite di muoversi a non oltre 25 miglia dall’edificio della ONU.
Il tabloide Daily New dedica la prima pagina all’arrivo del leader, segnalando nel titolo: “ Fidel è una tormenta!”, con la fotografia del visitatore.
Questo giornale, uno dei più importanti a Nuova York, pubblica nelle sue due pagine centrali un ampio reportage con distinti aspetti della vita di Fidel e il seguente titolo: «Il Rivoluzionario», illustrato da foto della sua gioventù, leggendo un libro sulla Sierra Maestra, con il comandante Camilo Cienfuegos e durante il suo intervento nella ONU nel 1979.
Dall’aeroporto si dirige alla missione cubana dove risiederà durante il suo soggiorno. Resta poco tempo, si cambia, si toglie l’uniforme, indossa un completo blu scuro e va a casa di Peggy Rockefeller, nipote di David, ex presidente della Chase Manhattan Bank.
Il suo primo incontro con figure del mondo degli affari, Fidel lo definisce “un inizio felice”.
La sera incontra nella missione la direttrice della Casa de las Americas, creata da cubani che hanno sempre mantenuto una ferma posizione e l‘appoggio al processo rivoluzionario, guidata dal suo presidente Luis Miranda.
Fidel sostiene un cordiale dialogo con i suoi compatrioti; racconta delle espressioni d’affetto offerte dal popolo dell’Uruguay durante la sua visita recente e commenta che è soddisfatto delle conquiste realizzate nel Vertice ispano-americano in Argentina e dai Non Allineati in Colombia.
Prima del 1º gennaio del 1959, la Casa de las Americas si chiamava Casa Cuba e i suoi membri diedero sempre importanti apporti alla lotta rivoluzionaria
Tra i presenti c’è Arnaldo Barrón, già capo degli ortodossi e dopo il 26 di Luglio a New York. Fidel vedendolo lo abbraccia. È un’amicizia di quarantanni.
Barrón è emozionato. Gli chiedo cosa prova vedendo il suo vecchio compagno di lotte parlare nelle Nazioni Unite. Mi commenta solo che: «Ho sempre avuto molta fede in Fidel. Sapevo che sarebbe andato molto lontano e non mi sono sbagliato. Inoltre gli onori e le responsabilità non hanno diminuito la sua qualità umana». Tutti vogliono un ricordo di questo momento storico e si raggruppano attorno a Fidel con la bandiera cubana come sfondo per le fotografie.
Il comandante in Capo responsabilizza Chomy Miyar della distribuzione delle fotografie ricordo stampate.
A mezzanotte lo avvisano che è giunto l’ex governatore di New York, Mario Cuomo. Fidel saluta i cubani. Gli piace essere puntuale.
L’incontro con il politico democratico si svolge in maniera amichevole. Analizzano differenti temi della politica internazionale e nazionale, includendo Stati Uniti e cuba.
Nello stesso giorno, il sabato, il sindaco repubblicano di New York, Rudolph Giuliani offre una cena di benvenuto ai presidenti che partecipano al 50º anniversario della Fondazione delle Nazioni Unite, ma esclude il leader cubano e Yasser Arafat.
I presidenti di Brasile e Cile, Fernando Henrique Cardoso e Eduardo Frei rispettivamente, declinano l’invito e vanno a teatro. Carlos Menem, dell’Argentina e Rafael Caldera furono gli unici latinoamericani a partecipare a quella cena.
L’immenso edificio di cemento e vetro delle Nazioni Unite è situato nell’Isola di Manhattan. I dipendenti si muovono per i corridoi in silenzio e i visitatori si adattano all’atmosfera di tranquillità, come stessero visitando un museo. Tutta la calma s’interrompe con la presenza di 140 capi di Stato che coincidono per celebrare il 50º anniversario dalla fondazione.
È un incontro mai visto prima.
Anche le misure di sicurezza sono senza precedenti
Decine di migliaia di poliziotti, agenti dei servizi segreti e del FBI mantengono il Lato est di Manhattan sotto un ferreo controllo e vari viali sono stati chiusi al transito. Solo le macchine della polizia e le limousine che portano i dignitari si possono avvicinare all’edificio della ONU. Anche il fiume Est è chiuso al traffico delle imbarcazioni.
Gli elicotteri si mantengono nell’aria e i cani addestrati a rintracciare bombe annusano; i cecchini osservano dalle terrazze, ma non si presentano problemi maggiori. Ottomila agenti fanno parte del dispositivo.
La mattina presto cominciano ad arrivare i mandatari e Boutros Ghali, segretario generale dell’organizzazione, dà loro il benvenuto.
Tutti posano per la foto ufficiale. Va fissato lo storico momento.
Fidel ha a sinistra José Maria Figueres e a destra Pavel Havel, presidenti di Costa Rica e Cecoslovacchia, rispettivamente.
L’argentino Carlos Menem che si trova a un estremo, cammina verso Fidel e lo saluta. Anche altri presidenti stringono la mano del dirigente cubano.
Nel sorteggio realizzato per stabilire l’ordine degli oratori, a Fidel Castro tocca il 15º posto della mattina inaugurale.
A sorpresa lo chiamano per il turno 13. I presidenti del Libano e della Georgia non sono presenti. È necessario saltare due turni.
Casualmente sia il 13 che il 26 sono numeri importanti della sua vita.
Fidel si alza dal suo posto, cammina verso il podio con calma, con la mano destra si tocca il nodo della cravatta.
Aggiusta il suo discorso alle esigenze del tempo. Domina il suo temperamento e controlla il suo stile. Parla con frasi brevi e in ognuna è racchiusa un’idea completa, come colpi di martello.
Il suo intervento dura 6 minuti e 19 secondi.
Alcuni quotidiani risaltano nei richiami: “Bombe atomiche silenziose, il leader cubano nella ONU reclama un mondo senza crudeli blocchi!”
Un diplomatico messicano commenta: «Ha detto molto in poche parole, mi sento orgoglioso di Fidel».
Al pranzo organizzato dal segretario generale della ONU, il presidente russo Boris Yeltsin si avvicina e abbraccia fortemente il presidente cubano. Da tempo non si vedevano. Conversano alcuni minuti. L’incontro attrae l’attenzione di molti dei presenti. La foto appare in primo piano in diversi quotidiani.
Il lunedì mattina Fidel va alla missione della Repubblica Popolare della Cina.
Lo riceve il presidente Jiang Zamin. Conversano animatamente. Il presidente cinese gli ripete l’invito di visitare il suo paese. Fidel dice che appena i suoi impegni glielo permetteranno, farà una visita a questo popolo dedito e lavoratore.
Il prestigioso Council of Foreign Affairs è uno dei primi luoghi visitati dallo statista cubano. Qui conversa ampiamente e scambia opinioni con importanti membri della comunità degli imprenditori nordamericani, degli accademici e degli esperti in relazioni internazionali.
La conferenza accompagnata dal pranzo trascorre a porte chiuse e gli organizzatori non offrono dettagli di sorta alla stampa.
Prima d’andarsene Fidel concede un’intervista a Dan Rather della CBS.
Al termine gli addetti della catena televisiva gli chiedono l’autografo e lui li compiace.
Un economista della delegazione intanto spiega il processo di riforme intraprese dal governo cubano e le possibilità per gli investitori stranieri del USCuba Trade and Economic Council, istituzione che promuove lo scambio tra il Governo di Cuba e gli imprenditori statunitensi.
La notte lo scenario cambia.
Fidel è l’oratore principale della cerimonia d’appoggio a Cuba nella Chiesa Battista Abyssinian, ad Harlem.
Prima di raggiungere questa attività, Fidel chiede di passare dall’Hotel Teresa, che lo aveva accolto durante la sua visita nel 1960. Dall’automobile guarda l’edificio trasformato in uffici.
Entrando nella chiesa afroamericana più famosa della città, le 1600 persone riunite lì, nel mezzo di un lungo e scrosciante applauso, cominciano ad esclamare “Cuba sì, embargo (blocco) no”, e “Viva Cuba Rivoluzionaria”.
Fuori centinaia di persone che non possono entrare per problemi di capacità del locale, ascoltano il discorso dalle altoparlanti. Il ricevimento è caldo e familiare.
Fidel arriva in uniforme. Ha cambiato il completo blu scuro indossato domenica mattina nelle Nazioni Unite per il verde olivo. Lo si vede contento. Questo è il suo ambiente.
Nel suo stile tradizionale Fidel parla con i presenti e spiega perchè in alcune occasioni deve vestirsi come “un cavaliere”, con un completo, e fa comprendere che però quello che più gli piace à la sua vecchia uniforme di campagna.
CREDO IN UN CIELO D’AMICIZIA E IL POPOLO CUBANO VUOLE FAR PARTE DI QUESTO CIELO
«Credo in un cielo d’amicizia e il popolo cubano vuole far parte di questo cielo», sottolinea. Durante i 70 minuti del suo discorso viene acclamato e la folla gli grida evviva e praticamente lo interrompe con gli applausi ad ognuna delle sue frasi. Acompagnano Fidel il reverendo Calvin Butts, pastore della chiesa Abyssinian e il congressista per Harlem, Charles Rangel. Questi è uno dei membri della Camera dei Rappresentanti che parla con la più forte tenacia contro il Progetto di Legge Helms Burton, destinato a indurire maggiormente il blocco contro l’Isola.
Mentre si svolge la manifestazione, un gruppo di mercenari famelici si riunisce a un isolato di distanza per gridare contro il mandatario cubano.
Nel mezzo di quelle grida si avvicinano diversi abitanti di Harlem e tra loro una negra – della quale si è saputo solo che si chiama Berta – e dice loro «Attenti, non vi sbagliate, non dimenticate che qui siete ad Harlem e che qui può succedere qualsiasi cosa…»
Come per magia il gruppo dei facinorosi zittisce e tranquillamente cominciano a disgregarsi. Questi gruppi poi aggrediscono Harold García, cameraman della CNN che stava filmando una manifestazione in calle 39 a Manhattan, vicino alla missione cubana.
Il pranzo a casa di Mortimer B. Zuckerman, con il presidente e coeditore del Daily News è uno degli incontri più importanti del leader cubano.
Tra i commensali ci sono alcuni dei giornalisti più famosi degli Stati Uniti: Diane Sawyer, Barbara Walters e Peter Jennings di ABC; Mike Wallace e il produttore esecutivo di “60 Minuti”, Don Hewitt, della CBS. L’anfitrione del programma di Washington, Jonn McLauglin; l’editrice della rivista New Yorker, Tina Brown, l’intervistatore della PBS Charle Rose, Tom Jonson della CNN e William Safire del The New York Times.
In un momento della cena, Fidel commenta sorridendo a Diane Sawyer che sta mangiando davvero poco. «Diane non approva quello che si dice sul Terzo Mondo, che non si può vivere con 100 calorie al giorno».
Le stelle dei media di comunicazione degli Stati Uniti approfittano dell’occasione per fargli varie domande.
Fidel precisa che la più grande prodezza del regime cubano è stata sopravvivere per più di 36 anni al blocco, alle minacce, alle ostilità, alla propaganda e all’isolamento da parte della potenza più grande del mondo, la potenza più grande della storia.
Inoltre spiega che è disposto a negoziare qualsiasi dei problemi che separano Cuba dagli Stati Uniti.
«Siamo disposti a conversare, ma che non cerchino di cambiare il nostro sistema», avverte.
Uscendo dopo il pranzo i giornalisti invitati diventano “la notizia nella notizia” e parlano con i colleghi riuniti davanti alla lussuosa residenza di Zuckerman in Quinta Avenida, davanti al Central Park, Sawyer rivela che gli hanno fatto domande molto difficili sull’economia cubana e il sistema politico nell’Isola e che Fidel ha detto «È facile rispondere a queste tipo di domande».
Wallace è impressionato per il modo di parlare del leader cubano. «È l’oratore più abile che ho mai ascoltato», dichiara.
McLaughlin riferisce che «Parlavamo di democrazia e lui ha affermato “Chi le ha detto che essere rivoluzionario è andare contro la democrazia?”».
In un incontro definito “coraggioso”, Fidel parla a centinaia di commercianti e leaders comunali del Bronx.
La manifestazione senza precedenti si realizza nel Jimmy’s Bronx Coffee, organizzata dal rappresentante democratico José Serrano e dalla direttrice del Concilio Nazionale degli Affari di Puerto Rico.
«Un benvenuto portoricano al Presidente Fidel Castro» e «Cuba e Puerto Rico sono le due ali dello stesso uccello, ricevono fiori e pallottole sullo stesso cuore», dicono i versi della poetessa di Portoricana Lola Rodriguez de Tió, e sono le frasi che si leggono nei manifesti collocati nel salone.
Serrano, che si oppone al blocco imposto dagli Stati Uniti a Cuba, dice che l’obiettivo della riunione è stabilire un dialogo al quale partecipi la comunità portoricana. Tra i partecipanti c’è Nidia Velásquez, la prima donna di Puerto Rico giunta al Congresso degli Stati Uniti, con il musicista Willy Colón.
La visita di Fidel ai portoricani viene definita dal quotidiano La Prensa in termini di baseball, come un quadrangolare, uno dei tanti che il mandatario cubano realizzò nei cinque giorni di visita nella metropoli.
La riunione è una dichiarazione d’indipendenza dal giogo ostile, intimidatorio e offensivo dei gruppi cubani più reazionari dell’esilio.
A nome di Cuba, Puerto Rico e degli Stati Uniti, Elena, una bambina di 10 anni di madre cubana, padre statunitense e padrino portoricano offre a Fidel e a Cuba un mazzo di rose bianche, ma si emoziona tanto che non riesce a terminare le sue parole e si mette a piangere. Fidel consola la giovane ammiratrice accarezzandole la testa.
«Fidel parla come solo lui sa fare e sicuramente quest’uomo ha carisma e il suo stile è accattivante e seduttore», scrive un giornalista nordamericano.
Jimmy, il padrone del ristorante, vuole rendere omaggio all’illustre visitatore e gli offre qualcosa di molto personale. Gli regala tre palle firmate da tre grandi giocatori di “pelota” nordamericani, Mickey Mantle, del New York Yankees; Willy Mays dei Giganti di New York e Duke Snider dei Dodgers di Brookliyn.
Inoltre gli regala una maglietta bianca dei News York Yankees. Sulla schiena c’è scritto Castro 1. Un’altra maglietta grigia viene firmata da Fidel e resta esposta nella galleria del Jimmy Bronx Coffee.
La visita nel Bronx resterà indimenticabile.
Tra le sue ultime attività il presidente cubano si riunisce con gli esecutivi dei quotidiani Wall Street Journal e The New York Tomes. Nelle due occasioni gli anfitrioni non permettono la partecipazione dei giornalisti.
Poche ore prima di partire, Fidel incontra i rappresentanti di diverse chiese.
Gli regalano due Bibbie. Lucius Walker dei Pastori per la pace è presente.
Fidel fa un breve intervento e risponde ad alcune domande. Il reverendo Luis Barrios, rettore del St.Mercys Episcopal Church, pronuncia un’orazione nella quale prega per il benessere di Cuba e del suo Presidente.
La presenza di Fidel e i suoi incontri con imprenditori, accademici, religiosi e giornalisti sembrano aver incrementato il dibattito sull’utilità e la convenienza d’eliminare il blocco imposto dagli Stati Uniti a Cuba da più di 30 anni.
Durante il suo soggiorno Fidel non riposa praticamente e approfitta di tutti i minuti possibili, parla ogni giornocon Raúl Castro e gli racconta i dettagli della visita. Si tiene informato nello stesso tempo della situazione nell’Isola.
L’ultim attività è un incontro con i lavoratori della missione cubana.
Lo si vede molto contento.
Il tempo passa e alle ventuno il Dipartimento di Stato s’inquieta e chiama l’ufficio d’interesse di Cuba a Washington per sapere l’ora della partenza.
A mezzanotte scade il visto.
La sua visita a New York è stata un successo.
In ogni momento è stato notizia di primo piano nei giornali della città e la sua immagine è stata – in maniera permanente- trasmessa dalle catene di televisione.
Il The New York Times giunge a definire la situazione “Fidelmania”.
Un giornalista del quotidiano La Prensa consegna a questo inviato speciale, (Luis Báez) un frammento speciale di un intervento fatto da Fidel in questa città domenica 30 ottobre del 1955, davanti a centinaia di emigrati cubani, in un incontro realizzato a Palm Garden in calle 52:
«Guardate, il popolo cubano desidera qualcosa di più di un semplice cambio di comando, Cuba anela a un cambio radicale in tutti i campi della vita pubblica e sociale. Va dato al popolo qualcosa di più della libertà e della democrazia in termini astratti: si deve far corrispondere un’esistenza decorosa per ogni cubano. Lo Stato non può disintessarsi della sorte di nessuno dei cittadini che sono nati nel paese e lì sono cresciuti».
Raúl ha assicurato ripetutamente che nessun cittadino cubano sarà mai abbandonato. Il legato di Fidel che giunge sin da prima del trionfo della Rivoluzione ed è eterno.
Tutto quello che Fidel ha promesso nella sua carriera politica lo ha mantenuto, è stato un uomo di una sola linea, non consce il rancore. L’avversario lo rispetta.Non ha mai espresso una falsità. (Frammento dal libro “Fidel por el mundo” di Luis Baéz- Casa Editrice Abril – Traduzione GM. – Granma Int.)