La propaganda anticomunista è rozza

Mentre i poveri e i lavoratori del mondo lottano contro un paradigma iper-capitalista neoliberista, corporatocratico imperialista dall’estrema disuguaglianza, il movimento anticapitalista nel primo mondo è diviso tra le fazioni che sostengono gli Stati socialisti esistenti e chi condividono con la classe capitalista l’ostilità nei loro confronti. Dobbiamo assicurarci che la prima fazione sia quella che definisca la narrazione nei prossimi anni. Questa necessità per i socialisti globali di allinearsi apertamente e in sostengo agli Stati socialisti non è motivata solo dalla necessità strategica di costruire ampie alleanze con governi stranieri. Si tratta di difendere la verità, anche tra le pressioni della nostra società virulentemente anticomunista che ripete ogni bugia sulla storia del socialismo.

Fonte: See You In 2020
12 agosto 2019

I tropi usati per delegittimare le rivoluzioni socialiste della storia
Uno dei modi con cui gli anticomunisti cercano di delegittimare la posizione dei marxisti che si allineano agli Stati socialisti esistenti è dipingerli come ideologi irrazionali. Eppure tale accusa viene sempre usata non in risposta a una mancanza di volontà di questi marxisti nel criticare qualsiasi aspetto degli Stati socialisti, ma in risposta anche al minimo rigetto della propaganda capitalista su questi Paesi. Accuse di zelo e negazionismo sono gli strumenti retorici utilizzati per chiudere le obiezioni alla propaganda capitalista su questi Paesi. La natura malvagia degli argomenti anticomunisti fu dimostrata all’indomani della caduta dell’URSS e della RDT. Nonostante lo stereotipo sui marxisti nei confronti degli Stati socialisti, credo che ci siano legittime critiche sulla leadership dell’URSS e sul suo ruolo nella caduta del paese; come valutò Kim Il Sung, il socialismo è crollato in Russia e Germania “principalmente perché trascurarono l’istruzione di classe e abbandonarono la lotta di classe. Dopo aver assunto il potere, Krusciov indebolì la funzione della dittatura dello Stato come arma della lotta di classe. Di conseguenza, il socialismo non poteva essere difeso in Unione Sovietica”. Ma piuttosto che inquadrare la discussione sulla caduta dell’Unione Sovietica sulla scia di critiche come queste, trotskiti, socialdemocratici e altri anticomunisti di sinistra da allora rafforzano le narrative capitaliste sull’evento. Nelle sue riflessioni sulla caduta dell’URSS e della RDT, il sito web World Socialist trotskusra allontanava la colpa da Krusciov inadempiente per gettarla sul capro espiatorio standard dei trotskiti, lo “stalinismo”. Un pezzo del WSWS del 2009 persino accusava “imperialismo e agenti stalinisti” dei fallimenti del movimento socialista, un’affermazione incredibilmente ironica dato che lo stesso trotskismo fu un sodale ideologico dell’imperialismo neoconservatore. Tali tentativi dei trotskisti d’incolpare delle carenze della rivoluzione russa Stalin e altri marxisti-leninisti, armarono la retorica dei capitalisti che cercano di demonizzare gli Stati socialisti esistiti nella storia. La propaganda anticomunista attuata da gruppi trotskisti come l’Organizzazione socialista internazionale, che attaccava praticamente tutti i governi socialisti come “non veramente socialisti”, guidò altre frattaglie di sinistra che cercano di delegittimare il comunismo e i suoi successi. Il gruppo socialdemocratico Socialist Democratics nordamericano affermò nella sua posizione ufficiale sulla caduta dell’URSS e della RDT che “applaudiamo alle rivoluzioni democratiche che hanno trasformato l’ex blocco comunista”. La loro giustificazione nel celebrare apertamente il ritorno del capitalismo in questi Paesi è che “Giusto perché le loro élite burocratiche le chiamavano “socialiste”, ma non lo erano”, un ragionamento rafforzato dall’attacco di Noam Chomsky al comunismo, affermando che il sistema sovietico creò una dinamica in cui “Iniziò come un leninista che entrava nella burocrazia rossa. Vedo più tardi che il potere non risiede lì e diventi molto rapidamente un ideologo di destra”. Tali argomenti sono grossolani, anche se gli anticomunisti accusano i loro oppositori di essere quelli che non guardano gli Stati socialisti in modo equilibrato. È vero che la leadership sovietica in parte fallì negli sforzi per costruire il socialismo; lo storico comunista Bruce Franklin scrisse della classe politica post-stalinista sovietica che “internamente, ripristinarono il capitalismo il più rapidamente possibile. A metà degli anni ’60, la disoccupazione apparve per la prima volta nell’Unione Sovietica dal primo piano quinquennale. Alla fine degli anni ’60, furono stipulati accordi con il capitalismo tedesco, italiano e giapponese per lo sfruttamento del lavoro sovietico e vaste risorse sovietiche”. Ancora una volta, tali critiche sono legittime e comunisti come Franklin e Kim Il Sung le articolarono. Ma l’opinione dell’URSS e della RDT promossa dai DSA ignora i massicci aumenti degli standard di vita raggiunti da questi Paesi e attribuisce falsamente gli aspetti dello sfruttamento dei loro sistemi economici al socialismo stesso piuttosto che alle riforme capitaliste. È una visione che ritrae le gravi perdite in termini di occupazione, servizi sociali e potere politico della classe operaia verificatesi in questi Paesi come meritevoli con le “rivoluzioni democratiche”, che si suppone rappresentasse la caduta del blocco orientale. È una visione che sostanzialmente caratterizza qualsiasi imperfezione sistemica in uno Stato socialista come giustificazione per distruggerlo. Il suo scopo non è criticare costruttivamente i progetti socialisti, ma dipingerli come forze malvagie cui la sinistra dovrebbe opporsi con più ferocia di quanto fa col capitalismo stesso.

Come tali tropi vengono usati contro gli attuali Stati socialisti
Questa è la logica che gli anticomunisti applicano su Cina, RPDC e altri Paesi moderni che sostanzialmente consolidano il socialismo. Chomsky, le cui opinioni sugli attuali Stati socialisti sono in linea con la sinistra tradizionale nordamericana, boicottava le conferenze sul marxismo cinese a causa della giustificata applicazione da parte della Cina delle leggi contro i sindacati non autorizzati, e partecipò alla campagna “Stop Repression in Hong Kong” basata sulle narrazioni anticomuniste fuorvianti che le fazioni capitaliste di Hong Kong hanno creato, e affermava che “la dittatura nordcoreana potrebbe benissimo vincere il premio per la brutalità e la repressione” senza preoccuparsi di esaminare la struttura politica profondamente democratica della RPDC o la natura totalmente non dimostrata delle pretese violazioni dei diritti umani nella Corea democratica. Il ragionamento dietro gli attacchi a questi Paesi socialisti da parte di Chomsky ed altri anticomunisti di sinistra proviene dalla stessa mera diffamazione di Chomsky della classe politica sovietica. Come scrisse Michael Parenti in risposta alla dichiarazione di Chomsky sul tipico leninista che diventa “ideologo della destra”: “Nella sua mente, la rivoluzione fu tradita da una coorte di “criminali comunisti” che semplicemente avevano fame di potere piuttosto che desiderare il potere per porre fine alla fame. In effetti, i comunisti non “molto rapidamente” passarono a destra, ma lottarono contro un enorme assalto mantenendo in vita il socialismo sovietico per più di settant’anni. A dire il vero, alla fine dell’Unione Sovietica alcuni, come Boris Eltsin, passarono ai ranghi capitalistici, ma altri continuarono a resistere alle incursioni del libero mercato, a caro prezzo, molti incontrarono la morte durante la violenta repressione del parlamento russo da Eltsin nel 1993. Alcuni di sinistra e altri ricadono nel vecchio stereotipo dei rossi assetati di potere che perseguono il potere per il potere senza tener conto degli obiettivi sociali reali. Se è vero, ci si chiede perché in un Paese dopo l’altro, questi rossi si schierano con poveri e deboli, spesso a rischio e sacrificio, piuttosto che raccogliere i frutti che derivano nel servire i benestanti”. Tale stereotipo viene ora utilizzato per delegittimare l’autorità di Xi Jinping e dei suoi compagni del Partito comunista cinese. I tropi della propaganda sono gli stessi diretti contro la leadership sovietica, così come l’obiettivo di spezzare un grande e potente Paese socialista che minaccia l’egemonia nordamericana. La campagna per distruggere la RPC è simile a quella per distruggere l’URSS, a tal punto che il passaggio da un memorandum nordamericano del 1969 sulla semina della discordia in Russia potrebbe anche essere riutilizzato quasi alla lettera per la Cina di oggi: “L’obiettivo primario è stimolare e sostenere le pressioni per la liberalizzazione e il cambiamento nell’Unione Sovietica. I punti nevralgici di questa disaffezione – desiderio di libertà personale e intellettuale, desiderio di miglioramento della qualità della vita e persistenza del nazionalismo nell’Europa orientale e tra i gruppi nazionali nell’Unione Sovietica, sono le principali questioni sfruttate da questi piani. Un obiettivo secondario è illuminare importanti élite di Paesi terzi, in particolare i capi politici e l’opinione pubblica che modellano le professioni, sulla natura repressiva del sistema sovietico e sulla sua politica estera imperialista ed espansionista”. Proprio come gli imperialisti occidentali hanno dipinto ingannevolmente l’URSS come “imperialista” per razionalizzare il loro sabotaggio, ora affermano che la Cina rappresenta una minaccia imperialista per giustificare la loro campagna per sottomettere la Cina. La grossolanità è centrale in tutte le argomentazioni secondo cui la Cina è imperialista, dai miti occidentali sulle azioni “neo-coloniali” della Cina in Africa alle denunce del coinvolgimento militare di aiuto della Cina in Siria e Venezuela alle false caratterizzazioni dei prestiti esteri dello Stato socialista cinese come strumenti dello sfruttamento. Qualsiasi coinvolgimento estero della Cina è descritto come imperialista dagli avversari del Paese.
L’altro grande parallelo tra le campagne contro RPC e URSS è la narrazione che il governo cinese sia completamente antidemocratico e riluttante a concedere libertà al proprio popolo. Questo è il tema delle “proteste democratiche” di Hong Kong promosse dai media occidentali negli ultimi mesi. Come le altre “rivoluzioni colorate” in cui gli Stati Uniti furono coinvolti, c’è un lato della storia che nega la sinistra visione del governo che le proteste dovrebbero rivendicare. La Cina non è una dittatura. Molti capi nelle democrazie occidentali governano da molto più tempo e con molto meno supporto di quanto lo sia Xi Jinping, e in Cina ancora vota Xi per un altro mandato nelle prossime elezioni. C’è una buona argomentazione secondo cui la demolizione da parte della Cina dei limiti del mandato presidenziali ha reso il Paese più democratizzato piuttosto che meno, dato che il vecchio sistema dei limiti di mandato della Cina era volto a garantire che la classe politica si focalizzasse sulle condizioni attuali anziché sulle elezioni future. Lo stesso presidente condivide inoltre la maggior parte del potere del governo centrale col Comitato Permanente dell’Ufficio Politico, i cui aderenti sono nominati attraverso un processo politico nel PCC, simile al sistema multipartitico delle democrazie borghesi. La differenza è che nel PCC, tutti i membri dovrebbero sostenere gli obiettivi marxista-leninisti. I normali partecipanti a questo processo politico democratico godono di una forma di democrazia sul posto di lavoro, infinitamente superiore alla struttura aziendale tirannica a cui è sottoposta la maggior parte dei lavoratori nordamericani. American Prospect valutava che “gli organizzatori del lavoro in Cina consentono al Partito Comunista di rispondere in modo favorevole o neutrale alle loro azioni, piuttosto che reprimerle”. Ciò fu dimostrato nel 2010, quando uno sciopero dei lavoratori della Honda cinese non subì l’azione della polizia locale ma ottenne l’accordo per pagare i lavoratori col 32 percento in più; un altro esempio è quando gli operai della fabbrica City Watch ottennero un equo compenso mentre i media statali riferirono dello sciopero del 2011. Questi aspetti del sistema economico cinese sono ignorati dai media occidentali, che cercano sempre di rappresentare il governo cinese come oppressore dei lavoratori. I titoli sulle reti contro i suicidi nelle fabbriche cinesi sono un tropo comune in tali caratterizzazioni, ma l’esistenza di esse non è intrinsecamente buona o cattiva; sono semplicemente una misura di sicurezza sul lavoro. Le potenti immagini retoriche delle reti suicide creano un’atmosfera unilaterale nel discorso sul sistema economico cinese. Crea un aspetto emotivamente carico della realtà esistendo diverse forme di proprietà sul posto di lavoro in Cina, ove a volte gli interessi dei lavoratori e dei proprietari si scontrano. Invece di demonizzare il PCC come forza malvagia che fa suicidare i lavoratori, dovremmo parlare delle complessità materiali del programma socialista cinese e dare consigli costruttivi su come migliorare le condizioni del popolo cinese. Sulla questione delle libertà civili che elettori e lavoratori cinesi hanno, la migliore fonte non è la litania dei titoli allarmisti nordamericani che temono presunte sfrenate sorveglianze di massa cinese e il “totalitarismo”; ma sono i cinesi intervistati su quanto considerano democratica la loro società. “La democrazia, per la Cina, permette che tutti siano al potere”, secondo una donna cinese in un’intervista col media Asian Boss all’inizio di quest’anno. “Come chiunque dell’attuale generazione, ha ricevuto un’istruzione e l’ha vista crescere”, ha detto un altro cittadino cinese, “la Cina si chiama ‘Repubblica popolare cinese’. Siamo un Paese governato dal popolo. Dato che siamo governati dal popolo, ovviamente siamo democratici!… Non sono geloso della “democrazia” in altri Paesi. Non dovrebbero definire cosa sia la democrazia”. “Penso che ci siano restrizioni sulla nostra democrazia”, ammise un altro cittadino. “A volte è necessario utilizzare una VPN per ricevere informazioni straniere e alcune notizie vengono bloccate. A questo proposito, penso che la Cina dovrebbe essere più aperta. Ma penso che lo stia gradualmente diventando. Rispetto alla Rivoluzione Culturale, la Cina è ora più aperta”. Questa critica alla censura cinese, apertamente articolata in una intervista pubblica, non avrebbe luogo nella distopia repressiva che i detrattori della Cina pretendono. Una critica simile può essere fatta alla Corea democratica, che rende inaccessibili molte informazioni ai residenti bloccando Internet a favore di una rete online che presenta principalmente contenuti creati nella RPDC. Ma entrambi i Paesi permettono alle informazioni di entrare e uscire in modo abbastanza aperto, e questa apertura sia nel discorso politico che nei sistemi elettorali li ha resi società altamente funzionali.
La Repubblica democratica popolare di Corea ha un sistema multipartitico tremendamente più democratico di quello che abbiamo negli Stati Uniti e che ha dato ai cittadini assistenza sanitaria universale, cibo e alloggi gratuiti e occupazione garantita. I programmi anti-povertà della Cina degli ultimi decenni hanno avuto un tale successo che la povertà si estingue in Cina, con l’attuale tasso di povertà estrema al di sotto dell’1%. Dopo che entrambi questi Paesi avranno superato la guerra economica che il mondo capitalista gli conduce contro, oltre a completare la transizione verso l’energia verde, saranno un paragone dello sviluppo sociale marxista in un mondo devastato da capitalismo e imperialismo. Essi e gli altri Paesi che subiranno le rivoluzioni dei lavoratori nei prossimi decenni definiranno la direzione della nuova civiltà. Sono ciò che sostituirà il morente impero nordamericano e il fallito esperimento della globalizzazione neoliberista. La classe capitalista ha paura di un simile cambiamento, quindi fa di tutto per spezzare gli Stati socialisti e il movimento globale che cerca di far prosperare l’agenda anticapitalista.

Cambio del regime per la Cina e i suoi alleati
I ritratti distorti di Cina e RPDC (insieme alla propaganda contro ulteriori governi socialisti come Cuba e Venezuela) provengono dalla malafede. Evitano le utili critiche degli Stati socialisti che possono portare a riforme positive e indirizzano l’attenzione su come questi Stati possono essere completamente distrutti. L’inquadramento costantemente negativo dei sistemi politici ed economici della Cina che vediamo sulla stampa occidentale è uno strumento per chiudere discussioni produttive sul socialismo e ridurre l’argomento in un esercizio in cui chiunque sostiene criticamente la Cina viene denunciato come apologeta di atrocità. Questo aspetto altamente emotivo della propaganda anticomunista è esacerbato da fantasie su atrocità come l’affermazione infondata secondo cui la Cina ha imprigionato “1 milione” di musulmani uiguri, disinformazione paragonabile alla menzogna dei propagandisti nazisti su Stalin che avrebbe affamato l’Ucraina. Gli arbitri delle campagne di cambio di regime degli USA si affidano a tali pretese demagogiche anticomuniste per avere del consenso ai loro obiettivi. Il nostro governo lavora per un cambio di regime in Cina, RPDC, Venezuela, Nicaragua e (in modo più sottile) Cuba, e tale propaganda è lo strumento degli imperialisti per controllarne la narrazione. Kim Jong Un, Nicolas Maduro, Daniel Ortega e la leadership cubana hanno subito gli stessi tipici killeraggo di Xi, e anche i loro Paesi sono diffamati come dittature che mantengono il proprio popolo in povertà. Nel paragrafo sopra, ho linkato articoli che ridimensionano la propaganda su questi Paesi. Esorto a condividere questi articoli, insieme alla sezione di questo saggio che confuta le bugie capitalistiche sulla Cina. Dobbiamo combattere una guerra d’informazione contro la propaganda capitalista e imperialista, altrimenti gli Stati Uniti continueranno a poter sabotare i Paesi socialisti e i loro alleati non socialisti; la guerra nordamericana contro Russia e Iran ha in definitiva lo scopo d’indebolire la Cina e il movimento comunista. Il movimento comunista globale ha un sostegno forte e crescente; l’approvazione di Stalin tra i russi ha raggiunto il record del 70%, c’è una forte forza di manifestanti filo-cinesi a Hong Kong e quattro nordamericani su dieci hanno una visione positiva del socialismo. Questi sviluppi spingono gli oligarchi capitalisti globali ad organizzare proteste di destra a Hong Kong, destabilizzare Venezuela e Nicaragua e andare verso una rinnovata campagna contro il comunismo negli Stati Uniti. Possiamo superare tale guerra globale contro il comunismo contrastando le menzogne sugli Stati socialisti esistenti.

 

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