L’autostop mediatico di Lenier Mesa, cantante cubano


Nel capitalismo, l’arte, quella manifestazione di talento, sia essa folcloristica, popolare, classica, raffinata, industriale, guerriera o di imitazione, non sfugge ai suoi mecenati, filantropi e altri detrattori che spremono il succo di qualsiasi espressione di questa specie, sia essa manuale o intellettuale. Ai proprietari non importa un fico secco di chi sia la manifestazione a favore o contro, sia essa una striscia bianca su una tela nera o la più bella musica che un popolo produca in un qualsiasi angolo di questo universo. Quello che hanno ben chiaro è che la cultura è un deposito che produce plusvalore. (Tratto da LA CULTURA Y EL ARTE SON UNA MIERDA)

(Foto: El Cayapo)

VIDEO(SPAZZATURA). In realtà, siamo in presenza di un’operazione mediatica direttamente collegata alle matrici egemoniche della guerra culturale contro Cuba.

A proposito di un autostop mediatico di Lenier Mesa

Articolo di Antonio Rodríguez Salvador (4 aprile 2023)
Fonte:
Traduzione e aggiunte: GFJ

L’ultimo video del rapper messicano-americano Tekashi 6ix9ine, in compagnia del cantante cubano Lenier Mesa, è apparso così tante volte sui social network che alla fine mi sono incuriosito e ho cliccato per vederlo.

L’ho consumato con fatica. Ma che cos’è questa roba? mi sono detto, quando è terminato. Il testo non esprimeva nulla di straordinario: di certo, sto usando un eufemismo. Insomma, proprio quando il cliché del ragazzo povero che raggiunge la fama – così spesso usato nelle ranchere messicane, nelle soap opera strappalacrime e nei film di quart’ordine di ottant’anni fa – incredibile ma vero, ora è riapparso nel XXI secolo con un ampio abuso di linguaggio banale, di stereotipi, frasi fatte e di luoghi comuni, e senza la minima elaborazione drammatica nella storia che racconta.

“La procedura di inculturazione è ben nota: (…) l’obiettivo è quello di annettere un pubblico che ama la banalità ed è lontano dal pensiero critico e dai migliori valori, non solo della cultura cubana, ma della stessa civiltà umana”.

Il video si apre con il rapper che si finge tagliatore di canne e diserbatore di un campo di tabacco nella campagna cubana: forse per mostrare quanto abbia lottato per sopravvivere nella sua infanzia. È sorprendente: non sapevo che a New York, la città dove il rapper è nato e cresciuto, ci fossero campi di canna e tabacco e palme autentiche.

Poi Tekashi si avvolge in una bandiera cubana e inizia a distribuire banconote da cento dollari ai residenti di una comunità di Pinar del Río, luogo delle riprese.

Tra cavoli a merenda, nel montaggio della clip, il cantante Lenier Mesa è inserito a forza, poiché è chiaro che si tratta di un’aggiunta successiva, un incastro, senza che ci si preoccupi di stabilire elementari giustificazioni spaziali, narrative o drammatiche per un tale accessorio.

Daniel Hernández, il cui nome d'arte è Tekashi 6ix9ine (o Takashi69)

Certe cose non accadono per caso. Ricordo i media che conosciamo bene, gli stessi che sono stati coinvolti nella guerra mediatica contro Cuba, che hanno instancabilmente reclamizzato quell’avventura di lanciare dollari in aria davanti all’Hotel Packard dell’Avana, dove il rapper alloggiava in quel momento. È una cosa che Tekashi fa di solito ovunque vada, senza tanto clamore mediatico; ma l’azione di allora non è stata nemmeno opera sua, bensì di altri, giunti in auto e subito ripartiti.

                              Lenier Mesa

La risposta che credo di avere ora: era necessario informare il grande pubblico cubano sull’esistenza di questo rapper, che ovviamente aveva già in mente di realizzare questo video, il cui obiettivo principale è quello di alimentare la fiammella di Lenier Mesa; preparare le condizioni affinché, per trasmissione o contagio, acquisisca un po’ della fama mondiale che ha l’altro.

Detto in buon cubano, si prende una bottiglia (= si fa autostop, ndt) in un’auto di lusso e si scorrazza in giro salutando dove tutti ti guardano: in questo caso sui social network, in modo da dare ampia visibilità a qualcuno che funge soprattutto da operatore politico controrivoluzionario, dalla sua partecipazione alla campagna anticubana intorno alle proteste dell’11 luglio 2021.

In realtà, siamo in presenza di un’operazione mediatica direttamente collegata alle matrici egemoniche della guerra culturale contro Cuba. La procedura di inculturazione è ben nota: con queste banalità si vuole annettere un pubblico amante della banalità e lontano dal pensiero critico e dai migliori valori non solo della cultura cubana, ma della stessa civiltà umana.

Il metodo ha una lunga storia e fa parte delle politiche di dominio degli Stati Uniti. Non si tratta di un’invenzione, ma di un fatto sperimentato: recentemente è venuto alla luce un documento del Comando per le operazioni speciali dell’esercito statunitense, datato marzo 2015, intitolato “Apoyo de las Fuerzas de Operaciones Especiales a la Guerra Política“, che spiega le azioni da intraprendere in questo tipo di guerra asimmetrica.

Nel caso di Cuba, ci sono pure riferimenti documentali che risalgono almeno al 1979, quando Zbigniew Brzezinski, allora consigliere per la sicurezza nazionale nell’amministrazione del presidente Jimmy Carter, redasse un memorandum che guidava le azioni da intraprendere per aumentare l’influenza della cultura statunitense sul popolo cubano.

Questo libro, pubblicato nel 1999, rivela come, nell'aggressione propagandistica contro Cuba, il governo statunitense recluti intellettuali e artisti cubani come semplici operatori di questa politica.

Il libro Psywar on Cuba. The Declassified History of US Anti-Castro Propaganda, di Jon Eliston, pubblicato nel 1999, rivela come, nell’aggressione psicologica e propagandistica contro Cuba, il governo statunitense utilizzi libri, giornali, fumetti, film, pamphlet e programmi radiotelevisivi, in cui recluta intellettuali e artisti cubani come semplici operatori di tale politica.

Nel corso di tutti questi anni il metodo è stato ampliato, e ora abbiamo un nuovo caso, di fatto il terreno di coltura per le prossime azioni che seguiranno a questo autostop all’ombra di un famoso cantante.


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