Ecuador, Colombia, Argentina, Cile, Brasile, Perù, Honduras ed Haiti sono i terreni di questa nuova fase della guerra per le giuste aspirazioni dei popoli a vivere in modo dignitoso nella Patria Grande sognata da Simon Bolivar.
21 Ottobre 2019
“Una scintilla può dar fuoco a tutta la prateria” diceva il Presidente Mao, questa citazione può essere senza troppi problemi usata per leggere gli eventi che stanno modificando gli assetti geopolitici dell’America Latina.
La larga noche neoliberal nella quale i servi di Washington vogliono ricacciare i popoli di tutto il continente sembra trovarsi di fronte la rabbiosa reazione della masse popolari.
Ecuador, Colombia, Argentina, Cile, Brasile, Perù, Honduras ed Haiti sono i terreni di questa nuova fase della guerra per le giuste aspirazioni dei popoli a vivere in modo dignitoso nella Patria Grande sognata da Simon Bolivar.
Nel Cile governato dai nipotini di Pinochet l’aumento del prezzo della metro fa esplodere la rabbia popolare che travolge senza pietà l’arroganza di Sebastian Pinera.
In Ecuador il paquetazo neoliberista del traditore Moreno, che ricorda molto lo stesso che le forze oligarchiche tentarono di imporre nel 1989 in Venezuela e che portò ad un massacro senza precedenti, porta in piazza i movimenti degli indios ed ecologista, con alla coda i settori della sinistra rimasti fedeli all’ex presidente Correa.
In Argentina Macri ha ridotto in miseria e sotto il controllo dei falchi del FMI il paese dopo essere salito al potere promettendo stabilità e benessere.
In Brasile Bozo (Bolsonaro), pagliaccio in italiano, come lo chiamano giustamente i suoi oppositori, tra una boutade e l’altra regala il paese a yankee e fazenderos mentre l’Amazzonia brucia per lasciare spazio alle colture adatte alla produzione di biodiesel.
In Colombia una narcodittatura di pochi oligarchi eterodiretti da Washington minaccia di invadere il Venezuela mentre fa strage di indios, sindacalisti, ambientalisti ed ex guerriglieri, a dimostrazione di come in quella realtà le cose si possano ottenere solo sulla punta della baionetta.
In Perù la rivolta popolare mette in discussione un modello estrattivista che impone un ruolo di subalternità neocoloniale all’America Latina che non potrà mai garantire pace, indipendenza e socialismo alle masse.
Honduras e Haiti dimostrano il vero volto della democrazia a stelle e strisce, due dittature antipopolari che si trovano a rispondere alla rabbia popolare che cresce ogni giorno, potendo fare affidamento solamente sul sostegno yankee e dei suoi vassalli regionali.
Questa situazione disastrosa serve ai compagni latinoamericani per porsi una serie di domande su cosa la marea rosada latinoamericana incarnata da statisti come Chávez, Morales, Mujica, Correa, Castro, Kirchner e Lula ha ottenuto.
Per presentarsi nuovamente alla testa della rivolta popolare occorre una profonda autocritica partendo da ciò che siamo riusciti ad ottenere in questo turbolento decennio e dove abbiamo clamorosamente fallito.
Resistono ostinati alla larga noche neoliberal, oltre alla indomita Cuba, il Venezuela, il Nicaragua, la Bolivia, l’Uruguay e il Messico.
Il Venezuela è sicuramente il caso che più ha sconvolto l’opinione pubblica internazionale che per mesi ci ha parlato di un popolo stremato pronto a cacciare armi in pugno questo “narcodittatore” corrotto fino al midollo ormai sostenuto solamente da militari e cubani.
I fatti hanno evidentemente smentito queste previsioni, il pupazzo Guaidó non è stato capace di dare seguito a mesi di annunci nonostante il sostegno di yankee e dei suoi vassalli regionali. Oltre al fallimento, si è scoperto che i narcotrafficanti hanno aiutato il pupazzo Guiad a fare la sponda tra Colombia e Venezuela.
Evidentemente il chavismo è stato capace di imporre un’educazione politica alle masse, ottenendo il loro sostegno, diversamente da Lula in Brasile ad esempio.
Il chavismo ha cercato di mettere seriamente in discussione il modo di produzione capitalista senza ricalcare inutilmente delle politiche desarolliste nate da un compromesso sociale che ha portato ex guerriglieri a stringere la mano ai loro vecchi carnefici.
L’America Latina non ha futuro nel ruolo di esportatore di materie prime, solo con un radicale ripensamento del modello di società promosso può esserci futuro per le forze rivoluzionarie in tutte il continente. I compagni venezuelani lo hanno capito sin da subito e purtroppo i mutamenti geopolitici hanno obbligato ad un veloce ripensamento dei loro piani che sta producendo grandi esempi di abnegazione rivoluzionaria, come l’Ejército Productivo Obrero, o la forza con cui i contadini reclamano la terra per produrre in casa ciò che prima veniva importato a causa della droga petrolifera, la quale da un secolo segna l’idea di sviluppo del paese.
Correa, Lula ma anche lo stesso Morales che si appresta, dopo innegabili e straordinari successi, ad essere riconfermato alla guida del paese, non hanno capito fino in fondo la pericolosità di questo rapporto di dipendenza.
Per questo l’Amazzonia boliviana brucia per far posto a campi da coltivare, in Brasile manca ancora una vera riforma agraria o l’ex presidente Correa si scagliava con forza contro ambientalisti ed indios, gli stessi che oggi guidano la lotta contro il traditore Moreno.
Una volta inquadrati gli evidenti limiti di questa impostazione, partendo anche da autori latinoamericani importanti come Ruy Mauro Marini o Salvador De La Plaza, che vuole l’America Latina ridotta a capitalismo periferico si può partire per una vera controffensiva che ponga al centro dei propri obiettivi la nascita di una Patria Grande disconnessa dal ruolo che gli riserva il sistema-mondo capitalista.
La destra di cui stiamo parlando è becera come chi la sostiene, proclamando stato d’emergenza e legge marziale ci dimostra sempre la sua vera natura.
I Pinera, i Moreno, i Macri o Duque parlando di democrazia e libertà ma hanno in testa solo la libera volpe in libero pollaio del Che.
Dopotutto rappresentano la schifosa ed ipocrita borghesia compradora che quando non riuscì a batterci attraverso le regole della loro democrazia non si fece alcun problema a sostenere i vari Pinochet, Videla, Bordaberry o Somoza.
Aveva ragione il geniale Mario Benedetti quando parlava di quelli come loro e della loro relazione con la democrazia: “Sulla Democrazia ci caco, ma mi serve a guadagnare soldi e allora sono Democratico con tutte le maiuscole che vuoi.”