Alla vigilia del 65° Anniversario del Trionfo della Rivoluzione cubana Fidel non smette di allertarci

Il rivoluzionario non è mai soddisfatto,
né può sentirsi soddisfatto,
deve essere un eterno anticonformista”.
Fidel

qqq

La pratica coerente della critica e dell’autocritica promossa dal leader storico della Rivoluzione, basata sulla partecipazione politica sistematica e consapevole della società, era ed è una condizione essenziale per garantire la capacità collettiva di resistenza, creativa e ribelle, irriverente di fronte alle malefatte e ai loro responsabili, leale e con una sincera venerazione per i valori di dignità che la Generazione del Centenario ci ha lasciato in eredità.

di Rafael Hidalgo Fernández, Sociologo y analista político cubano
Traduzione e aggiunte: G. Federico Jauch
31 dicembre 2023

L’esercizio della critica e dell’autocritica in Fidel: una risorsa etica e politica per avanzare e avere successo

«Nessuno pensi che il cammino è facile; nessun cammino è facile. Il cammino è lungo, il cammino è difficile, il cammino è duro; richiede di trarre vantaggio dagli errori, richiede la critica, l'autocritica, il riconoscimento onesto di qualsiasi errore, al fine di correggerlo, (...) una rivoluzione è una lotta incessante contro le carenze e contro gli errori». Fidel

La Rivoluzione cubana è un’esperienza storica unica per diverse ragioni essenziali. Una di queste è direttamente collegata alla capacità dimostrata dalla sua leadership storica, Fidel in primis, di individuare per tempo e affrontare con successo importanti ostacoli esterni, così come fallimenti ed errori interni che, se si fossero radicati nel tempo, avrebbero messo a rischio o ostacolato la sua continuità. Questo è accaduto più di una volta.

Si può affermare, per quest’ultima ragione, che un’altra delle caratteristiche della Rivoluzione è stata la sua capacità dialettica di auto-rinnovamento, messa nuovamente alla prova 65 anni dopo, quando è sottoposta a molteplici, inedite e decisive prove di natura esterna e anche interna che, combinate tra loro, sfidano la sua sicurezza nazionale e la sua stessa esistenza.

Una delle componenti fondamentali che contribuiscono a spiegare la capacità di auto-rinnovamento di Cuba più e più volte nei decenni precedenti è stata l’azione intraprendente, creativa e lungimirante di Fidel, sempre fedele al suo assioma che il socialismo è la scienza dell’esempio.

E come espressione concreta di questa rigorosa adesione al ruolo mobilitante e formativo dell’esempio, spicca nella sua azione politica il modo in cui esercitava e promuoveva la critica e l’autocritica, qui considerate come tratti distintivi della sua onestà e fedeltà al progetto rivoluzionario. Un altro elemento caratterizza l’azione di Fidel in questo campo dell’etica politica: ha sempre praticato l’analisi critica e autocritica in dialogo con il popolo, ragionando con lui, ascoltandolo con rispetto e rigore.

Per Fidel, l’analisi critica e autocritica ha senso nella misura in cui si conclude con una sintesi valutativa completa e complessa delle cause dei fallimenti e degli errori, e soprattutto con proposte di soluzioni convenienti e praticabili per il benessere collettivo. Per raggiungere questi obiettivi, non separa mai le esigenze etiche dalle decisioni politiche, né gli effetti morali e ideologici di queste ultime sul comportamento collettivo.


In questo modo, etica e politica, morale e politica sono binomi indissolubili del suo pensiero e della sua pratica rivoluzionaria. Di conseguenza, sono riferimenti assiologici ineludibili nel processo di costruzione del socialismo prospero, democratico e sostenibile a cui Cuba aspira come progetto di società.

Rafforzare la capacità della rivoluzione di aggiornarsi, cioè di correggere ciò che non va e perfezionare ciò che va bene, nell’attuale contesto internazionale è anche una necessità di sicurezza nazionale. Lo è, tra le altre ragioni, per questo “semplice” fatto del nostro particolare ambiente geopolitico: per le élite politiche degli Stati Uniti c’è solo un risultato di valore sufficiente: la nostra scomparsa come Rivoluzione al potere. Questa opzione è possibile solo a causa delle nostre responsabilità o omissioni, come ha avvertito lo stesso Fidel il 17 novembre 2005, nell’Aula Magna dell’Università dell’Avana.

 Fidel il 17 novembre 2005, nell'Aula Magna dell'Università dell'Avana.

Questo obiettivo strategico dei “democratici” e dei “repubblicani” del Nord, che sta diventando sempre più violento e brutale, prevede le seguenti tattiche combinate:
a) lo sviluppo di campagne di menzogna e disinformazione sulla realtà cubana, rivolte soprattutto alle forze di sinistra e ai settori sociali che giudicano inclini ad accettarla e/o ad adottarla come riferimento in qualche senso; >>
b) la manipolazione degli errori e dei fallimenti presenti nel processo di costruzione socialista, che presentano come prova definitiva della presunta “impossibilità” di costruire il socialismo in questo mondo dominato dal capitale;  >
c) azioni volte a minare le relazioni internazionali di Cuba e a minare la solidarietà della sinistra con la Rivoluzione cubana, nonché la coesione interna della nostra società.

Quest’ultima linea d’azione spiega il tentativo politico e ideologico-mediatico del governo statunitense di dimostrare che la costruzione del socialismo a Cuba è stata un fallimento e ha raggiunto un punto di non ritorno.

Questa matrice di opinione ha preso piede in settori ancora minoritari della popolazione cubana, ma in una misura che non va sottovalutata. Il fatto è storicamente e sociologicamente spiegabile: chi è nato durante e dopo i difficili anni ’90 non ha, né può avere, la stessa percezione del progresso sociale e individuale di chi, come noi, ha raggiunto la terza età e ha vissuto i momenti di maggior progresso sociale del Paese.

Non hanno sperimentato l’impatto sullo stato d’animo collettivo di avere, spesso in modo percepibile, una nuova scuola, un ulteriore ospedale con servizi da primo mondo per qualità scientifica e livello di assistenza ai pazienti, nuove strade che riducono le distanze, edifici che, senza essere sempre di grande bellezza, migliorano le condizioni di vita della popolazione. E altre conquiste che è impossibile riassumere nello spazio a disposizione, tra cui la più importante di tutte: aver raggiunto la piena sovranità e indipendenza e diventare una “repubblica della luce“, come la immaginava Martí.

In queste circostanze, emergono alcune tesi fataliste, come “tutto è perduto” e “non stiamo facendo nulla di buono”, tra le altre narrazioni legate o funzionali al deterioramento dell’immagine della Rivoluzione promossa dalla Casa Bianca.

La stella di Fidel continua a essere la luce che c'illumina la strada

Una prospettiva così fatalista è lontana dal potere nazionale forgiato in questi anni; sottovaluta le riserve soggettive di carattere patriottico e rivoluzionario che non sono ancora state messe in discussione in misura sufficiente; sottovaluta il potere organizzativo raggiunto a livello di massa, nonostante i suoi chiari deterioramenti, ma salvabile in una situazione di apparente rischio per la sicurezza della Rivoluzione; e pone i desideri dei restauratori esterni e interni in una situazione di vantaggio che non hanno ancora e non avranno mai, se siamo capaci di seguire la stella di Fidel, come è chiaro alla maggioranza del nostro popolo e all’attuale leadership della Rivoluzione.

In un contesto in cui nulla indica che la Casa Bianca modificherà il rigore del blocco, né la politica di sovversione; senza risorse finanziarie per acquistare i beni di base di cui la nostra popolazione ha bisogno; e senza la possibilità oggettiva di realizzare gli immediati salti produttivi di cui la società ha urgente bisogno, con le proprie risorse e con una gestione imprenditoriale adeguata alle esigenze del momento, l’unica opzione soggettiva rimasta è quella di produrre un salto di qualità nella gestione politica ed etica a tutti i livelli. È quanto chiedeva il Rapporto centrale dell’8° Congresso del Partito.

Questo salto comporta, innanzitutto, l’innalzamento dell’esemplarità di ogni rappresentante del Partito, dello Stato e del Governo, in modo convincente per la popolazione a tutti i livelli. Significa garantire, attraverso un’adeguata comunicazione politica, che la società abbia informazioni tempestive e precise sulla profondità delle sfide esterne e degli errori interni, su quando, come e con chi affrontarli. Richiede inoltre cambiamenti più radicali nei termini di partecipazione politica della società, e soprattutto dei lavoratori, al controllo della gestione della produzione e dei servizi: il mezzo più efficace per combattere coloro che, in modo subdolo, per inettitudine o per mancanza di sensibilità politica, danneggiano l’unità interna di cui la Rivoluzione ha bisogno in questo momento. Tutto ciò scaturisce dal modo fidelista di fare politica e di pensare a lungo termine.

In questo contesto, la pratica coerente della critica e dell’autocritica promossa dal leader storico della Rivoluzione, basata sulla partecipazione politica sistematica e consapevole della società, era ed è una condizione essenziale per garantire la capacità collettiva di resistenza, creativa e ribelle, irriverente di fronte alle malefatte e ai loro responsabili, leale e con una sincera venerazione per i valori di dignità che la Generazione del Centenario ci ha lasciato in eredità.

"Essere Fidel" significa superare costantemente se stessi e la collettività. È essere onesti, corretti, educati, solidali. Lavorare bene, non essere impassibili di fronte alle azioni scorrette, evitare che le difficoltà e l'impazienza ci demotivino.

Questo è ciò che richiede l’attuale momento storico, ora senza la presenza fisica di Fidel, che ogni giorno ci chiede di essere più coerenti e costanti nella dedizione al nostro popolo, soprattutto nei fatti.

Pubblicato in Attualità, Blocco, Cuba, Cultura, Internazionale

ARCHIVI