Bolivia, l’autosconfitta morale e mentale della dittatura

Sette mesi dopo quel colpo di stato, la Bolivia è ora “una brutta notizia” a livello regionale e globale. Lo storico “lamento boliviano” sta riemergendo.

All’inizio di questo secolo, quando la Bolivia era ancora nel caos e nell’incertezza socio-politica generalizzata, alcuni analisti hanno concordavano, forse con una certa rassegnazione: “La Bolivia è una disputa costante in caduta libera che non tocca mai il fondo… perché poco prima di esplodere… trova una qualche soluzione circostanziale che le permette di continuare in costante caduta/conflitto”.

Anni dopo, il 18 dicembre 2005, “la costante disputa” è stata “risolta” alle urne a favore dell’organizzazione politica Movimiento Al Socialismo (MAS), che ha avviato un “processo di cambiamenti strutturali” per il Paese.

Da allora, fino al colpo di stato del 10 novembre 2009, la Bolivia ha vissuto una sorta di “luna di miele” prolungata senza precedenti (stabilità socio-politica ed economica). A livello economico, la Bolivia cessò di essere il paese più povero del continente. Il suo modello economico e politico diventò oggetto di studi e di riferimento a livello mondiale. La Bolivia riuscì così a diventare una “buona notizia” nello spettro globale e regionale.

Ma, approfittando degli errori socio-politici del MAS, e dell’eccesso di fiducia del governo Evo Morales nei confronti degli attori dell’opposizione, i gruppi civici della classe media riuscirono a consumare il colpo di Stato con la promessa di “democratizzare la Bolivia”, e mettendo al governo l’autoproclamata Jeanine Áñez. L’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) e il governo degli Stati Uniti furono attori chiave in quel sanguinoso atto.

Bolivia: el golpe negado

Sette mesi dopo quel colpo di stato, la Bolivia è ora “una brutta notizia” a livello regionale e globale. Lo storico “lamento boliviano” sta riemergendo.

I diritti socio-politici sono sistematicamente soppressi, sotto lo slogan del governo: “prigione a chi si oppone”. Le prigioni sono piene di prigionieri politici (oppositori) e di giornalisti.

Le istituzioni pubbliche che, per più di un decennio furono rafforzate e ben gestite,  ora stanno impunemente crollando. Ambasciate e ministeri vengono chiusi. Il nepotismo e la corruzione pubblica sono la regola nella pubblica amministrazione.

Superando qualsiasi film di fantascienza, la pandemia covit-19 è stata la giustificazione di uno dei vergognosi atti di corruzione pubblica compiuti pubblicamente dall’attuale dittatura. Acquisto di ventilatori a prezzi fuori da ogni logica di mercato.

In sette mesi, la Bolivia è passata dall’essere un “paese modello per l’economia” a un “paese mendicante” dipendente da “aiuti” e prestiti immorali da parte di gruppi finanziari internazionali. “I boliviani ancora una volta incatenati all’eterno debito estero”.

La figura di “autorità pubblica” che ha garantito per oltre un decennio l’invidiabile “stabilità socio-politica” del Paese è venuta a mancare. Ora, in Bolivia, quasi nessuno rispetta lo Stato. Una crescente maggioranza sociale della popolazione ripudia la Polizia Nazionale “ammutinata”. Il Presidente usurpatore è una fonte costante di scherno/insulti. Il “fattore unità” è scomparso in Bolivia…

In questo contesto è apparsa la pandemia covid-19 che, oltre a funestare Bolivia, ha rivelato l’incapacità intellettuale e l’immoralità òntica del governo di fatto. E quei i settori che hanno ingenuamente appoggiato il colpo di stato, ora, spaventati, cominciano a vergognarsi e si sentono orfani politici, rimpiangendo forse le “cipolle dell’Egitto”: almeno con Evo avevamo stabilità.

Questa crescente assenza di senso politico che s’impadronito della Bolivianità fa sí che le urne, nelle prossime elezioni generali, diventeranno lo strumento decisivo del caos socio-politico galoppante.

Víctimas de dictadura boliviana piden ser recordadas

Gli attori del colpo di stato e l’attuale regime di fatto, colpiti dalla loro immoralità e dalla loro comprovata inettitudine, sono legalmente obbligati a superare la prova del fuoco: l’urna elettorale. Lì, “i selvaggi”, “i masistas“, le maggioranze demografiche, li aspettano, per premiarli o punirli. Ecco perché la dittatura del governo de facto è riluttante a indire elezioni generali. E più resiste, più sono divisi e indeboliti.

 

*Ollantay Itzamná. Difensore latinoamericano della Madre Terra e dei Diritti umani

 

Pubblicato in Attualità, Internazionale

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