Cuba: dove stiamo andando ? (Parte 1 di 3)

  1. Foto: Roberto Suárez

La giornalista cubana Yaima Cabezas lancia un grido d’allarme: “Mi domando in che momento abbiamo smesso di interessarci alle persone, quando abbiamo perso quei valori di sensibilità, di educazione, di gentilezza, d’empatia, di solidarietà?”

di Yaima Cabezas
Fonte:
Traduzione e adattamento: GFJ
11 ottobre 2023

Le condizioni sociali ed economiche non erano migliori di quelle attuali, ma erano altri tempi, o eravamo persone diverse? Quando siamo diventati così duri da trasformarci in pietra? Foto: periodo especial

Mi domando in che momento abbiamo smesso di interessarci alle persone, quando abbiamo perso quei valori di sensibilità, di educazione, gentilezza, empatia, solidarietà? Il passaggio della perdita delle virtù, dell’affetto, è avvenuto senza anestesia, e se confrontiamo la società cubana di oggi, nell’anno 2023, con quella del 1990, possiamo vedere quanto siamo diversi. Il qualunquismo è visibile ovunque, nel quartiere, nelle istituzioni, nelle imprese private, nei servizi statali.

Parlo di questo periodo perché è quello che mi è toccato di vivere. Sicuramente i miei nonni avrebbero pensato che negli anni ’90 eravamo già messi molto male e che nel 1970 le cose erano diverse, perché, ovviamente, anche le regole e le maniere cambiano e si evolvono, ma ora vedo come tutto stia andando indietro a un ritmo vertiginoso.

Tuttavia, ho solo la mia esperienza personale. Trent’anni fa, anche la società cubana sembrava al limite, perché stavamo vivendo un periodo di difficoltà, di scarsa produzione, di migrazione, di assedio dall’esterno, di isolamento e di inesistenza di aiuti. Ma non ricordo tanti eventi negativi come adesso, e a quel tempo andavo anche a scuola, in ospedale, camminavo per strada e vivevo in una comunità, quindi posso fare un confronto.

La popolazione non era particolarmente felice perché si nutriva poco e quindi quasi tutti erano molto dimagriti. Era usuale indossare vestiti fatti in casa, le scarpe – spesso un solo paio – servivano per tutto e ovunque e i nostri genitori le aggiustavano perché reggessero a tutte le camminate dovute alla mancanza di trasporti pubblici, perché l’importante era indossarle pulite e proteggere i piedi. Il sole era altrettanto crudele in estate e i blackout elettrici erano molto pesanti. Mancavano le medicine oltre ai beni di consumo, e simili ad oggi erano tutti quei mali che oggi vengono attribuiti al fatto che siamo così come siamo.

In altre parole, le condizioni sociali ed economiche non erano migliori di quelle attuali, ma erano altri tempi, o eravamo persone diverse? Quando siamo diventati così duri da trasformarci in pietra?

E parlo di queste circostanze di vita perché in genere sia chi ha conoscenze, sia chi le ignora, crede che in buona parte l’economia modifichi l’essere umano. Le condizioni di allora non erano certo favorevoli, ogni famiglia viveva nel disagio, ma non mancava lo spirito di resistenza. Per questo non capisco come mai prima eravamo – credo – migliori in termini di sentimenti.

Ricordo che per strada gli sconosciuti ti salutavano e ti chiedevano come stavi come se gli importasse davvero;  ti dicevano permesso, prego, scusa, grazie; e se il vicino inventava qualche ricetta con la famosa pasta d’oca, ci mostrava con orgoglio come si modellava quella massa amorfa. La solidarietà ha sempre destato la mia attenzione, e funzionava così, almeno intorno a me, e presumo che funzionasse allo stesso modo anche con gli altri, benché ci sono sempre le pecore nere, perché a quei tempi, in passato, in questi tempi, oggi, e in futuro, ci sono sempre state, ci sono e ci saranno, persone maleducate, rozze, cattive, disoneste… . La mia percezione è che allora ciò non fosse così eccessivo. Sarebbe necessario uno studio multidisciplinare per giungere a conclusioni scientifiche in merito.

"Mi preoccupo di cosa ne sarà delle prossime generazioni se saremo ogni giorno meno solidalie riconoscenti, di cosa lasceremo in eredità agli altri, di quale sordida società abbiamo creato con la pigrizia e il conformismo?" Foto: GFJ

Conservo con grande nostalgia il ricordo di Lili, l’assistente didattica della mia scuola elementare ‘Augusto Olivares’, che mi portava a casa sua e mi offriva quel poco che aveva, una bibita, carta e matite per disegnare, o la televisione in bianco e nero per guardare le i cartoni animati in attesa che i miei genitori arrivassero perché lavoravano troppo e lontano; o l’insegnante di scacchi, Andy, quando ero in seconda elementare e mi consolava per aver perso i 20 centesimi delle MTT e poi me li porgeva con immensa dolcezza solo per calmare la mia frustrazione annegata nelle lacrime per aver smarrito la moneta. In entrambi i casi non mi riferisco tanto all’episodio di tenerezza, quanto al fatto che spontaneamente, anziché rimproverarmi, m’incoraggiavano, con docezza e autentica empatia. Sarà che un tempo avevamo più tempo per l’affetto sociale? Tanto per definire quel raro comportamento di affetto disinteressato e tenero, di assistere o fare del bene senza guardare a chi.

Osservo anche che non ho avuto un solo insegnante che abbia urlato parolacce per farsi rispettare, né a me che ero un tozzo di pane, né agli irrequieti Eugenio e Raúl. A quanto pare l’educazione allora era un concetto più integrale. Non ricordo nemmeno un momento di bullismo, detto da una quattrocchi con il monopattino e l’acne, una bambina viziata con le ghette fino all’altezza della vita, quasi di stampo eremitico e socialmente apatica, con tutte le caratteristiche ingiustificabili per lo scherno; ma c’erano anche alti, grassi, magri, neri, mulatti, albini, con i denti grossi, il naso adunco, cioè un mondo variegato come quello di oggi, ma i bambini non sembravano fare caso a queste superficialità. Oggi la storia è diversa, e a cosa sarebbe dovuto? Direi all’educazione, ai modelli imposti, alla riproduzione dei comportamenti acquisiti.

Capisco che a casa, a scuola e persino per strada con i passanti, avevamo acquisito altri contenuti sotto forma di valori che ci hanno avevano fatto imparare come procedere in base al contesto, come rispondere educatamente a un saluto, quando tacere, come fare del bene aiutando gli altri, come essere generosi, come non abusare degli altri né con battute né con azioni. Condannavamo le malefatte, punivamo l’egoismo, premiavamo il valore positivo.

Non ho soluzioni da proporre. Spesso ho discusso con altri e mi sono chiesta come possiamo tornare a essere buoni, solidali, educati, ma non lo so.

Nella caduta a spirale nell’abisso dei valori, mi sembra che ci troviamo in un circolo vizioso da cui è difficile uscirne. Uscire dall’infelicità è sempre stato per me estremamente complesso, soprattutto quando entrano in gioco tanti fattori e l’educazione al bene deve essere alimentata da tutti. Quindi, senza l’esempio dei nostri coetanei, sarà quasi impossibile per noi emulare le buone usanze. Presi dal logorio fa sì che anche noi non ci adeguiamo a ciò che di negativo abbiamo interiorizzato, che smettiamo di preoccuparci di essere ben educati e di tendere la mano agli altri.

Mi preoccupo di cosa ne sarà delle prossime generazioni se saremo ogni giorno meno solidali e riconoscenti, di cosa lasceremo in eredità agli altri, di quale sordida società abbiamo creato con la pigrizia e il conformismo?

Pubblicato in Attualità, Cuba

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