Una Cuba cubana non potrà mai essere capitalista

Il popolo cubano è stato forgiato nella lotta antimperialista per difendere l’indipendenza e la sovranità di una patria che è diventata più socialista e più cubana nella sua azione emancipatrice dopo aver resistito alla caduta dei falsi socialismi.

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Il fallimento di una Cuba cubana capitalista

Si sono studiati gli annessionisti, anche se è necessario contestualizzarli e distinguere le tendenze, una questione che non di rado viene trascurata nelle generalizzazioni superficiali. Certo, l’analisi classista della società cubana è decisiva per capire il tutto; essa è stata la più applicata, anche se non sempre con profondità, attualizzazione e cubanità. L’ideologia di Saco è rimasta senza progetto nel XIX secolo e, oggi o in futuro, meno che meno ne ha o ne avrà, finché ci saranno forze imperiali che cercano di impadronirsi di Cuba, il che non significa che i resti di quelle ideologie non agiscano nella società cubana.

"...l'ideologia di Saco è rimasta senza progetto nel XIX secolo stesso e oggi non ne ha uno, né lo avrà mai...". Foto: Radio Trinidad Digital

Saco, che, come Varela, Heredia e Martí, per citare solo i più rilevanti, faceva parte di coloro che furono costretti a vivere fuori dalla loro patria, lamentava l’isolamento sociale tra i cubani dovuto alla mancanza di fraternità verso i più indifesi o i più bisognosi nell’isola stessa, un concetto legato alla fratellanza verso il vicino compatriota, diverso dalla solidarietà, categoria riferita all’adesione circostanziale a una causa generalmente difesa a distanza. Per anni, la Rivoluzione ha instillato la solidarietà necessaria per consolidare le cause giuste, ma ciò non ha implicato la dimenticanza dell’imprescindibile fraternità. Oggi, di fronte alle dure contingenze, il popolo cubano ha dimostrato di essere non solo solidale, ma anche fraterno, anche se alcune persone rispondono in un modo alla solidarietà e in un altro alla fratellanza.

José Antonio Saco passò buona parte della sua vita a criticare il regime coloniale con i suoi vizi, come l’indolenza e la mancanza di cultura del lavoro, che attribuiva a problemi di educazione, non di istruzione, ma di responsabilità educativa; le sue richieste riformiste di un governo autonomo combattevano risolutamente la tratta degli schiavi e i suoi beneficiari, che erano tra i suoi principali nemici. Pertanto, l’unità dei cubani intorno a una patria fondata sull’educazione civica è anche un’ideologia di autentici riformatori e non solo di rivoluzionari.

Nell’opera di Saco troviamo analisi socio-politiche che uniscono passione e rigore, ma essa conteneva una contraddizione che non poté mai essere risolta: si posizionava dalla parte del governo spagnolo, pur sapendo che questi non ci capiva né ci amava, ma ci usava in un regime di sfruttamento; d’altra parte, anche se i rappresentanti cubani non erano considerati nei tribunali spagnoli e i loro inviati coloniali nell’Isola governavano con “poteri onnimodali”, il pensatore di Bayamo diffidava dei metodi rivoluzionari e temeva il popolo, specialmente i neri. Poiché non si è mai liberato della sua natura classista e razzista, non è mai diventato abbastanza grande.

La sfiducia nel popolo e la paura delle strategie radicali – che “vanno alla radice”, e non moderate, come a volte si suole confondere ponendo il rivoluzionario nell’antinomia della moderazione -, sono state accolte da molti cubani amanti della patria, ma non rivoluzionari o da coloro che hanno abbandonato il loro impegno in quella linea, sia per stanchezza, logoramento o esaurimento, sia per convinzioni personali. Anche quando faceva notare il disprezzo con cui le classi superiori della società si riferivano al lavoro manuale, un vizio delle “mani morte” spagnole ridicolmente ereditato dalla nostra sacraocrazia e dai suoi damerini, Saco non fu mai in grado di andare oltre a questa critica, diventando una voce riformista che gridava nel deserto quando fu sorpreso dallo scoppio rivoluzionario del 1868. I nostri attuali “riformisti” – è problematico, data la complessità delle ideologie, assegnare delle etichette – non sono in grado o non vogliono essere radicali e, forse, rimangono diffidenti nei confronti del popolo.

Convinto che la schiavitù fosse il principale pericolo per la stabilità dell’isola, a prescindere dall’immoralità di mantenere il lavoro degli schiavi come base produttiva della società, le riflessioni di Saco erano rivolte alla soppressione del commercio degli schiavi, fonte di reddito per una parte potente dei funzionari della Corona. La graduale estinzione della schiavitù era dannosa non solo per alcuni proprietari di schiavi che non volevano cambiamenti nelle forza lavoro, ma anche per importanti burocrati coloniali. L’introduzione del lavoro salariato e la sostituzione degli schiavi con i braccianti, con la creazione del colonato nell’agricoltura della canna da zucchero, creò una forma moderna di sfruttamento che era in sintonia con la concentrazione del capitale e della tecnologia verso una maggiore produttività, ma ci volle tempo e adattamento; una tale transizione non fu assimilata dai fondamentalisti più conservatori, e il loro odio viscerale verso tale predicazione  che eliminò improvvisamente la loro fonte di reddito. Saco era convinto che Cuba avesse tutte le condizioni per essere una provincia spagnola d’oltremare, con identici doveri e diritti, governo e status, ma perché ciò accadesse bisognava incoraggiare l’immigrazione bianca: la sua paura dello schiavo e del popolo contribuiva a formare la sua ideologia.

“Oggi la nostra stabilità, qualunque sia l'ideologia di coloro che difendono una Cuba cubana, si decide sulla forza dell'economia…”. Foto: Caricatura de Martirena en Vanguardia

Oggi la nostra stabilità, qualunque sia l’ideologia di coloro che difendono una Cuba cubana, si decide sulla forza dell’economia, e il pericolo principale sta nella scarsa capacità produttiva e commerciale; pertanto, per coloro che hanno idee patriottiche, anche se non sono rivoluzionarie, sarebbe una contraddizione, al di là delle proprie inadeguatezze e cattiva gestione, schierarsi con coloro che danneggiano l’economia cubana, ed è impossibile per chiunque ami veramente Cuba dichiararsi a favore del blocco economico, commerciale e finanziario del governo degli Stati Uniti, perché la sofferenza ricade sul popolo e le forze straniere sono in una posizione di forza per soggiogare il paese. Non importa che certe adesioni alle pratiche asfissianti del blocco si spieghino in alcuni casi non con interessi economici, ma con dolorose esclusioni e persino repressioni subite nell’isola: esse vanno contro l’indipendenza della patria.

"...risulta impossibile per chiunque ami veramente Cuba parlare a favore del blocco economico, commerciale e finanziario del governo degli Stati Uniti...", il blocco economico, commerciale e finanziario del governo statunitense...". Foto: Misiones. Minrex

La predicazione e le influenze di Saco intorno agli anni ’30 furono molto importanti nel mezzo dello smembramento delle nazioni che avevano ottenuto l’indipendenza dalla Spagna nel continente. Il sogno di Bolivar era stato infranto dalla divisione tra Colombia e Venezuela, la conversione della presidenza di Quito nella Repubblica dell’Ecuador senza unirsi a nessuno, l’abolizione della costituzione bolivariana in Perù, l’assassinio di Antonio José de Sucre in Bolivia, alcuni tradimenti dell’unità latinoamericana e la morte dello stesso Liberatore. Già questi governi non erano disposti ad aiutare Cuba per la sua indipendenza. Dionisio Vives e Miguel Tacón come governatori assoluti, e Claudio Martínez de Pinillos, conte di Villanueva, come intendente, misero a tacere tutti i tentativi di ribellione nell’isola.

Il lavoro giornalistico di Saco attraverso El Mensajero Semanal, stampato negli Stati Uniti e circolante liberamente a Cuba in piena repressione, contribuì a rafforzare il sentimento americano e cubano. La sua polemica con lo scienziato spagnolo Ramón de la Sagra sulla poesia di Heredia rese chiare le doti del brillante polemista di Bayamo, quando attaccava il suo avversario anche nelle discipline scientifiche a cui quest’ultimo si dedicava, ma la posta in gioco non era una questione letteraria o scientifica, bensì politica. Allo stesso modo, la controversia sulla creazione dell’Accademia cubana di letteratura, che ha portato al suo esilio, è stato un dibattito in cui era in gioco l’orgoglio di essere cubano. Questo orgoglio per il progresso o il successo della nazione definisce il vero cubano, anche se non è un rivoluzionario radicale.

Non pochi creoli consideravano l’annessione come un passo precedente all’indipendenza, o almeno come una soluzione per lasciare la Spagna, e alquanto ingenuamente credevano che assicurasse il progresso dell’isola. Saco criticava queste idee e affermava di desiderare una Cuba cubana; portava l’esempio del territorio della Louisiana francese, assimilato all’Unione, trasformato in un altro stato e persino con un’altra lingua, motivo per cui considerava che l’annessione era assorbimento e perdita dell’identità e della cultura, oltre alla subordinazione a un potere sovranazionale; aspirava a una Cuba non solo ricca e illuminata, ma vera, con modelli propri e che rispondesse alla sua natura storica.

José Antonio Saco "...riteneva che l'annessione fosse assorbimento e perdita di identità e cultura, oltre alla subordinazione a un potere sovranazionale...". Foto: Internet

Ovviamente, Saco era anche odiato e messo in discussione dai beneficiari del commercio con gli Stati Uniti che cercavano di unirsi a quel paese; creoli che non capivano, o non volevano capire le predicazioni che avrebbero compromesso le loro tasche. Deciso per l’opzione anti-annessionista, si autodenominò “Il Messaggero dei Tempi” e negli ultimi anni della sua vita difese il suo riformismo politico, privo di un progetto realizzabile davanti a una metropoli che non lo accettava e respingeva tutte le sue proposte affinché l’Isola ottenesse una certa autonomia, mentre il potente vicino aspettava che i frutti maturassero. Ardente e lucido polemista, si sentiva un suddito della Spagna, e nonostante ciò, fu considerato da molti fondamentalisti un traditore, data la possibilità di offrire ai creoli un certo status di minore dipendenza dalla metropoli, anche se minimo. Ancor peggio appariva agli occhi degli annessionisti, che non lo tolleravano. Non è stato invano che ha voluto per la sua tomba nel cimitero Cristoforo Colombo all’Avana, un epitaffio scioccante: “Qui giace José Antonio Saco, che non era un annessionista, perché era più cubano di tutti gli annessionisti”. Se in quel secolo non c’era un progetto per il suo riformismo liberale, oggi ce n’è ancora meno per una ricostruzione neoliberale. L’unico modo allora per fare una Cuba cubana era il separatismo, l’indipendenza e una repubblica sovrana; oggi, risulta vieppiù necessario un socialismo con caratteristiche proprie per costruire la società completamente giusta, prospettata da José Martí.

Nemmeno dopo il 1902 ci poteva stare un progetto di Cuba cubana simile a quello di Saco. L’incipiente capitalismo nazionale che questo pensatore voleva promuovere per uscire dalla schiavitù, si trasformò alla fine del secolo in una grossolana dipendenza dal governo degli Stati Uniti, attraverso l’intervento armato quando i combattenti per l’indipendenza molestavano le forze colonialiste spagnole, o sotto la maschera nella repubblica dipendente di un ipocrita panamericanismo, sostenuto dalle politiche statunitensi del Grande Bastone, della Diplomazia del Dollaro e del Buon Vicino, tra le altre, fino al 1959. Con la voracità imperiale sotto il naso, un progetto di capitalismo nazionale per Cuba non è stato realizzabile, ed è difficile non notarlo seguendo il pensiero fondatore di Martí, la devastante analisi dell’essenza del sistema realizzata da Karl Marx e la creatività e il coraggio di Fidel Castro. La transizione da una società schiavista a una società socialista a Cuba è passata attraverso un simulacro di capitalismo, dipendente dal capitale degli Stati Uniti e dai suoi governi.

"...Con la voracità imperiale sotto il nostro naso, un progetto di capitalismo nazionale per Cuba non è stato realizzabile...". Foto: Internet

Il popolo cubano è stato forgiato nella lotta antimperialista per difendere l’indipendenza e la sovranità di una patria che è diventata più socialista e più cubana nella sua azione emancipatrice dopo aver resistito alla caduta dei fragili socialismi; una patria che deve progettare la propria democrazia, e diventare economicamente prospera per conquistare tutta la giustizia. È stato una cammino lunga e forse tardivo. Si sa già che il blocco sparirà solo quando non avrà più senso per la politica imperialista, mai per buona volontà, perché gli imperialisti lo usano come elemento di ricatto per favorire le loro politiche, e lo disattiveranno solo quando saranno veramente convinti del suo fallimento, e avranno una strategia ben progettata che permetta loro di raggiungere gli stessi scopi sotto un trucco meglio accettato dalla comunità internazionale, un cambio di tattica per prendere i frutti maturi. Lo sviluppo dell’economia con i nostri propri sforzi e l’esercizio quotidiano di una democrazia partecipativa sono le prime condizioni per avere non solo una Cuba cubana, ma per tutti i cubani.


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