4 Maggio 1919 – 4 Giugno 1989: gli studenti in Piazza Tian’anmen (La “Primavera Cinese”, prima rivoluzione colorata abortita)


Non indignari, non admirari, sed intelligeri
Spinoza

Sono sempre più numerose le testimonianze e le ricostruzioni storiche che smentiscono i fatti a cui finora tutti, o quasi tutti, avevano acriticamente creduto riguardo i fatti di Piazza Tienanmen del 1989 (leggi)

Pubblichiamo un importante contributo di Maria Morigi

4 Maggio 1919 – 4 Giugno 1989: gli studenti in Piazza Tian’anmen

Ricorda 1919: il Movimento del 4 maggio | Lo Spiegone

L’ Università di Pechino (Beida) e il Movimento di Nuova Cultura (1915-1921)

Passeggiando nel vasto campus universitario dell’Università di Pechino (Beida), lungo le rive del lago Weiming che circonda gli ex giardini imperiali dei Palazzi d’Estate della dinastia Qing, tra il verde e le aiuole, si incontrano dediche e busti di letterati, scienziati e docenti che contribuirono alla costruzione della nuova Cina. Molte delle migliori menti -lo stesso Mao Zedong, lo scrittore Lu Xun, lo scrittore e diplomatico Hu Shih, i politici comunisti Li Dazhao e Chen Duxiu- provengono da questa Università, fondata nel 1898 durante la Riforma dei cento giorni, che vanta oggi non solo un museo, ma anche la più ricca e preziosa biblioteca-archivio universitaria dell’intera Repubblica Popolare Cinese.

Nel periodo di decadenza dell’Impero Qing e durante la prima fase della Repubblica di Cina, l’Università con il Movimento di Nuova Cultura (1915-1921) divenne centro propulsore di pluralismo ideologico e di pensiero progressista. La rivista d’avanguardia Xin Qingnian (Gioventù Nuova) diffondeva il dibattito intorno alle idee di progresso su basi scientifiche ed evoluzionistiche e di riforme su modello occidentale. Contribuivano intellettuali e studiosi di varia formazione: pragmatisti, liberali, utopisti, anarchici, darwinisti, molti dei quali avevano studiato e insegnato all’estero. All’interno del movimento furono gettate le basi ideologiche del marxismo, offrendo una spiegazione “scientifica” all’arretratezza del Paese e contrapponendosi alle umiliazioni inflitte da parte del sistema capitalistico-imperialistico occidentale.

Denominatore comune dei vari filoni di pensiero era la convinzione che l’arretratezza cinese, incarnata nell’istituto imperiale, fosse da imputare alla tradizione confuciana, per cui si diede centralità alle categorie (i giovani e le donne) più penalizzate dalla struttura gerarchico-patriarcale imperiale. Fu avviata una riforma linguistica e letteraria che giunse a maturazione trent’anni più tardi con l’introduzione dei caratteri semplificati. Sorse quindi un concetto di nazionalità, che si doveva incarnare nella scrittura comune e non nella trasmissione di “rituali imperiali”, principi etici e tradizioni, concetto particolarmente sottolineato in reazione all’invasione e all’ingerenza giapponese.

Infine consideriamo che il Partito comunista cinese vide la luce nel luglio 1921, a Shanghai, proprio per opera del fondatore della rivista Gioventù Nuova, Chen Duxiu, e del direttore della biblioteca della Beida, Li Dazhao. L’Università Beida, distintasi nel tempo per libertà intellettuale, fu il luogo di nascita del Movimento del 4 maggio 1919 e della protesta studentesca di piazza Tian’anmen del 1989.

Trattato di Versailles 1919

Nella prima guerra mondiale la Cina ebbe un ruolo modesto dal punto di vista bellico: 140mila soldati cinesi inquadrati con le forze dell’Intesa sul Fronte occidentale, in Mesopotamia contro l’Impero Ottomano, e in Africa Orientale tedesca. Ebbe invece un ruolo determinante dal punto di vista economico, poiché il grande afflusso di manovali e operai cinesi in fabbriche e cantieri francesi, britannici e russi (Chinese Labour Corps) permise agli Alleati di contare su una consistente forza lavoro per sostenere la guerra contro gli Imperi centrali. Per tutta risposta Il trattato di Versailles, confezionato dai 4 Grandi, stabilì:

1. la cancellazione dei trattati stipulati tra Germania e Cina alla fine del 1800 relativi alle concessioni di Tianjin e Hankou,

2. la rinuncia da parte tedesca a privilegi e diritti derivanti dagli accordi siglati a Pechino del 1901,

3. Il trasferimento al Giappone di tutti i diritti tedeschi sulla baia di Jiaozhou(costa meridionale dello Shandong) in base agli articoli 156-157-158 del trattato di Versailles.

Il contributo cinese a fianco dell’Intesa veniva in tal modo ripagato con un ennesimo affronto: la provincia natale del Maestro Confucio era assegnata all’invasore giapponese. La decisione proveniva da quelle potenze straniere imperialiste che avevano colonizzato, depredato e immiserito la Cina con le Guerre dell’Oppio e i Trattati Ineguali (dal 1842 fino al 1901), costretto la Cina all’umiliante firma del trattato di Shimonoseki (1895) – che riconosceva l’indipendenza della Corea e la cessione al Giappone della penisola del Liaoning, di Taiwan e delle isole Pescadores – e prodotto le 21 richieste del 7 maggio 1915 che avrebbero gettato il Paese in uno stato di completo vassallaggio nei confronti del Giappone (le 21 richieste non furono firmate da parte cinese). L’unica cosa che le potenze imperialistiche restituirono furono alcune attrezzature astronomiche, sottratte dalle truppe tedesche a Pechino nel 1901, nel corso della repressione dell’ insurrezione dei Boxers. Per di più la confusa situazione interna della Repubblica di Cina, proclamata nel 1912, apriva la strada alla frammentazione territoriale del Paese sotto la guida di signori della guerra, spesso ben manovrati da quelle stesse potenze straniere che avevano procurato i danni precedenti.

Piazza Tian’anmen, 4 Maggio 1919

Il 4 maggio 1919, all’una del pomeriggio, oltre tremila studenti cinesi confluirono al punto di incontro designato inPiazza Tian’anmen. Promossa da 13 istituti scolastici e universitari di Pechino, la manifestazione studentesca, ufficialmente indetta per protestare contro le decisioni prese a Versailles, si propagò finendo per coinvolgere la borghesia urbana e gli operai delle fabbriche straniere e cinesi.Venne elaborato un Manifesto il cui testo riprese la contrarietà al Trattato di Versailles in chiave antigiapponese, ma conteneva anche altre rivendicazioni che mettevano in discussione le scelte di politica interna della Repubblica di Cina .

Sull’impulso di quella giornata nacque il Movimento del 4 Maggio che, in base ad idee ispirate al radicalismo liberale, all’anarchismo e al marxismo, segnò il risveglio politico e la coscienza di classe del proletariato cinese. Con l’intensificarsi degli scioperi in varie città sorsero circoli comunisti che videro l’alleanza tra studenti e operai. I primi comunisti cinesi, coloro che costituirono a Shangai nel 1921 il Partito Comunista, furono proprio i rappresentanti degli intellettuali rivoluzionari provenienti, in prevalenza, dalla gioventù studentesca delle università, specie quella di Pechino.

Tornando ai fatti di Tian’anmen del 4 maggio 1919, Fu Sinian , presidente del comitato organizzativo, pur richiamando alla moderazione e auspicando una manifestazione pacifica, era intenzionato a portare avanti una pubblica protesta soprattutto contro la corruzione dei politici cinesi e l’espansionismo giapponese. Quando i manifestanti marciarono verso il Quartiere delle Legazioni, a sud della Città Proibita, dove erano le ambasciate straniere, emersero le posizioni più intransigenti e rabbiose in attacco del lassismo delle alte sfere politiche: venne devastata la casa di Cao Rulin, ministro dei Trasporti filogiapponese, e venne pestato Zhang Zengxiang, ambasciatore in Giappone, umiliati ambedue con il taglio del codino che era segno di devozione e fedeltà verso la decaduta dinastia dei Qing. A nulla valse l’intervento del ministero dell’Istruzione, della polizia e delle autorità accademiche che tentavano di calmare la protesta: vennero fatti 32 arresti. In poco tempo, proteste simili a quelle di Pechino scoppiarono in diverse altre città, tra cui Shanghai, Nanchino, Tianjin e Guangzhou. A giugno, scioperi sindacali e la chiusura di molti negozi resero più tesa la situazione. Alcuni residenti giapponesi vennero attaccati e le merci giapponesi boicottate. I disordini continuarono fino a quando il governo non aderì ad alcune delle richieste dei manifestanti e accettò di rilasciare gli studenti arrestati .

Di fatto, l’intero governo si dimise mentre, a Versailles, la delegazione cinese dichiarò di non essere disposta a firmare il trattato di pace. Le discussioni sul problema dello Shandong continuarono per altri tre anni, per concludersi definitivamente solo alla Conferenza di Washington del 1922 dopo che il Giappone ritirò la sua rivendicazione territoriale. Sun Yat-sen, leader del movimento nazionalista, salutò l’entusiasmo patriottico dei giovani scesi in piazza, ma si tenne a debita distanza dalle loro idee politiche, giudicate potenzialmente pericolose.

Mao Zedong prese parte attiva al Movimento del 4 maggio, esperienza che sarebbe rimasta centrale nella sua formazione politica. Durante la resistenza antigiapponese, nel 1939, definì i moti studenteschi e il Movimento del 4 maggio “un nuovo stadio nella rivoluzione democratica borghese cinese contro l’imperialismo e il feudalesimo”; il Timoniere disse anche nella stessa occasione: “Nel movimento rivoluzionario democratico cinese, sono stati gli intellettuali i primi a risvegliarsi. Ma gli intellettuali non realizzeranno niente se non riusciranno a integrarsi con gli operai e i contadini.

Piazza Tian’anmen, 4 Giugno 1989

Tiananmen Square massacre: How Beijing turned on its own people - CNN

70 Anni dopo, nel 1989, gli studenti ritornarono in Piazza Tian’anmen. Un’ondata di proteste dilagò a Pechino con esiti drammatici soprattutto nei quartieri periferici, mentre il Paese stava attraversando una fase di difficile transizione politica. Di questi eventi non si conosce la reale dimensione, ma siamo in grado di valutare criticamente e distinguere sia le motivazioni della protesta, sia le cause dell’intervento armato da parte del Governo. Poiché quei fatti costituirono (e ancora costituiscono) una ferita e una svolta nel complesso sistema di governance cinese, è meglio tuttavia non rimanere condizionati dalla propaganda anticinese del mainstream occidentale, considerato che le fonti in nostro possesso per lo più provengono da “osservatori” e analisti occidentali o risultano essere assai dubbie, come i Tian’anmen Papers, una raccolta di “documenti ufficiali segreti relativi alle proteste di piazza Tiananmen del 1989”, presentati da un compilatore dall’identità nascosta.

Si è fin troppo banalizzato sui fatti di Tian’anmen dipingendoli in modo semplificatorio come proteste libertarie e richieste di “riforme democratiche” da parte degli studenti , cui seguì la drammatica repressione del Partito Comunista con il “massacro di Tian’anmen”. Al contrario, oggi sappiamo per certo che le vittime – ben più numerose – furono lavoratori, operai e civili, e non in quella Piazza.

Terminata da solo 10 anni la Rivoluzione Culturale, la stagione di “Apertura e riforme” promossa da Deng Xiaoping aveva cambiato e stava ancora cambiando il Paese. Era in atto una transizione: da una teorica gestione politica per principi proclamati, si doveva passare alla verifica dei risultati relativi alla gestione economica dell’intero sistema Paese, già avviato a profonde riforme strutturali. Erano perciò necessari accertamenti , soprattutto nei settori delle politiche del lavoro e dei salari, privatizzazioni controllate dallo Stato, trasferimento massiccio di manodopera dalle campagne, sanità, sistema scolastico, … anche l’operato dei vari funzionari responsabili di singoli settori andava valutato per rendimento ed eventuale corruzione (una delle ragioni più enfatizzate di protesta da parte del movimento studentesco). In realtà un intero processo di cambiamento doveva essere confermato e/o modificato per proiettare il Paese verso la crescita economica auspicata (e poi effettivamente raggiunta negli anni successivi).

Il 1989 fu l’anno nel quale si stava rinnovando il “contratto sociale” tra Popolo cinese e Partito comunista.

Ma la migrazione forzata dalle campagne alle città, la gestione delle imprese (statali o miste) nelle città, la dissoluzione di comunità di villaggio e imprese agricole comunitarie, avevano generato grande scontento e rivendicazioni accese tra varie categorie di lavoratori. Un dissenso che ingigantiva e confluiva nella protesta degli studenti, ma aveva poco in comune con le rivendicazioni studentesche di diritti democratici e liberali.

Per la dirigenza del Partito, Tian’anmen è stato un punto di non ritorno ma anche di opzione tra due alternative possibili. Lo stesso abile vecchio stratega Deng Xiaoping aveva compreso che, se le due proteste -quella dei lavoratori e quella degli studenti – si fossero saldate, sarebbe stato un disastro per il PCC. (“Le riforme devono procedere e per procedere serve ordine, serve che la popolazione lavori, invece che protestare” cit. Deng Xiaoping). Lo scontro all’interno del PCC sulla linea da seguire per rispondere alle istanze di questa prima “Primavera” cinese, fu acceso ed emerge palpabile dalle posizioni di importanti funzionari e del comitato detto degli “8 Immortali”.

Se gli studenti e le proteste dei lavoratori avessero vinto, la Cina avrebbe avuto la stessa sorte dell’Unione Sovietica: collasso economico, crollo del sistema-paese, guerra civile. Niente di tutto questo è avvenuto perché il timone è rimasto saldamente orientato a stroncare ogni virus destabilizzante.

In seguito è calata una sorta di silenzio sui fatti del 1989, confermato nel giugno 1998 dalla cerimonia di benvenuto al Presidente USA Bill Clinton, il quale fu criticato in patria per il suo riavvicinamento alla Cina e per aver sancito l’oblio che il Partito comunista aveva deciso sui fatti del 4 giugno ‘89 .


Un blindato dell’esercito cinese dato in fiamme durante le proteste del 4 giugno 1989 a Pechino (leggi)

Ora, guardando più da vicino ciò che è effettivamente successo in Piazza Tian’anmen quel 4 giugno, sappiamo che la versione ufficiale del “massacro ” – montagne di cadaveri di studenti schiacciati dai carrarmati e mitragliatrici che sparavano – ci è stata trasmessa dai giornalisti stranieri della CNN e BBC che lavoravano a Pechino. Tuttavia gli “eroici” rappresentanti dell’informazione non stavano dietro le transenne sulla scena del delitto, ma se ne stavano alle finestre dell’Hotel Beijing, lontano Km 2,7 a piedi , da cui non è affatto visibile né il teatro del “massacro” né l’”eroe solitario e sconosciuto contro il carrarmato” (la Piazza è immensa ma non infinita). In realtà i giornalisti hanno trasmesso al mondo notizie provenienti da Voice of America. Un po’ come succede quando la Botteri da Pechino ci spiega nel dettaglio cosa succede in Siria, in Francia o a Hong Kong. Fu il trionfo del “giornalismo passivo” e di quella “menzogna efficace” per cui il nostro cervello viene reso disponibile ad accogliere ciò che si decide a Washington sui nostri autentici nemici.

Ora, dopo anni, operatori umanitari e giornalisti indipendenti, all’epoca presenti a Pechino offrono nuove informazioni e smentiscono molti miti creati a posteriori. Ci danno elementi sullo sviluppo del movimento di protesta degli studenti che fu influenzato dal contesto delle rivendicazioni popolari in atto, tutti dati sconosciuti al grande pubblico:

1. la “ricerca della democrazia” tanto cara agli occidentali e alla rivendicazione dei Diritti Umani, non è mai stato l’argomento principale dei manifestanti; 

2. la maggior parte della popolazione dei lavoratori di Pechino non ha affatto sostenuto il movimento degli studenti;

3. la maggior parte delle vittime è stata registrata nei quartieri periferici, sia tra i lavoratori che tra le forze di polizia chiamate a contrastare i disordini;

4. azioni di dialogo sono state promosse da settori del governo e degli studenti in tutte le settimane di occupazione della piazza; 

5. l’uso della violenza è stato utilizzato da entrambe le parti, anche se con intensità e mezzi diversi: agli studenti vengono imputate azioni gravi, al limite del terrorismo, nei quartieri periferici (fonti di residenti locali);

6. una fazione radicale studentesca ha assunto la guida degli studenti e ha eliminato ogni opzione di dialogo, facendo precipitare la situazione nella repressione armata;

7. l’esercito ha permesso agli studenti di sgomberare Piazza Tiananmen senza uccidere nessuno all’interno della piazza. 

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Infine mi permetto un ricordo personale. Pochi anni fa circolavano sulla nostra stampa notizie di censure e schieramenti di polizia per impedire agli studenti la commemorazione dell’anniversario del 4 giugno. Posso smentire perché ero là, ospite dell’Università Beida, comunicavo con studenti e professori: nessuno schieramento di polizia ha impedito agli studenti che conoscevo (studiavano latino e storia d’Europa) di andare ai vari cimiteri dove erano sepolte alcune delle vittime dell’89 o di lasciare un fiore e un ricordo. Ero colpita dalla serietà con cui, vent’anni dopo, gli studenti si proponevano di comprendere e giustificare il comportamento dei loro compagni del 1989, chiamati “martiri” solo dalla propaganda occidentale. Ero anche stupita dalla fiduciosa “ingenuità” di questi studenti che non tentavano neppure di contestualizzare quelle proteste in un quadro socio-politico… o forse, più semplicemente come capita ai troppo giovani, non volevano proprio parlare di quadri generali, accontentandosi di utilizzare social e mezzi a loro disposizione per sfogare una voglia di innocua protesta e ridicolizzare le “mummie” del sistema.

Devo confessare che anch’io nel 1989 non avevo capito affatto ciò che ribolliva sotto la facciata della cosiddetta prima “Rivoluzione di Primavera” abortita. D’altronde le cose venivano raccontate da agenzie stampa piene di immaginazione e pregiudizi, le quali avevano come unico interesse quello di focalizzare l’attenzione sulla parte emergente dell’iceberg. Pochi mesi dopo, nel Novembre 1989, la caduta del Muro di Berlino non faceva che confermare il proposito dell’ alleanza occidentale di realizzare, tappa dopo tappa, la liquidazione di ogni sistema di socialismo reale. Ma a Tian’anmen, il disegno siglato CIA fu deluso: il mondo bipolare era ormai in procinto di acquisire un terzo importante attore che sarebbe cresciuto, negli anni successivi, smentendo ogni previsione sul definitivo collasso del sistema fondato dal Grande Timoniere.


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Pubblicato in Attualità, Cultura, Internazionale

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