“Coloro che muoiono per la vita non possono essere chiamati morti”.

Come Fidel, al quale era unito da legami stretti che andavano al di là delle affinità politiche, Chávez è stato un leader autentico che ha conquistato il rispetto e l’affetto delle masse per la sua capacità di interpretare i bisogni e i desideri della maggioranza.

FonteCasa de las Américas
Traduzione: GFJ
3/3/2023


Fidel ricordava che negli anni Novanta, in occasione dei vertici iberoamericani, i capi di Stato amici si avvicinavano a lui con spirito funereo, dando per scontato che i giorni della Rivoluzione cubana fossero contati. Nessuno scommetteva un centesimo sulla sua sopravvivenza, né sulla realizzabilità di un’opzione più o meno progressista. Ma nel 1999 è salito al potere Hugo Chávez; il suo giuramento come presidente del Venezuela, sulla “moribonda costituzione” della Quarta Repubblica, si è rivelato una sfida all’entusiasmo neoliberista e ha dato il via alla grande ondata di sinistra del primo decennio del XXI secolo, che ha guidato nella sua variante più radicale. Il suo impetuoso emergere ha reso vera la previsione di Bolívar cantata da Neruda: “Mi sveglio ogni cento anni quando il popolo si sveglia“.

Erede della più legittima tradizione rivoluzionaria, Chávez ha promosso e guidato profonde trasformazioni nel suo Paese, ha conquistato l’anima di milioni di persone e ha svolto un ruolo decisivo nella creazione di spazi e meccanismi di integrazione regionale come la Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC), l’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA) e l’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR). È stato anche essenziale in un gesto definitivo di indipendenza, come il rifiuto dell’ALCA al Vertice di Mar del Plata, dove ha riunito i presidenti che hanno fatto deragliare il piano perverso promosso dal governo di George Bush. La sua attitudine lo ha portato a resistere agli attacchi della destra più sfrenata, compreso un colpo di Stato dal quale è tornato sulle spalle del popolo.

Come Fidel, al quale era unito da legami stretti che andavano al di là delle affinità politiche, Chávez è stato un leader autentico che ha conquistato il rispetto e l’affetto delle masse per la sua capacità di interpretare i bisogni e i desideri della maggioranza. Nella sua oratoria torrenziale e inebriante era capace di mescolare le voci dei grandi eroi con la cultura popolare; sapeva passare, quasi senza transizione, da una frase di storia a una canzone di strada, e si appellava senza esitazione ai miti popolari. “Qui dentro c’è odore di zolfo“, disse – ricorrente e caustico – sul podio dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, tra lo sconcerto dei benpensanti e la gioia dei dannati della terra.

A dieci anni dalla sua scomparsa fisica (5 marzo 2013, ndt) e alla vigilia del bicentenario di quel monumento al vangelo imperialista che è la Dottrina Monroe, il pensiero e l’azione di Hugo Chávez continuano a essere indispensabili. Non c’è stato nulla di casuale da parte sua nel consacrare come bolivariana la Repubblica nata dalla Rivoluzione da lui guidata, in una vera e propria dichiarazione di principi e finalità. E per Chávez – soprattutto ora, quando tante sfide ci attendono – valgono le parole di José Martí sul Liberatore: “ciò che non lasciò incompiuto è ancora presente oggi, perché Bolívar ha ancora da fare in America“. Come cantava Alí Primera, un grande della cultura di resistenza di Nostra America, di cui riportava spesso le parole: “Coloro che muoiono per la vita non possono essere chiamati morti“.

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