Giornalisti cubani: “Palestina, alziamo la voce per fermare il crimine”.

Mai in un conflitto recente la professione di giornalista ha pagato un prezzo così alto in un periodo di tempo così breve.

Una dichiarazione dell’Unione dei Giornalisti di Cuba (UPEC) denuncia il fatto che molti colleghi palestinesi sono stati uccisi o feriti, mentre altri affrontando l’indignazione e l’orrore di cui sono testimoni, raccontano, filmano o fotografano quotidianamente.

Tratto da
Traduzione e adattamento: GFJ
28 ottobre 2023

Foto: Getty Images

L’Unione dei Giornalisti di Cuba (UPEC) ha rilasciato una dichiarazione in cui denuncia che la guerra e la sua degenerazione a Gaza sono accompagnate da una narrazione mediatica in linea con gli interessi geopolitici dell’imperialismo e dei suoi alleati, che prevedono l’espansione colonialista di Israele a spese dei diritti del popolo palestinese, riconosciuti dalle Nazioni Unite.

I giornalisti palestinesi hanno sentimenti patriottici come ogni buon cittadino di qualsiasi nazione. Non possono distaccarsi da questo orgoglio, con una presunta imparzialità, quando riportano gli eventi nel loro Paese, perché anche loro condividono lo stesso destino e le stesse sofferenze, difficoltà e minacce dei 2,2 milioni di abitanti di Gaza, tra i quali sono già state segnalate 3.800 vittime (attualizzazione: 7.028 palestinesi uccisi a Gaza dal 7 ottobre al 26 ottobre, ore 15.00, ndt)”, aggiunge il comunicato.

Inoltre, sul suo sito web, fa notare che non pochi colleghi palestinesi sono stati uccisi o feriti, mentre altri devono affrontare l’indignazione e l’orrore a cui quotidianamente assistono, raccontano, filmano o fotografano, anche nei casi in cui riconoscono tra i cadaveri i corpi di bambini, dei loro stessi parenti, colleghi di lavoro, vicini o amici.

Vengono visti raccontare tra le macerie e gli incendi, negli ospedali affollati di morti e feriti, ai funerali, alle proteste pubbliche, e vengono persino censurati, messi a tacere o licenziati dal loro lavoro, se lavorano per testate estere che appoggiano le politiche criminali di Israele“, aggiunge la dichiarazione, facendo eco ai dati diffusi dall’ONG ActionAid Ramallah, secondo cui almeno 18 giornalisti palestinesi sono stati uccisi nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre, più di uno al giorno, in una grave violazione del diritto internazionale.

La vittima più recente è Rushdi Sarraj, un fotoreporter che è morto quando la sua casa è stata bombardata.

Immagine di alcuni dei giornalisti uccisi nei violenti scontri a Gaza. Le organizzazioni internazionali di giornalisti e l'Unesco considerano questi giorni i più letali per i giornalisti di qualsiasi conflitto degli ultimi tempi.

Nel frattempo, secondo il PJS, il Sindacato dei giornalisti palestinesi ha dichiarato che tra i morti ci sono Ahmed Shehab, programmatore della radio Voice of Prisoners, i fotoreporter Mohamed Al-Salhi e Mohamed Fayez Abu Matar, e Hisham Al-Nawajah, fotografo dell’agenzia Khabar. L’elenco comprende Muhammad Abu Rizq della Ain Media Foundation, Ibrahim Lafi, redattore di un’agenzia di stampa, e i comunicatori Asaad Shamlikh, Salam Mayma e Hossam Mubarak.

Sono stati attaccati anche una cinquantina di uffici di istituzioni del settore, tra cui quelli dell’emittente televisiva qatariota Al Jazeera, di Palestine TV, delle agenzie di stampa Maan e Khabar e dei quotidiani Al Quds e Al Ayyam.

Aggiungono che, d’altra parte, il fotografo palestinese Hossam Salem, un fotoreporter freelance che copre la Striscia di Gaza per il New York Times dal 2018, ha spiegato che “dopo anni di copertura della Striscia di Gaza, è stato bruscamente informato da una telefonata dagli Stati Uniti che non occuperà più il suo posto“.

Noi giornalisti (cubani) abbiamo in qualche modo contribuito a rafforzare la coscienza dei nostri connazionali a tenere sempre alti i principi e i vessilli dell'internazionalismo....

L’organizzazione professionale cubana ricorda che nella storia del Sindacato dei Giornalisti Cubani, centinaia di suoi membri hanno svolto missioni come corrispondenti di guerra o hanno praticato il giornalismo nelle montagne o nella clandestinità, con un meritorio curriculum in missioni rischiose durante la lotta contro i regimi tirannici di Gerardo Machado e Fulgencio Batista.

Inoltre, poco dopo il trionfo della Rivoluzione, un centinaio e mezzo di reporter, cameraman e fotografi dei media cinematografici, televisivi, radiofonici e della carta stampata hanno prestato servizio come corrispondenti di guerra in varie località dell’Africa, dell’Asia, dell’America Latina e dello stesso Medio Oriente.


Pubblicato in Attualità, Cuba, Internazionale

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