Vent’anni dopo un ricatto rozzo e infruttuoso. Il ricordo di un eroe cubano

Raúl entrega Orden Playa Girón y el título de Héroes de la República de Cuba a Los Cinco

Questo ricordo di René ci riporta agli oltre 15 anni di carcere subiti negli Stati Uniti dai “5 EROI” cubani. Vanno sommati anche i 3 mesi di Olga e la solidale resistenza del popolo cubano che sapeva si sarebbe avverata la promessa di Fidel: ¡VOLVERAN! (Torneranno!)

Fidel Castro Finally Meets with the Cuban 5 - Havana Times

di René González Sehwerert*

Fonte: Cubadebate 

Traduzione:  THINGS CHANGE * ATTUALITA’

 

Olga Salanueva, moglie di René. Foto Ismael Francisco

 

ll 13 agosto 2000 era una domenica. Coincidenze, che sarebbero il mio compleanno e l’ultima visita di Olguita in prigione. (…e anche il compleanno di Fidel Castro, ironicamente sottinteso nelle coincidenze-ndt.) Sebbene non lo sapessi per certo, avevo le mie ragioni per intuirlo. Ecco perché l’avevo capito.

Giorni prima i pubblici ministeri erano giunti a stilare quella che consideravano la loro ultima carta per farmi uscire dal processo.

In una oscura dichiarazione per farmi dichiarare colpevole, hanno finito per minacciare di deportare mia moglie se non avessi collaborato e fossi uscito dal processo. Forse la spinta finale; supponevano dalla loro posizione, incapaci di capirci. Come tante volte prima o dopo, sarebbero rimasti con il pugnale nel fodero alla risposta di ciascuno dei Cinque. Come direbbe qualche filosofo, la spinta era … beh, lasciamo stare.

Sono andato da Gerardo (Gerardo Hernandéz Nordelo, anche lui dei 5 e ottimo pittore-ndr.) con il foglio in mano e gli ho chiesto di fare una firma per me. Con il suo talento per la caricatura ha disegnato un pugno con un dito medio alzato, virile e provocatorio. Ho restituito la dichiarazione al mio avvocato sapendo, ovviamente, che non sarebbe mai arrivata ai pubblici ministeri con una firma del genere. O almeno credevo.

Era solo un modo per sfogarsi, divertirsi un po’ e fare una dichiarazione.

Ho raccontato tutto a Olguita durante quella visita il 13 agosto 2000. Abbiamo deciso che lei si sarebbe preparata al peggio e l’ho salutata. Abbiamo parlato al telefono lunedì 14 e martedì 15 mattina, come al solito, quando l’ho chiamata per vedere se andava tutto bene dopo aver terminato la sua giornata lavorativa alle 11 di ogni sera.

Oggi segna il ventesimo anniversario di quella chiamata, il 16 agosto, a cui non è mai stata data risposta. Anche quando ormai avevo il sospetto che potesse essere accaduto, trovandomi di fronte al fatto, facevo fatica ad assimilarlo. Ho passato l’intera mattinata a cercare di comunicare con la mia famiglia in Florida senza che loro sapessero nulla di Olguita fino a quando, verso mezzogiorno, mia nonna Teté mi aveva detto che l’aveva chiamata al telefono.

La chiamava dal carcere per dirle che era stata detenuta dall’immigrazione  (agenzia federale ICE-ndt.) e che sarebbe stata sottoposta a procedura di espulsione.

Nonostante lo shock della notizia, incredibilmente sapere che era al sicuro e che non aveva subito alcun incidente peggiore mi riempì di sollievo.

Poco dopo, sono venuti a cercarmi. Scortato dagli agenti dell’FBI, ho attraversato i labirinti ormai familiari che collegavano il Centro di detenzione federale con l’edificio in cui si trovavano gli uffici dell’accusa, fino a raggiungere una doppia porta che dava su una stanza. Quello che vidi quando le doppie porte si aprirono mi riempì di indignazione.

A sinistra, sugli spalti dove siede il gran giurì per ricevere le testimonianze, c’erano circa una dozzina di funzionari governativi nelle prime due file. Aspettativa, curiosa, attenta … non lo so. Nell’ultima fila, da sola, in una tuta arancione volutamente arruffata e macchiata di vernice, spiccava per contrasto la figura di Olguita.

Un’altra spinta, mi attraversò la mente come un fulmine. Nei pochi secondi che mi ci sono voluti per coprire i quasi otto metri che ci separavano, ho trovato la risposta migliore che potessi pensare. Alzando la mano sopra la testa l’ho fatta ruotare verso mia moglie un paio di volte, dicendole con tutta la gioia che ero in grado di rappresentare:

– L’arancione ti sta bene!!

Ridiamo, ci uniamo in un abbraccio e ci baciamo. 
In soli dieci minuti siamo stati in grado di incoraggiarci a vicenda e di riaffermare la decisione dell’altro di resistere, prima di essere separati in modo da non vederci per anni.

Il mio avvocato, Philip Horowitz, era al di là della sua indignazione. Il giorno dopo è andato a trovare Olguita in carcere con Julio Melo, un cubano, ex poliziotto, e ora suo investigatore privato. Entrambi sono venuti a trovarmi dopo averla visitata:

– Non è finita! – ha insistito Melo – Neanche ai miei tempi di poliziotto sono stato coinvolto con la famiglia di un criminale.

“È più impegnata di te”, ha aggiunto Philip. “Dice che sa che non ti sei separato di meno adesso.”

“Questa è mia moglie”, ho detto sorridendo e lui ha risposto subito:

– Nooo !!. TU sei suo marito!

Per tre mesi Olguita è stata incarcerata, in condizioni ancora peggiori di quelle che avevamo subito nel buco. (Luogo di detenzione ristretto e punitivo, in cui i Cinque hanno trascorso vari periodi nel corso degli anni-ndr.)

Ha ricevuto lettere dai Cinque fino all’ultimo giorno, ma l’accusa si è assicurata che non avessimo mai ricevuto le sue risposte.

Infine, è stata deportata a Cuba il 22 novembre, cinque giorni dopo l’inizio del processo.

Il resto è storia: anni di resistenza, di lotta tenace, di rivendicazione di un popolo in cerca di giustizia che ci è stata negata per anni fino a quando non si è ottenuta la vittoria del nostro ritorno in patria.

Ma già prima, pietra dopo pietra, erano state gettate le basi di quella vittoriosa battaglia. Una di quelle pietre è stata posta 20 anni fa oggi, quando la malvagità dell’imperialismo ha deciso di colpire il cuore di una donna cubana e si è schiantata contro l’armatura della sua dignità, onore e patriottismo.

René González Sehwerert é un Eroe della Repubblica di Cuba. Uno dei Cinque giovani rivoluzionari che si sono infiltrati nei gruppi terroristici che dalla culla della mafia anti-cubana, Miami, organizzano impunemente i loro attacchi criminali contro il territorio cubano. È stato condannato a 15 anni di prigione. La sua causa aveva un’enorme solidarietà internazionale. È tornato a Cuba nel 2013.
Antiterroristas.cu | Cinco Héroes cubanos

 

Pubblicato in Attualità, Cuba, Internazionale

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