Palestina e l’assedio mediatico
“La Palestina è il simbolo vivente del più grande crimine del nostro tempo”
Fidel Castro
Lo scrittore e giornalista cubano, José Ernesto Nováez Guerrero, sostiene che questa offensiva mediatica cerca di inserire nel subconscio collettivo un insieme di “verità” che aiutano a comprendere gli eventi attuali da un punto di vista favorevole a “Israele”.
di José Ernesto Nováez Guerrero (*)
Traduzione e aggiunte: GFJ
17 novembre 2023
Palestina e l’assedio mediatico
L’illusione che sostiene questa barbarie e la narrazione mediatica che l’accompagna devono essere infrante. Quando migliaia di bambini muoiono sotto i nostri occhi, quando le bombe distruggono intere famiglie e case e quando la violenza organizzata e sistematica di uno Stato impunito priva i sopravvissuti anche delle necessità più elementari, tutti noi abbiamo la responsabilità di alzare la voce. Rimanere indifferenti oggi significa essere complici del genocidio.
La Striscia di Gaza e i Territori palestinesi occupati sono sottoposti in questi giorni a due grandi offensive: l’assalto delle cosiddette “Forze di difesa israeliane” (IDF) contro la Striscia e le vessazioni in Cisgiordania e l’offensiva mediatica dei media occidentali, in coalizione con le potenze che sostengono lo Stato di “Israele”.
Questa offensiva mediatica cerca di inserire nel subconscio collettivo un insieme di “verità” che aiutino a comprendere gli eventi attuali da un punto di vista filo-israeliano. Di fronte a questo assedio di letture e significati, vale la pena di mettere in discussione alcune delle narrazioni o visioni fondamentali imposte dai media mainstream.
“Hamas e la resistenza palestinese sono terroristi”
Ciò che è accaduto il 7 ottobre acquista un senso solo in una prospettiva storica. In una conferenza tenuta il 19 ottobre di quest’anno all’Università di Berkeley, il principale storico israeliano antisionista Ilán Pappé ha spiegato:
“Il popolo palestinese è impegnato in una lotta di liberazione probabilmente dal 1929. È una lotta contro i loro colonizzatori e, come ogni lotta anticoloniale, ha i suoi alti e bassi, i suoi momenti di gloria e i suoi difficili momenti di violenza. La decolonizzazione non è un processo sterile e farmaceutico, ma un’attività disordinata. E più a lungo il colonialismo e l’oppressione continuano, più è probabile che l’esplosione sia violenta e disperata in moltissimi sensi“(1).
L’unico modo per capire la natura della lotta di resistenza palestinese, compresi i suoi eccessi, è comprendere la storia di decenni di espropriazione e di assassinio contro il popolo palestinese. Omicidi ed espropri commessi sotto gli occhi della comunità internazionale, con il sostegno delle maggiori potenze occidentali e di fronte all’incapacità degli organismi multilaterali di fare qualcosa per fermarli.
E aggravata dalla situazione che la Striscia di Gaza in particolare vive da 16 anni, accerchiata su tutti i lati e dove le forze di occupazione israeliane decidono persino la quantità di calorie che entrano ogni giorno attraverso i pochi punti di accesso. Un’area dove sono ammassati più di due milioni di persone, regolarmente bombardate e dove “Israele” ha progressivamente distrutto tutte le infrastrutture di base che garantivano un minimo di abitabilità nell’enclave.
La brutalità delle azioni palestinesi del 7 ottobre, anch’esse sopravvalutate e falsificate dai media egemoni, è innanzitutto la reazione di un popolo che rivendica, con la lotta, il proprio diritto a difendersi. I loro eccessi sono il risultato delle vessazioni brutali e impunite a cui sono stati sottoposti per decenni e non sono nulla in confronto a ciò che “Israele” ha perpetrato per 75 anni, senza che nessuno dei fragili moralisti che oggi rabbrividiscono di fronte alle azioni palestinesi, ne prendesse atto.
Caratterizzare i movimenti palestinesi come terroristi permette di ridurli a uno stereotipo ampiamente utilizzato dall’Occidente, soprattutto dopo gli attentati di New York del 2001. Si tratta di una definizione porosa che, in ultima istanza, sussume e unifica tutte le forze politiche che si confrontano con l’egemonia occidentale in Medio Oriente. È anche una categoria inutile per l’analisi. Ci impedisce di comprendere la complessità di processi come quello palestinese, in cui convergono molte forze politiche, unificate da un programma comune che, seguendo la postulazione di Ilán Pappé, potremmo definire lotta anticoloniale.
“Il potere militare di Hamas o una guerra tra poteri equivalenti”
Nei continui resoconti dei media, nelle dirette dei social media o dei canali Youtube, negli articoli di giornale o nei siti digitali, si pone l’accento sulla presunta potenza militare di Hamas. Potenza che poggia, secondo questa narrazione, sulle abbondanti risorse fornite dall’Iran e da Hizbullah, su una vasta rete di tunnel sotto l’enclave di Gaza e su una milizia operativa di decine di migliaia di combattenti, determinati a dare il massimo per la causa.
A prescindere dal grado di verità o di speculazione sulla forza di Hamas, l’obiettivo di questa narrazione mediatica è quello di creare nel pubblico la percezione che ci troviamo di fronte a un confronto di forze grosso modo equivalenti. Cioè, “Israele” deve colpire con tutte le sue forze a Gaza se non vuole essere sconfitto nei feroci combattimenti urbani contro le milizie di Hamas.
È una narrazione che giustifica e scagiona in anticipo qualsiasi linea d’azione israeliana. Non solo sono le vittime sotto attacco, ma devono anche fare del loro meglio se vogliono sopravvivere e vincere. Hamas viene presentato come il “grande nemico” (ignorando di sfuggita tutti gli altri gruppi palestinesi che hanno partecipato alle azioni del 7) e un gruppo che, nella migliore delle ipotesi, possiede alcune capacità missilistiche a medio raggio perfezionate e armi da combattimento irregolari viene presentato come una potenza simile a quella israeliana, con migliaia di carri armati Merkhava, centinaia di migliaia di soldati altamente addestrati ed equipaggiati, grandi e brutali servizi di intelligence e circa 300 armi nucleari, come recentemente riconosciuto dall’ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter. (2)
È un paragone ingenuo, ma in un’agenda mediatica che si basa sull’intossicazione del pubblico, si applica il vecchio adagio attribuito al ministro della Propaganda del Terzo Reich, Joseph Goebbels: “Una bugia ripetuta mille volte diventa verità“.
“Sia “Israele” che la Palestina hanno commesso crimini di guerra”.
Uno dei ruoli più deplorevoli in questo conflitto è stato indubbiamente svolto dalle istituzioni multilaterali. È il caso dell’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, la cui sede di New York è stata recentemente scossa dalle dimissioni di un alto funzionario, Craig Mokhiberg, che in una lunga lettera pubblica ha denunciato l’inefficienza e i due pesi e le due misure con cui sono sempre state misurate le azioni di Israele nei confronti dei palestinesi. (3)
Infine, l’Alto Commissario Volker Türk si è recato al valico di Rafah per vedere cosa stava accadendo sul campo. Le sue dichiarazioni, condivise l’8 novembre dal sito di notizie delle Nazioni Unite, iniziano con l’affermazione che i crimini di guerra sono stati commessi da entrambe le parti. (4)
Dopo aver presentato le azioni di Hamas e quelle dell’IDF come equivalenti, l’Alto Commissario ha sentenziato: “Siamo caduti in un precipizio e questo non può continuare“. Ha concluso con un appello per un cessate il fuoco tra le parti.
Da parte sua, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha dichiarato mercoledì 8 novembre che il numero di civili uccisi a Gaza dimostra che “c’è qualcosa di chiaramente sbagliato nelle operazioni di “Israele” contro Hamas“. “(5) Come se fosse possibile bombardare ferocemente un’enclave di appena 365 chilometri quadrati, dove vivono ammassati più di due milioni di persone e dove l’esercito israeliano ha sganciato, al 1° novembre, più di 18.000 tonnellate di esplosivo, l’equivalente di 1,5 volte la bomba che ha devastato la città di Hiroshima (6), senza causare considerevoli vittime civili.
Come già osservato, l’equiparazione in questo caso travisa la situazione. L’equiparazione tra una serie di gruppi irregolari che combattono per conto di un popolo senza Stato e uno Stato moderno che agisce come una macchina genocida. Cerca di paragonare l’attacco del 7 ottobre (anche ammettendo che molto di ciò che viene attribuito ad Hamas e ad altri gruppi dalla propaganda israeliana e filo-israeliana sia vero) con un genocidio sostenuto per decenni come politica statale dall'”unica democrazia del Medio Oriente“.
L’ipocrita neutralità delle organizzazioni internazionali sarebbe cinica e ironica se non fosse per l’evidenza di un atto terribile a cui stiamo assistendo impotenti: l’ONU e le altre organizzazioni nate per impedire il ripetersi di genocidi e barbarie dopo l’esperienza della Seconda Guerra Mondiale, assistono impotenti a quanto accade. E, con una dialettica brutale, vediamo come coloro che compiono questo genocidio, coloro che danno gli ordini o comandano le terribili macchine di morte, siano discendenti diretti o indiretti dei sopravvissuti all’orrore di Auschwitz, Treblinka, Belzec, Dachau.
Prima che i palestinesi siano chiamati a rispondere dei loro eccessi, deve essere chiamata a rispondere la macchina di morte che per 75 anni li ha saccheggiati e uccisi. Stabilire un’equivalenza è come affermare che gli indigeni latinoamericani devono chiedere scusa alla Spagna e rendere conto dei crimini di guerra allo stesso tempo, o forse prima che lo faccia la vecchia metropoli. Per i rappresentanti di alcune organizzazioni internazionali, vittima e carnefice sembrano essere sullo stesso piano.
“Antisionismo uguale antisemitismo”
Una parte importante della propaganda messa in atto in questi giorni cerca di equiparare le critiche allo Stato sionista di “Israele” all’antisemitismo. Sebbene possa sembrare facile da smontare, la verità è che abbiamo già visto governi e persino strutture internazionali come il Comitato Olimpico Internazionale agire su questa premessa, punendo chiunque critichi le azioni di “Israele” come se stesse commettendo un crimine d’odio.
Il sionismo è un’ideologia emersa nel XIX secolo come risposta ai vari nazionalismi che stavano emergendo all’epoca del consolidamento degli Stati nazionali europei. All’interno del sionismo confluirono molte correnti diverse, tra cui la prospettiva socialista. Tuttavia, la barbarie dell’Olocausto ha portato alla versione più violenta e ferocemente nazionalista, che si è infine incarnata nello Stato di Israele e nelle sue politiche coloniali e genocide nei confronti dei palestinesi.
L’ebraismo come cultura e religione è precedente all’ascesa del sionismo ed è intrecciato con millenni di storia umana nel bacino del Mediterraneo e successivamente in America, Asia e altre realtà. Essere contrari alle politiche genocide di “Israele”, persino all’esistenza stessa di quella configurazione statale sionista, non rende antisemiti.
In un recente intervento il famoso giornalista israeliano Gideon Levy ha definito a suo parere le tre cause fondamentali che stanno alla base dell’atteggiamento di “Israele” oggi: “la maggioranza degli israeliani crede profondamente di essere il popolo eletto, gli occupanti israeliani si presentano e si vedono come le vittime, e la sistematica disumanizzazione dei palestinesi, che permette agli israeliani di vivere in pace con tutto ciò che accade.” (7)
L’illusione che sostiene questa barbarie e la narrazione mediatica che l’accompagna devono essere infrante. Quando migliaia di bambini muoiono sotto i nostri occhi, quando le bombe distruggono intere famiglie e case e quando la violenza organizzata e sistematica di uno Stato impunito priva i sopravvissuti anche delle necessità più elementari, tutti noi abbiamo la responsabilità di alzare la voce. Rimanere indifferenti oggi significa essere complici del genocidio.
Note dell’autore
1 Disponible en https://rebelion.org/el-origen-de-la-violencia-en-gaza-esta-en-la-ideologia-racista-de-la-eliminacion-del-nativo
2 Cfr https://telegra.ph/El-expresidente-Carter-alert%C3%B3-sobre-las-300-bombas-termonucleares-clandestinas-que-posee-Israel-11-09
3 Cfr https://surcosdigital.com/carta-de-renuncia-de-craig-mokhiber-director-de-la-oficina-del-alto-comisionado-de-las-naciones-unidas-para-los-derechos-humanos-en-nueva-york/
4 Cfr https://news.un.org/es/story/2023/11/1525542
5 Cfr https://news.un.org/es/story/2023/11/1525542
6 Artículo sobre las bombas
7 Publicado el 9 de noviembre en el canal de Telegram del medio Misión Verdad, en https://t.me/misionverdad
José Ernesto Nováez Guerrero (*)
scrittore e giornalista cubano. Membro dell’Associazione Hermanos Saíz (AHS). Coordinatore del Capitolo cubano della Red en Defensa de la Humanidad (Rete in difesa dell’umanità). Rettore dell’Università delle Arti (ISA)