Verso la fine del capitalismo? C’è ancora molta strada da fare!

Il capitale non è mai disposto, in nessun caso, a fare concessioni: bisogna lottare fino alla morte

Il sistema capitalista è molto ben corazzato, è difficile che cada presto e sicuramente non da solo

di Marcelo Colussi
Fonte: Rebelión
Traduzione e aggiunte: GFJ

Tutto il capitale dei nostri banchieri, mercanti, produttori
e grandi proprietari terrieri non è altro che il lavoro
non pagato accumulato dalla classe operaia
“.

Friedrich Engels

Nulla è eterno… ma il capitalismo vuole far credere che lo sia. Nella storia dell’umanità non è mai esistito un modo di produzione che si sia perpetuato in eterno; tutti cadono, si trasformano e vengono sostituiti da nuovi, che ampliano le possibilità umane. Il cosiddetto “comunismo primitivo” (la precaria sussistenza della specie come cacciatori/pescatori e radunatori, che dopo innumerevoli millenni è arrivata a padroneggiare il fuoco) è durato per due milioni e mezzo di anni. Dalle caverne e dalla difficoltà di sopravvivenza, ci sono voluti tempi incommensurabili per arrivare all’agricoltura. Più o meno in diverse parti del pianeta, dove la specie umana si era già diffusa, tra i 10.000 e gli 8.000 anni fa è comparsa l’agricoltura con la possibilità di produrre un surplus, e le persone diventano sedentarie, sviluppando in seguito l’allevamento. Poiché ciò è avvenuto più o meno all’unisono a diverse latitudini, si può concludere che gli esseri umani sono molto simili ovunque. Non esiste uno superiore. In tutte le latitudini, la paura dell’incommensurabile, della natura, della finitudine, ha dato origine al pensiero magico-animistico, alle religioni, alle spiegazioni dell’inspiegabile. Ovunque sul pianeta, più o meno all’unisono, gli esseri umani hanno fatto – e continuano a fare – la stessa cosa.
Credere che ci siano degli “eletti” evidenzia fragilità simili per tutti; le differenze sono gli strumenti con cui risolviamo la vita pratica, che in molti casi finiscono per diventare simboli di potere. Nel capitalismo, l’adorazione del medesimo (spesso mero orpello) ha raggiunto livelli senza precedenti: “La vita si impone: tanto hai, tanto vali” (Rafael de León).

Le odiose e talvolta ripugnanti differenze sociali che la civiltà ha stabilito sono chiaramente costruzioni storiche e quindi modificabili. Non esistono “razze superiori”; è ora di abbandonare questa idea irrazionale e ripugnante una volta per tutte. Tutti gli esseri umani fanno più o meno le stesse cose, soffriamo e gioiamo per le stesse cose, ci spaventiamo allo stesso modo dappertutto e, da un punto di vista storico, i progressi della civiltà si verificano più o meno nello stesso periodo tra tutti i popoli: tutti padroneggiano il fuoco, l’agricoltura, la lavorazione dei metalli e la vita sedentaria, più o meno nello stesso periodo. Nel giro di 100-150 anni (dal 1940 in poi), diverse parti del mondo hanno raggiunto la fissione nucleare o hanno lanciato congegni nello spazio (hanno iniziato gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica; oggi lo fanno già i Paesi africani). E più o meno all’unisono, cambiamenti culturali simili si stanno realizzando in tutti gli angoli del mondo; per esempio, l’apertura in relazione alla vita sessuale (non passerà più di un secolo prima che le società omofobiche più chiuse integrino il matrimonio egualitario nella loro vita quotidiana. L’Inghilterra, fino al 1967, l’aveva legalmente vietato; con quale diritto pretende di essere “civilizzata” e “superiore” mantenendo una monarchia medievale e parassitaria?). Alla fine (la decifrazione del genoma umano lo ha reso assolutamente chiaro), tutti gli abitanti di questa specie che chiamiamo esseri umani sono, in un certo senso, esattamente uguali. Il materialismo storico e la psicoanalisi sono d’accordo su questo punto. Ripetere la stravagante idea di “razza padrona”, di “giardino fiorito” contro “giungla” (come ha detto un “civilissimo” funzionario dell’Unione Europea), o di “Paesi di merda”, come ha detto il presidente di una “grande” potenza capitalista, è, oltre che immorale, una completa e totale assurdità senza il minimo fondamento.

Tutte le formazioni economiche e sociali finora conosciute si evolvono e cambiano. È quello che è successo con il cosiddetto modo di produzione dispotico-tributario, con la schiavitù, con il feudalesimo. Marx dice in un passaggio storico del 1859, il preambolo di Das Kapital, che già cominciava a delineare: “Il modo di produzione della vita materiale condiziona il processo della vita sociale politica e spirituale in generale. Non è la coscienza dell’essere umano a determinare il suo essere ma, al contrario, è l’essere sociale a determinare la sua coscienza. Quando le forze produttive materiali della società raggiungono un certo stadio di sviluppo, entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti o, come espressione giuridica, con i rapporti di proprietà all’interno dei quali si sono sviluppate fino a quel momento. Da forme di sviluppo delle forze produttive, questi rapporti diventano i loro ostacoli, e così si apre un’epoca di rivoluzione sociale“.
Il sistema attuale, il capitalismo, come tutte le formazioni precedenti, porta nelle sue viscere i semi della sua distruzione. Ma – lo vediamo, lo subiamo – è lento a cadere. Ma direi di più: si dimostra molto forte, non c’è segno di agonia da nessuna parte. Se già all’inizio del XX secolo si presumeva la transizione al socialismo – e ci furono le prime esperienze socialiste con la Russia e la Cina, più altre che si sarebbero aggiunte – oggi, nei primi decenni del XXI secolo, non c’è nulla che faccia presagire una sua precoce caduta. “I morti che uccidi sono in buona salute“, si potrebbe dire, imitando un anonimo detto spagnolo.

Il capitalismo ha indubbiamente imparato la lezione della sopravvivenza. E l’ha imparato molto bene. Nei suoi lunghi secoli di esistenza, ha superato con successo crisi economiche, rivoluzioni socialiste, guerra fredda, organizzazione sindacale, movimenti alternativi, pandemie… In realtà, non è agli sgoccioli. Se si può dire che il neoliberismo – una versione corretta e potenziata del liberalismo classico, sfruttamento spietato senza anestesia – abbia fallito, è stato solo per il desiderio (forse disperato) di vedere la fine del sistema capitalista. Non si è esaurito, non ha fallito; le élite che favorisce non possono dire di aver fallito. Noi, il fronte popolare, siamo quelli che sono sconfitti, decimati, senza una direzione chiara al momento. In realtà, il sistema capitalista è diventato un vecchio “saputello” e non è minimamente disposto a scomparire. Il suo arsenale di risorse per continuare a darsi la vita è quasi infinito e lo rinnova continuamente.

Il sistema si è sempre opposto con violenza a qualsiasi tentativo di trasformazione. Con il sangue e il fuoco ha sedato le prime proteste dei lavoratori in Europa, poi negli Stati Uniti – le prime potenze a svilupparsi con questo modello economico-sociale – e successivamente in tutto il mondo. Le conquiste della classe operaia (la giornata lavorativa di otto ore, i vari benefici, la dignità del lavoro, tra gli altri) hanno dovuto essere conquistate con lotte terribili e sanguinose. Il capitale non è mai disposto, in nessun caso, a fare concessioni: bisogna lottare fino alla morte.

Dopo diversi secoli in cui si è sentito dominante, e dopo aver messo tra parentesi le prime esperienze socialiste del XX secolo, il sistema si sente onnipotente, vittorioso. Inoltre, è pronto a ricorrere a qualsiasi mezzo per conservarsi; se per farlo ha bisogno delle atrocità più crudeli, nulla gli impedisce di commetterle. Così la storia del capitalismo, al di là di quell’idea lacunosa e pusillanime che ha intronizzato come sue massime insegne la “democrazia(rappresentativa, non diretta), la “libertà” (di impresa? ) e la difesa dei diritti umani, è una successione infinita di mostruosità: ha proletarizzato in condizioni insopportabili le grandi masse contadine d’Europa per avviare il suo processo di industrializzazione, ha saccheggiato ferocemente l’intero continente americano rubando le materie prime, ha schiavizzato le popolazioni nere dell’Africa per portarle con la forza dall’altra parte del mare, ha decimato interi popoli in ogni angolo del pianeta trasformandoli in colonie – un’aberrazione che continua ancora oggi anche se parla pomposamente di diritti umani -, ha represso in modo criminale ogni protesta popolare, ha fatto della guerra il suo business più redditizio (l’umanità spende 25.000 dollari al secondo in armamenti), ha usato armi di distruzione di massa nella più totale impunità (bombe atomiche, guerra chimica e batteriologica, neuro-armi), ha mantenuto idiota metà dell’umanità con sottili meccanismi ideologico-culturali per mezzo dei suoi strumenti più efficaci, fondamentalmente i mass media di quest’ultimo secolo, Mente spudoratamente, finanzia dittature ed eserciti repressivi, tortura, rapisce, fa sparire persone “indesiderabili” per la sua logica, sostiene gli squadroni della morte e non pochi altri preziosismi, che presenta sempre sotto mentite spoglie di “difensori” di un presunto ordine naturale che non può cambiare.

Il capitalismo, ovunque si sviluppi, è sempre lo stesso (ricordate la prima epigrafe). Le imprese private in Russia, oggi un Paese capitalista – l’Unione Sovietica socialista non esiste più – sfruttano in modo spaventoso come qualsiasi impresa capitalista redditizia in qualsiasi parte del mondo, negli Stati Uniti, in Giappone o in Egitto, in Birmania o in Messico. Il capitalismo è capitalismo, punto e basta. Un esempio piccolo ma molto significativo è la miniera di Fénix in Guatemala, dove capitali russi e svizzeri (Solway Investment Group, con sede a Ginevra e operazioni in Macedonia del Nord, Ucraina, Indonesia e nel Paese centroamericano sopra citato) estraggono nichel, cobalto, ferro, cromo, magnesio e numerose terre rare, ignorando le illegalità che commettono, reprimendo le proteste popolari con guardie private e l’appoggio dell’esercito nazionale – uccidendo chi protesta – e inquinando irresponsabilmente l’ambiente della zona, che poi abbandoneranno una volta esaurita la produzione.
Può esistere un capitalismo “buono”? Assolutamente impossibile! Né quello degli Stati Uniti, né quello dell’Honduras, della Nigeria o della Germania: il sistema si basa sullo sfruttamento di chi lavora (ancora una volta: ripassare la prima epigrafe).

Il modo di produzione capitalista cerca di generare profitto ad ogni costo, e nient’altro. Nulla gli impedisce di farlo. Anzi, fa di tutto per garantire che non cambi nulla. Si permette persino di modificare superficialmente alcuni aspetti in modo che, nella sostanza, non cambi nulla: il gattopardismo. In questo, più che nelle società precedenti (antica schiavitù, società agrarie gestite con fruste e sacrifici umani, torture ed esecuzioni nelle piazze come messaggio di punizione per chi protestava), il capitalismo è migliorato e oggi è maestro nella manipolazione delle popolazioni. La repressione della protesta, di qualsiasi tipo di protesta che minimizzi il tasso di profitto del capitale, è all’ordine del giorno. Ecco perché in ogni istante, minuto per minuto, secondo per secondo, il sistema non si concede un attimo di riposo per evitare di essere sfidato. La forza bruta è sempre stata dominante: repressione poliziesca o da parte di qualsiasi forza statale (lo Stato è sempre un meccanismo a favore della classe dominante), gruppi paramilitari, torture, colpi di Stato, militari che gestiscono dittatorialmente le cose a favore dell’oligarchia, esecuzioni con processi sommari… I milioni di litri di sangue versati inondano la storia del capitalismo, anche se si straccia le vesti parlando di diritti umani (che, ovviamente, viola categoricamente).

Oggi, imparando dalla storia, il capitalismo come sistema globale si è “perfezionato”. Non pone più l’accento sulla repressione aperta e sanguinosa, ma delinea metodi meno cruenti e probabilmente più efficaci: la guerra mediatica-psicologica e la lawfare. Zbigniew Brzezinsky, il famoso ideologo dei think tank del Nord, ha detto del primo: “Nella società di oggi, la rotta è stabilita dalla somma del sostegno individuale di milioni di cittadini scoordinati che cadono facilmente nel raggio d’azione di personalità magnetiche e attraenti, che sfruttano efficacemente le tecniche più efficienti per manipolare le emozioni e controllare la ragione“. Per quanto riguarda la seconda, un altro intellettuale organico dell’establishment statunitense, Joel Trachtman, ha dichiarato: “La guerra legale può sostituire la guerra tradizionale quando funziona come mezzo per costringere comportamenti specifici a costi inferiori rispetto alla guerra cinetica, e anche nei casi in cui la guerra cinetica sarebbe inefficace“. È chiaro che si possono impiegare tutti i tipi di armi e che a volte le armi non letali sono più efficaci (si veda la seconda voce). Va ricordato che in un manuale di controinsurrezione statunitense degli anni ’60, subito dopo la Rivoluzione cubana, si parlava di strategie di controinsurrezione 1) armata (eserciti e gruppi specializzati) e 2) non armata: la cosiddetta “cooperazione allo sviluppo“. Tutti, assolutamente tutti, strumenti di controllo sociale per impedire che qualcosa cambi.

I sanguinosi colpi di Stato di un tempo sono ora sostituiti da “sottili” meccanismi di controllo, spesso mascherati da lodevoli lotte contro la corruzione. Ci sono le cosiddette “rivoluzioni colorate“, ad esempio. Non c’è dubbio che l’intelligenza del sistema sia totalmente concentrata sulla ricerca di tutti i modi per sopravvivere, spesso sotto forma di lodevoli progetti di giustizia, parlando di diritti umani e di lotta contro le autocrazie. Chi potrebbe opporsi alla lotta contro la corruzione, per esempio? Qualcuno si ricorda oggi dei Panama Papers? Se analizzate nel dettaglio, queste iniziative sono forse più dannose delle guerre frontali.

Il capitalismo è spietato, anche se si presenta con la maschera di equità, responsabilità, gentilezza e piantando un albero o due per affermare di combattere il cambiamento climatico. È un serpente velenoso che preferisce uccidere le persone, o ingannarle ferocemente con i metodi più degradanti, piuttosto che perdere un centesimo. Il punto è che, come diceva Lenin, “non cadrà se non ci saranno forze sociali e politiche che lo faranno cadere“. E oggi, visto il lavoro che sta facendo così bene, ha “addomesticato” la protesta popolare a tal punto che queste forze sociali e politiche sono in qualche modo senza timone. Pertanto, dovremo continuare a cercare modi per andare avanti. “Non c’è un sentiero per il viandante, il sentiero si compie camminando” (Antonio Machado).

 


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