Perchè l’avanzata del fascismo (USA) è nuovamente il problema

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Maidan-Obamadi John Pilger (*) |
Il recente 70° anniversario della liberazione di Auschwitz ci ha ricordato quale grande crimine sia il fascismo, la cui iconografia nazista è radicata nelle nostre coscienze. Il fascismo è conservato come storia, come tremolanti riprese di camicie nere che marciano al passo dell’oca, la loro criminalità terribile e chiara. Eppure, nelle stesse società liberali le cui belligeranti élite ci impongono di non dimenticare mai, del crescente pericolo di un moderno tipo di fascismo non si parla, perché è il loro fascismo.

“Iniziare una guerra di aggressione…”, dissero nel 1946 i giudici del tribunale di Norimberga, “non è soltanto un crimine internazionale, ma è il crimine internazionale supremo, che differisce dagli altri crimini di guerra solo in quanto contiene in sé l’accumulo di tutti i mali”.

Se i nazisti non avessero invaso l’Europa, Auschwitz e l’Olocausto non sarebbero accaduti. Se gli Stati Uniti ed i loro vassalli non avessero iniziato la loro guerra di aggressione in Iraq nel 2003, quasi un milione di persone oggi sarebbero vive, e lo Stato islamico, o ISIS, non ci avrebbe in balìa delle sue atrocità. Essi sono la progenie del fascismo moderno, svezzato dalle bombe, dai bagni di sangue e dalle menzogne, che sono il teatro surreale conosciuto col nome di informazione.

Come durante il fascismo degli anni ’30 e ’40, le grandi menzogne vengono trasmesse con la precisione di un metronomo grazie agli onnipresenti, ripetitivi media e la loro velenosa censura per omissione. Prendiamo ad esempio la catastrofe in Libia.

Nel 2011 la Nato ha effettuato 9.700 attacchi contro la Libia, più di un terzo dei quali mirato ad obiettivi civili. Sono state utilizzate testate all’uranio impoverito; le città di Misurata e Sirte sono state bombardate a tappeto. La Croce Rossa ha rilevato fosse comuni, e l’Unicef ha riferito che “la maggior parte [dei bambini uccisi] aveva meno di dieci anni”.

La pubblica sodomizzazione con una baionetta “ribelle” del presidente libico Muhammar Gheddafi è stata salutata dall’allora Segretario di Stato americano Hillary Clinton con le parole: “Siamo venuti, abbiamo visto, è morto.” Il suo omicidio, come la distruzione del suo paese, è stato giustificato con la solita grande menzogna: stava progettando il “genocidio” del suo popolo. “Sapevamo… che se avessimo aspettato un altro giorno”, disse il presidente Obama, “Bengasi, una città delle dimensioni di Charlotte, avrebbe potuto subire un massacro che sarebbe risuonato in tutta la regione e avrebbe macchiato la coscienza del mondo”.

Era un’invenzione delle milizie islamiche che stavano per essere sconfitte dalle forze governative libiche. Dissero alla Reuters che ci sarebbe stato “un vero e proprio bagno di sangue, un massacro come quello accaduto in Ruanda”. La menzogna, segnalata il 14 marzo 2011, ha fornito la prima scintilla all’inferno della Nato, definito da David Cameron come “intervento umanitario”.

Molti dei “ribelli”, segretamente armati e addestrati dalle SAS britanniche, sarebbero poi diventati ISIS, il cui video più recente mostra la decapitazione di 21 lavoratori copti cristiani sequestrati a Sirte, la città distrutta per conto loro dai bombardieri della Nato.

Per Obama, Cameron e Hollande, il vero crimine di Gheddafi era l’indipendenza economica della Libia e la sua dichiarata intenzione di smettere di vendere in dollari USA le più grandi riserve di petrolio dell’Africa. Il petrodollaro è un pilastro del potere imperiale americano. Gheddafi aveva tentato con audacia di introdurre una moneta comune in Africa, basata sull’oro, voleva creare una banca tutta Africana e promuovere l’unione economica tra i paesi poveri ma con risorse pregiate. Se questo sarebbe accaduto o meno non ha importanza, era l’idea stessa ad essere intollerabile per gli Stati Uniti che si preparavano ad “entrare” in Africa corrompendo i governi africani con offerte di collaborazione militare.

Dopo l’attacco della Nato e sotto la copertura di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, Obama, scrisse Garikai Chengu, “ha confiscato 30 miliardi di dollari dalla Banca centrale libica, che Gheddafi aveva stanziato per la creazione di una Banca centrale africana e per il dinaro africano, valuta basata sull’oro”.

La “guerra umanitaria” contro la Libia aveva un modello vicino ai cuori liberali occidentali, soprattutto nei media. Nel 1999, Bill Clinton e Tony Blair inviarono la Nato a bombardare la Serbia, perché, mentirono, i serbi stavano commettendo un “genocidio” contro l’etnia albanese della provincia secessionista del Kosovo. David Scheffer, ambasciatore degli Stati Uniti nel mondo per crimini di guerra [sic], affermò che “circa 225.000 uomini di etnia albanese di età compresa tra i 14 e i 59 anni potrebbero già essere stati uccisi”. Sia Clinton che Blair evocarono l’Olocausto e “lo spirito della seconda guerra mondiale”. L’eroico alleato dell’Occidente era l’Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK), dei cui crimini non si parlava. Il ministro degli Esteri britannico, Robin Cook, disse loro che potevano chiamarlo in qualsiasi momento sul suo cellulare.

Finiti i bombardamenti della Nato, con gran parte delle infrastrutture della Serbia in rovina, insieme a scuole, ospedali, monasteri e la stazione televisiva nazionale, le squadre internazionali di polizia scientifica scesero sul Kosovo per riesumare le prove del cosiddetto “olocausto”. L’FBI non riuscì a trovare una singola fossa comune e tornò a casa. Il team spagnolo fece lo stesso, e chi li guidava dichiarò con rabbia che ci fu “una piroetta semantica delle macchine di propaganda di guerra”. Un anno dopo, un tribunale delle Nazioni Unite sulla Jugoslavia svelò il conteggio finale dei morti in Kosovo: 2.788. Questa cifra comprendeva i combattenti su entrambi i lati e serbi e rom uccisi dal KLA. Non c’era stato alcun genocidio. L’”olocausto” era una menzogna. L’attacco Nato era stato fraudolento.

Dietro la menzogna, c’era una seria motivazione. La Jugoslavia era un’indipendente federazione multietnica, unica nel suo genere, che fungeva da ponte politico ed economico durante la guerra fredda. La maggior parte dei suoi servizi e della sua grande produzione era di proprietà pubblica. Questo non era accettabile in una Comunità Europea in piena espansione, in particolare per la nuova Germania unita, che aveva iniziato a spingersi ad est per accaparrarsi il suo “mercato naturale” nelle province jugoslave di Croazia e Slovenia. Prima che  gli europei si riunissero a Maastricht nel 1991 a presentare i loro piani per la disastrosa eurozona, un accordo segreto era stato approvato; la Germania avrebbe riconosciuto la Croazia. Il destino della Jugoslavia era segnato.

A Washington, gli Stati Uniti si assicurarono che alla sofferente economia jugoslava fossero negati prestiti dalla Banca Mondiale, mentre la Nato, allora una quasi defunta reliquia della guerra fredda, fu reinventata come tutore dell’ordine imperiale. Nel 1999, durante una conferenza sulla “pace” in Kosovo a Rambouillet, Francia, i serbi furono sottoposti alle tattiche ipocrite dei sopracitati tutori. L’accordo di Rambouillet comprendeva un allegato B segreto, che la delegazione statunitense inserì all’ultimo momento e che esigeva che tutta la Jugoslavia – un paese con ricordi amari dell’occupazione nazista – fosse messa sotto occupazione militare, e che fosse attuata una “economia di libero mercato” con la privatizzazione di tutti i beni appartenenti al governo. Nessuno stato sovrano avrebbe potuto firmare una cosa del genere. La punizione fu rapida; le bombe della Nato caddero su di un paese indifeso. La pietra miliare delle catastrofi era stata posata. Seguirono le catastrofi dell’Afghanistan, poi dell’Iraq, della Libia, della Siria, e adesso dell’Ucraina.

Dal 1945, più di un terzo dei membri delle Nazioni Unite – 69 paesi – hanno subito alcune o tutte le seguenti situazioni per mano del moderno fascismo americano. Sono stati invasi, i loro governi rovesciati, i loro movimenti popolari soppressi, i risultati delle elezioni sovvertiti, la loro gente bombardata e le loro economie spogliate di ogni protezione, le loro società sottoposte ad un assedio paralizzante noto come “sanzioni”. Lo storico britannico Mark Curtis stima il numero di morti in milioni. Come giustificazione, in ogni singolo caso una grande menzogna è stata raccontata.

“Questa sera, per la prima volta dall’11 settembre [2001], la nostra missione di guerra in Afghanistan è conclusa.” Queste le parole di apertura del discorso di Obama sullo Stato dell’Unione del 2015. In realtà, circa 10.000 soldati e 20.000 appaltatori militari (leggi mercenari) rimangono in Afghanistan con incarichi imprecisati. “La guerra più lunga nella storia americana sta arrivando ad una conclusione responsabile”, ha detto Obama. La verità è che più civili sono stati uccisi in Afghanistan nel 2014 che in qualsiasi anno da quando l’ONU tiene il conto. La maggior parte delle uccisioni – sia civili che militari – sono avvenute durante la presidenza di Obama.

La tragedia dell’Afghanistan fa a gara con il crimine epico perpetrato in Indocina. Nel suo elogiato e più volte citato libro ‘La Grande Scacchiera: il Primato Americano e i suoi Imperativi Geostrategici’, Zbigniew Brzezinski, il padrino delle politiche americane dall’Afghanistan ad oggi, scrive che se l’obiettivo dell’America è quello di controllare l’Eurasia e di dominare il mondo, non può reggere una democrazia popolare, perché “la ricerca del potere non è un obiettivo che richiede passione popolare … la democrazia è nemica dell’impegno imperiale.” Ha ragione. Come hanno rivelato Wikileaks ed Edward Snowden, uno stato di polizia e di controllo sta infatti soppiantando la democrazia. Nel 1976, Brzezinski, allora Consigliere della Sicurezza Nazionale della presidenza Carter, ha dimostrato il suo punto di vista comminando un colpo mortale alla prima e unica democrazia dell’Afghanistan. Ma chi la conosce questa storia fondamentale?

Nel 1960, una rivoluzione popolare dilagò in Afghanistan, il paese più povero della terra, riuscendo alla lunga nell’intento di rovesciare le vestigia del regime aristocratico nel 1978. Il Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan (PDPA) formò un governo e compilò un programma di riforme che prevedeva l’abolizione del feudalesimo, la libertà per tutte le religioni, la parità di diritti per le donne e giustizia sociale per le minoranze etniche. Più di 13.000 prigionieri politici furono liberati e gli archivi di polizia pubblicamente bruciati.

Il nuovo governo introdusse cure mediche gratuite per i più poveri; la condizione di bracciante fu abolita, un programma di alfabetizzazione di massa fu varato. I progressi che ci furono per le donne erano fino ad allora impensabili. Verso la fine del 1980, la metà degli studenti universitari erano donne, e le donne rappresentavano quasi la metà dei medici in Afghanistan, un terzo dei dipendenti pubblici e la maggior parte degli insegnanti. “Ogni ragazza”, ricorda Saira Noorani, chirurga, “poteva andare a scuola e all’università. Potevamo andare dove volevamo e indossare quello che ci piaceva. Di venerdì andavamo al bar o al cinema a vedere l’ultimo film indiano e ascoltavamo la musica più in voga. Tutto cominciò ad andare storto quando i mujahedin iniziarono ad imporsi. Uccidevano gli insegnanti e bruciavano le scuole. Eravamo terrorizzati. Era strano e triste pensare che queste persone erano spalleggiate dall’Occidente.”

Il PDPA al governo era sostenuto dall’Unione Sovietica, anche se, come l’ex segretario di Stato Cyrus Vance ammise poi, “non vi era alcuna prova di complicità sovietica [nella rivoluzione]”. Preoccupato dalla crescente fiducia dei movimenti di liberazione in tutto il mondo, Brzezinski decise che, se l’Afghanistan avesse trionfato con il PDPA, la sua indipendenza e il suo progresso avrebbero posto la “minaccia di un esempio promettente”.

Il 3 luglio 1979, la Casa Bianca segretamente autorizzò lo stanziamento di 500 milioni di dollari in armi e logistica per sostenere gruppi tribali “fondamentalisti”, conosciuti come i mujahedin. L’obiettivo era quello di rovesciare il primo governo laico e riformista dell’Afghanistan. Nel mese di agosto del 1979 l’ambasciata americana a Kabul segnalò che “gli interessi degli Stati Uniti sarebbero stati asserviti meglio [dalla scomparsa del PDPA] malgrado ciò che questo avrebbe significato per le future riforme sociali ed economiche dell’Afghanistan”. Il corsivo è mio.

I mujaheddin furono i precursori di al-Qaeda e dello stato islamico. Tra questi c’era Gulbuddin Hekmatyar, che ricevette decine di milioni di dollari in contanti dalla CIA. Le specialità di Hekmatyar erano il traffico di oppio e gettare acido in faccia alle donne che si rifiutavano di indossare il velo. Fu invitato a Londra, e decantato dal Primo Ministro, Margaret Thatcher, come “combattente per la libertà”.

Forse questi fanatici sarebbero rimasti nel loro mondo tribale se Brzezinski non avesse promosso un movimento internazionale per favorire il fondamentalismo islamico in Asia centrale, così minando una politica laica di liberazione e “destabilizzando” l’Unione Sovietica, per creare, come scrisse poi nella sua autobiografia, “un po’ di musulmani esagitati”. Il suo grande piano coincise con le ambizioni del dittatore pakistano, il generale Zia ul-Haq, per il dominio della regione. Nel 1986, la CIA e l’ISI, l’agenzia di intelligence del Pakistan, iniziarono a reclutare persone da tutto il mondo per promuovere la jihad afgana. Il multi-miliardario saudita Osama bin Laden era tra questi. Agenti che un domani si sarebbero uniti ai talebani e ad al-Qaeda, furono reclutati in un college islamico di Brooklyn, New York, e a loro fu impartita una formazione paramilitare in una zona di proprietà della CIA in Virginia. Questa fu chiamata “Operazione Ciclone” e il suo successo culminò nel 1996, quando l’ultimo presidente del PDPA afghano, Mohammed Najibullah – che si era recato al cospetto dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per implorare aiuto – fu impiccato ad un lampione dai talebani.

Il risultato dell’Operazione Ciclone e dei suoi “pochi musulmani esagitati” fu l’11 settembre 2001. Operazione Ciclone divenne la “guerra al terrore”, in cui innumerevoli uomini, donne e bambini avrebbero perso la vita in tutto il mondo musulmano, dall’Afghanistan all’Iraq, allo Yemen, alla Somalia e alla Siria. Il messaggio dei cosiddetti tutori dell’ordine era e rimane: “O sei con noi o contro di noi”.

Ciò che accomuna il fascismo passato a quello presente sono gli omicidi di massa. L’invasione americana del Vietnam aveva le sue “zone di fuoco libero”, “conteggio dei caduti” e “danni collaterali”. Nella provincia di Quang Ngai, da dove corrispondevo, molte migliaia di civili (“musi gialli”) sono stati assassinati dagli Stati Uniti; eppure si ricorda solo un massacro, quello di My Lai. In Laos e Cambogia, il più grande bombardamento aereo della storia ha prodotto un’epoca di terrore contrassegnato ancora oggi dallo spettacolo di crateri di bombe congiunti che, dal cielo, assomigliano a mostruose collane. Il bombardamento diede alla Cambogia il proprio ISIS, guidato da Pol Pot.

Oggi, la più grande campagna del terrore al mondo ha come conseguenza l’esecuzione di intere famiglie, di ospiti a matrimoni, di persone in lutto ai funerali. Sono queste le vittime di Obama. Secondo il New York Times, ogni martedì, nella Situation Room della Casa Bianca, Obama consulta un “elenco di persone da uccidere” procuratogli dalla CIA. Decide allora, senza uno straccio di giustificazione legale, chi vivrà e chi morirà. La sua arma di esecuzione sono i missili Hellfire portati da un velivolo senza pilota, un drone; questi arrostiscono le loro vittime e deturpano la zona con i loro resti. Ogni “colpo” viene registrato sullo schermo di un lontano computer.

“I marciatori al passo dell’oca”, scrisse lo storico Norman Pollock, “sostituiscono la militarizzazione apparentemente più innocua della cultura totale. E come loro tronfio capoccia, abbiamo un riformatore mancato, allegramente al lavoro, a pianificare ed eseguire assassinii, sorridendo continuamente”.

Ciò che accomuna i fascismi vecchio e nuovo è il culto della superiorità. “Credo nell’eccezionalità americana con ogni fibra del mio essere”, disse Obama, evocando dichiarazioni da fanatismo nazionale degli anni ’30. Come lo storico Alfred W. McCoy ha fatto notare, è stato Carl Schmitt, devoto di Hitler, a dire: “Il sovrano è colui che decide l’eccezione.” Questo riassume l’americanismo, l’ideologia dominante del mondo. Che non sia riconosciuta come un’ideologia predatrice è merito di un ugualmente riconosciuto lavaggio di cervello. Infida, non dichiarata, presentata spiritosamente come illuminazione in cammino, la sua arroganza permea la cultura occidentale. Sono cresciuto con una dieta cinematografica di gloria americana, quasi tutta fatta di distorsione della realtà. Non avevo idea che fosse stata l’Armata Rossa a distruggere la maggior parte della macchina da guerra nazista, ad un costo di ben 13 milioni di soldati. Per contro, le perdite degli Stati Uniti, quelle nel Pacifico incluse, sono state di 400.000 vittime. Hollywood ha falsificato anche questo.

La differenza ora è che gli spettatori sono invitati a contorcersi sui sedili guardando la “tragedia” di psicopatici americani che devono uccidere persone in luoghi lontani – proprio come fa il loro stesso presidente –. L’attore e regista Clint Eastwood, incarnazione della violenza di Hollywood, è stato nominato per un Oscar quest’anno per il suo film “American Sniper”, che parla di un assassino pazzoide con licenza di uccidere. Il New York Times ha descritto il film come “patriottico e pro-famiglia, che ha battuto tutti i record di presenze già nei primi giorni di apertura”.

Non ci sono film eroici che descrivono l’abbraccio americano del fascismo. Durante la seconda guerra mondiale, l’America (e la Gran Bretagna) sono scesi in guerra contro i greci che avevano combattuto eroicamente contro il nazismo e resistevano all’ascesa del fascismo greco. Nel 1967, la CIA ha contribuito a portare al potere una giunta militare fascista ad Atene – come ha fatto in Brasile e nella maggior parte dell’America Latina. Ai tedeschi ed europei dell’est collusi con l’aggressore nazista e coinvolti in crimini contro l’umanità è stato dato un rifugio sicuro negli Stati Uniti; molti sono stati elogiati e premiati per il loro talento. Wernher von Braun è stato il “padre” sia della terribile bomba nazista V-2 che del programma spaziale degli Stati Uniti.

Nel 1990, come ex repubbliche sovietiche, l’Europa orientale e i Balcani divennero avamposti militari della Nato, e gli eredi di un movimento nazista in Ucraina ebbero la loro opportunità. Nonostante fosse responsabile della morte di migliaia di ebrei, polacchi e russi durante l’invasione nazista dell’Unione Sovietica, il fascismo ucraino è stato riabilitato e la sua “new wave”, salutata dai suddetti tutori dell’ordine come “nazionalista”.

Il suo apice fu raggiunto nel 2014, quando l’amministrazione Obama stanziò 5 miliardi di dollari per un colpo di stato contro il governo eletto. Le truppe d’assalto erano neonaziste, note come Settore Destro e Svoboda. Tra i loro capi c’è Oleh Tyahnybok, che ha chiesto l’epurazione della “mafia ebrea di Mosca” e di “altra feccia”, tra cui gay, femministe e quelli della sinistra politica.

Adesso questi fascisti sono integrati nel governo golpista di Kiev. Il primo vice-presidente del parlamento ucraino, Andriy Parubiy, leader del partito di governo, è co-fondatore di Svoboda. Il 14 febbraio scorso, Parubiy ha annunciato che sarebbe volato a Washington per ottenere “dagli Stati Uniti armi molto più moderne e precise”. Se ci riesce, questo sarà considerato come un atto di guerra dalla Russia.

Nessun leader occidentale ha parlato della rinascita del fascismo nel cuore stesso dell’Europa, ad eccezione di Vladimir Putin, il cui popolo ha sacrificato 22 milioni di persone all’invasione nazista avvenuta attraverso il confine dell’Ucraina. Alla recente Conferenza sulla sicurezza di Monaco, l’Ass. Segretario di Stato di Obama per gli affari europei ed eurasiatici, Victoria Nuland, ha urlato abusi ai leader europei che si opponevano all’armamento degli Stati Uniti del regime di Kiev. Ha chiamato il ministro della difesa tedesco “ministro per il disfattismo”. Era stata la Nuland a progettare il colpo di stato a Kiev. È la moglie di Robert D. Kaplan, un’autorità tra i “neo-con” di estrema destra del Centro per una Nuova Sicurezza Americana, ed è stata consigliere per la politica estera del fascista Dick Cheney.

I piani della Nuland non sono andati a buon fine. Alla Nato è stato impedito di appropriarsi della storica e legittima base navale russa nelle calde acque della Crimea – dove la popolazione, in gran parte russa, ma illegalmente accorpata all’Ucraina da Nikita Krusciov nel 1954 – ha votato in massa per tornare alla Russia, come già aveva fatto nel 1990. Il referendum è stato volontario, popolare e controllato a livello internazionale. Non c’era stata alcuna invasione.

Nello stesso momento il regime di Kiev si avventò ad est sulla popolazione di etnia russa con una ferocia da pulizia etnica. Usando milizie neo-naziste alla maniera delle Waffen-SS, bombardarono e misero a ferro e fuoco le città. Usarono la fame di massa come arma, tagliarono l’elettricità, congelarono conti bancari, bloccarono l’erogazione di assegni sociali e delle pensioni. Più di un milione di profughi fuggirono oltre confine, in Russia. Per i media occidentali, erano persone in fuga “dalla violenza” causata dalla “invasione russa”. Il comandante Nato, generale Breedlove – il cui nome e le cui azioni potrebbero essere stati ispirati al “Dottor Stranamore” di Stanley Kubrick – dichiarò che 40.000 truppe russe si stavano “ammassando” [ai confini ucraini]. Nell’era di prove forensi satellitari, non ne fornì alcuna.

È da lungo tempo che le persone di lingua russa e bilingue dell’Ucraina – un terzo della popolazione – stanno cercando di costruirsi una federazione che rifletta le diversità etniche del paese e che sia autonoma e indipendente da Mosca. La maggior parte non è composta da “separatisti”, ma da cittadini che vogliono vivere in sicurezza nella loro patria e che si oppongono alla presa di potere a Kiev. La loro rivolta e la creazione di “stati” autonomi è la  reazione agli attacchi effettuati da Kiev su di loro. Poco di tutto ciò è stato spiegato al pubblico occidentale.

Il 2 maggio 2014, a Odessa, 41 persone di etnia russa furono bruciate vive nel quartier generale del loro sindacato, nonostante la presenza della polizia. Il leader di Settore Destro, Dmytro Yarosh, salutò il massacro come “un altro giorno luminoso nella storia del nostro paese”. Nei media americani e britannici, l’atrocità venne riportata come una “tragedia poco chiara” derivante da “scontri” tra “nazionalisti” (neonazisti) e “separatisti” (persone che raccoglievano firme per un referendum per un’Ucraina federale).

Il New York Times seppellì la notizia, ricacciando come propaganda russa gli avvertimenti sulle politiche fasciste e antisemite dei nuovi clienti di Washington. Il Wall Street Journal condannò le vittime stesse titolando: “Incendio Mortale in Ucraina Probabilmente Causato dai Ribelli, Dice il Governo”. Obama si congratulò con la giunta per il loro “contegno”.

Se Putin si lascerà provocare e andrà in loro aiuto, il suo ruolo (preconfezionato in occidente) di “paria” giustificherà la menzogna che la Russia sta invadendo l’Ucraina. Il 29 gennaio, il comandante supremo ucraino, generale Viktor Muzhenko, quasi involontariamente fece crollare la base su cui le sanzioni degli Stati Uniti e dell’UE alla Russia sono posate, quando in una conferenza stampa dichiarò con enfasi che: “l’esercito ucraino non sta combattendo contro le truppe regolari dell’esercito russo”. Si trattava di “singoli cittadini” membri di “gruppi armati illegali”, ma non c’era un’invasione russa. Questo però non fece notizia. Il ministro degli esteri di Kiev, Vadym Prystaiko, ha chiesto una “guerra totale” alla Russia, potenza nucleare [!].

Il senatore statunitense James Inhofe, repubblicano dell’Oklahoma, il 21 febbraio ha proposto un disegno di legge che autorizza l’invio di armi americane al regime di Kiev. Nella sua presentazione al Senato, Inhofe ha usato fotografie a suo dire di truppe russe che entravano in Ucraina, anche se da tempo si sapeva che erano false. Il fatto ricorda le immagini false di un impianto sovietico in Nicaragua presentate da Ronald Reagan, e delle prove false prodotte da Colin Powell alle Nazioni Unite delle armi di distruzione di massa in Iraq.

L’intensità della campagna diffamatoria contro la Russia e la rappresentazione del suo Presidente come un cattivo da farsa è qualcosa che io non ho mai visto prima come giornalista. Robert Parry, uno dei giornalisti investigativi più rinomati d’America, che svelò lo scandalo Iran-Contra, ha scritto di recente: “Nessun governo europeo, da quello tedesco di Adolf Hitler, ha finora pensato bene di inviare truppe d’assalto naziste a fare la guerra ad una popolazione nazionale, ma il regime di Kiev lo ha fatto, e lo ha fatto consapevolmente. Eppure tra i media e nello spettro politico dell’Occidente, c’è stato uno studiato sforzo di coprire questa realtà fino al punto da ignorare fatti che sono stati ben definiti … Se vi domandate come il mondo potrebbe incappare nella terza guerra mondiale – come ha fatto nella prima guerra mondiale un secolo fa – tutto quello che dovete fare è guardare alla follia Ucraina che si è dimostrata insensibile a fatti o ragione”.

Nel 1946, il pubblico ministero del Tribunale di Norimberga disse dei media tedeschi: “L’uso della guerra psicologica fatto dai cospiratori nazisti è ben noto. Prima di ogni aggressione di grande portata, con alcune poche eccezioni basate su ragioni opportunistiche, hanno avviato una campagna di stampa mirata ad indebolire le loro vittime e a preparare psicologicamente il popolo tedesco all’attacco … Nel sistema di propaganda di stato di Hitler erano i quotidiani e le emittenti radio ad essere le armi più importanti.” Sul Guardian del 2 febbraio scorso, Timothy Garton-Ash ha in effetti auspicato una guerra mondiale. “Putin deve essere fermato”, diceva il titolo. “E a volte solo le armi possono fermare le armi.” Ha ammesso che la minaccia di una guerra potrebbe “alimentare nei russi una paranoia da accerchiamento”; ma che ciò andava bene. Dopo aver controllato le attrezzature militari necessarie per il lavoro rassicurò i suoi lettori che “l’America è equipaggiata meglio”.

Nel 2003, Garton-Ash, professore di Oxford, ribadì la propaganda che portò al massacro in Iraq. “Saddam Hussein”, scrisse, “come [Colin] Powell ha documentato, ha accumulato grandi quantità di spaventose armi chimiche e biologice, e ora nasconde quel che ne resta. Sta ancora cercando di procurarsi quelle nucleari.” Elogiò Blair come “un proselito di Gladstone, un cristiano liberale interventista”. E nel 2006, scrisse, “Ora ci troviamo di fronte alla prossima grande prova dell’Occidente dopo l’Iraq. L’Iran”.

Tali sfoghi – o come preferisce dire Garton-Ash, le sue “tormentate incertezze liberali” – non sono diversi da quelli delle élite liberali transatlantiche che hanno raggiunto un accordo faustiano. Il criminale di guerra Blair è il loro capo perduto. The Guardian, in cui è apparso l’articolo di Garton-Ash, ha pubblicato un’inserzione a pagina intera di un bombardiere Stealth americano. Sulla minacciosa immagine del mostro della Lockheed Martin era scritto: “L’F35, ottimo per la Gran Bretagna.”. Questo “gingillo” americano costerà ai contribuenti britannici 1.3 miliardi di sterline, visto che i suoi precursori modelli “F” hanno fatto stragi in tutto il mondo. In sintonia con il suo inserzionista, un editoriale del Guardian chiedeva un aumento delle spese militari.

Ancora una volta [dietro tutto questo], c’è un motivo serio. Non solo i padroni del mondo vogliono l’Ucraina come base missilistica, ma vogliono anche la sua economia. Il nuovo ministro delle Finanze di Kiev, Natalie Jaresko, è un ex alto funzionario del Dipartimento di Stato USA incaricato degli “investimenti” degli Stati Uniti all’estero. Le è stata conferita frettolosamente la cittadinanza ucraina. Vogliono l’Ucraina per le sue riserve di gas. Il figlio del vice presidente USA Joe Biden è nel consiglio di amministrazione della più grande compagnia petrolifera, del gas e fracking dell’Ucraina. I produttori di sementi geneticamente modificate, aziende come la famigerata Monsanto, vogliono il ricco suolo agricolo dell’Ucraina.

Soprattutto, vogliono il potente vicino di casa dell’Ucraina, la Russia. Vogliono balcanizzare o smembrare la Russia per poter sfruttare la più grande fonte di gas naturale sulla terra. Visto che il ghiaccio artico si sta sciogliendo, essi vogliono il controllo dell’Oceano Artico e delle sue ricchezze energetiche, e le estese terre di confine artico della Russia. Il loro uomo a Mosca era stato Boris Eltsin, un ubriacone che ha consegnato l’economia del suo paese alll’Occidente. Il suo successore, Putin, ha ristabilito la Russia come nazione sovrana; questo è il suo crimine.

La responsabilità di tutti noi è chiara. È quella di scoprire e denunciare le incoscienti menzogne dei guerrafondai e di non colludere con loro. È di risvegliare i grandi movimenti popolari che hanno portato una fragile civiltà a moderni stati imperiali. Ma soprattutto è di prevenire la conquista di noi stessi: delle nostre menti, della nostra umanità, della nostra autostima. Se rimaniamo in silenzio, la vittoria su di noi è certa, e un olocausto ci aspetta.

 

*) – http://it.wikipedia.org/wiki/John_Pilger

Fonte:  http://johnpilger.com
Link: http://johnpilger.com/articles/why-the-rise-of-fascism-is-again-the-issue
26.02.2015
Scelto e tradotto da GIANNI ELLENA per http://www.comedonchisciotte.org

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Testo originale:

Why the rise of fascism is again the issue

Pubblicato in Attualità

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