A tutte le latitudini, il trasformismo dell’estrema destra, è cosa nota e dimostrata dalla storia. In un progetto di paese come quello presentato da Lula, principalmente rivolto ai settori che Bolsonaro disprezza e ha calpestato, la figura di Alckim (vicepresidente di Lula) è tutt’altro che rassicurante: tanto più nel Brasile del lawfare e del golpe istituzionale, come si è visto con l’allora vice di Dilma Rousseff, Michel Temer.
Brasile: il giudice Sergio Moro ha diretto la strategia mediatica contro Lula. - Foto (manifesto): giudice Sérgio Moro e il pubblico ministero Deltan Dallagnol
Nel novembre 2014, PriceWaterhouseCoopers, principale società di revisione contabile degli Stati Uniti, rifiutò di approvare gli utili del terzo trimestre dichiarati da Petrobrás e richiese l’apertura di un’inchiesta che facesse luce sulla corruzione dilagante all’interno della società, mentre il prezzo delle materie da cui l’economia brasiliana è fortemente dipendente cominciava letteralmente a crollare.
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Nei mesi successivi, quando il Paese si trovava nel pieno dei preparativi in vista delle Olimpiadi del 2016, Standard & Poor’s e Moody’s calarono la scure attraverso una serie di declassamenti del debito pubblico brasiliano che esaurirono definitivamente la già esausta spinta propulsiva del Brasile. L’arretramento economico finì inesorabilmente per alimentare le tensioni sociali, che un gruppo di uomini politici particolarmente ambiziosi non esitò a cavalcare per promuovere un radicale cambiamento di rotta nella vita politica brasiliana, dilaniata – come molte altre – dalla corruzione. L’aspetto tragicomico della vicenda è che i principali promotori della svolta “etica”, vale a dire il presidente della Camera Eduardo Cunha e il presidente del Senato Renan Calheiros, entrambi membri del Partido do Movimento Democrático Brasileiro (Pmdb), si trovavano entrambi sotto indagine da parte della magistratura per corruzione e malversazione – è stato dimostrato che qualcosa come 15 conti offshore fossero riconducibili a Cunha – nell’ambito dell’indagine Lava Jato.
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Ciononostante, riuscirono a ottenere la messa in stato d’accusa per “aggiustamento” dei conti pubblici – la cosiddetta “pedalata fiscale” – di Dilma Rousseff. La quale, dopo aver ottenuto la riconferma elettorale sconfiggendo il candidato Aecio Neves, appoggiato dagli Usa e da George Soros in quanto legato al suo Quantum Fund, assurse così a simbolo dell’affarismo rampante che avvelenava la vita politica ed economica brasiliana, benché il consesso che ne decretò la destituzione, la Camera dei deputati, fosse composto per il 70 per cento circa da elementi coinvolti in vicende legate alla corruzione.
Dilma Rousseff funse da vittima sacrificale
La Rousseff funse da vittima sacrificale condannata a pagare per intero un conto che oltrepassava enormemente le sue responsabilità, tanto è vero che i revisori indipendenti ingaggiati dal Senato brasiliano per far luce sul caso non ravvisarono alcuna irregolarità riguardo alla sua condotta; nei mesi seguenti la ex presidente sarebbe stata scagionata anche in sede giudiziaria con l’archiviazione del procedimento a suo carico da parte della procura federale. La caduta della Rousseff rappresentava il “primo atto” della poderosa offensiva sferrata dal blocco di potere costituito da organi di informazione, magistratura e alta finanza contro il Pt. La cortina fumogena della lotta alla corruzione lasciava infatti trasparire in controluce l’intenzione di assumere il controllo della politica monetaria e della capacità di decidere gli investimenti pubblici da parte delle oligarchie brasiliane e dei loro sostenitori di Wall Street, da sempre molto attivi nell’influenzare la vita politica ed economica del Brasile.
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Non a caso, il principale artefice della congiura che portò alla caduta della presidente in carica va ricercato in Michel Temer del Pmdb, che prima di essere a sua volta travolto dallo scandalo della corruzione legato a Petrobrás riuscì a piazzare nella propria squadra di governo, insediatosi all’indomani della destituzione della Rousseff, personaggi strettamente legati all’universo di Wall Street. Gente del calibro di Paulo Leme, ex capo economista presso il Fondo monetario internazionale riciclatosi in specialista dei mercati emergenti per conto di Goldman Sachs, di Ilan Goldfajn, già capo economista – dalla doppia cittadinanza israelo-brasiliana – della Itaú, la maggiore banca privata del Brasile, e soprattutto di Henrique Meirelles, ex presidente della Banca centrale brasiliana e della Bank Boston nonché artefice del Piano Real, un progetto che era culminato con la sostituzione del cruzeiro con una nuova moneta – il real, per l’appunto – dollarizzata e con la trasformazione del debito interno in debito estero denominato in dollari, cosa che privò quasi completamente lo Stato del controllo sulla politica monetaria.