Venezuela (e non solo), calcoli errati a Ovest

„La carta stampata, quando non è imbottita miseramente di pubblicità, è fotocopia indecente di pseudo narrazioni. La tv è anche peggio. Altro che specchio della realtà come dovrebbero essere gli organi di informazione. Ogni giorno va in onda e in pagina la disinformazione, con qualche modesta eccezione.“ Gianni Lannes, giornalista

HORA DE CAMBIOS

Pubblichiamo sul nostro sito un articolo del direttore del Corriere della Sera, che nonostante certe espressioni soggettive e prive di consistenza fattuale, ma omologate dai mainstream (regimeleader sudamericani postcastristi, governo illiberale), se letto con la dovuta attenzione e attraverso le righe (ma neanche troppo), dimostra come tutta l’informazione finora proposta dai media corporativi su Venezuela e non solo, sia totalmente pretestuosa, irrispettosa dei fatti, ideologica. E soprattutto falsa.
Ci auguriamo che a tale articolo rivelatore ne seguano altri, più incisivi e veritieri che smascherino, una volta per tutte, la grande farsa mediatica che non solo nuoce ai popoli dei paesi invisi dalla Grande finanza e dalla burguesia compradora, ma soprattutto alla dignità umana.

Faziosità, la causa oscura della crisi della stampa - La Nuova Bussola Quotidiana

Il ruolo strategico della menzogna, della confusione, della disinformazione può avere effetti devastanti. Le verità tardive, le incongruenze e le smentite provate dagli eventi, lasciano quasi sempre il tempo che trovano, non mutano gli stati d’animo collettivi così come non li mutano neppure i rapporti internazionali, redatti da commissioni internazionali che si recano sul posto per attingere dati informativi obiettivi.
Ai fini di poter controllare le menti e creare pensiero unico i media (occidentali) si muovono in branchi, come pecore in gregge; non possono spostarsi separatamente. Per questo, su tutto ciò che viene riportato, leggiamo e ascoltiamo gli stessi resoconti, le stesse notizie.

Davanti all’attuale scenario mediatico non ci resta altro che diventare instancabili informatori senza mai mentire, pur coscienti (sic!) che un informatore che non dà mai un’informazione falsa risulta troppo anomalo perché ci si possa fidare di lui. Ma solo agendo così eviteremo che una  una bugia ripetuta cento, mille, un milione di volte diventi una verità.

Federico Jauch, Redazione ASC-TI

Venezuela (e non solo), calcoli errati a Ovest
di Paolo Mieli
Corriere della Sera
20 giugno 2020

Si può tranquillamente continuare a ritenere che il modo con il quale Nicolás Maduro e altri leader sudamericani postcastristi governano i loro Paesi sia fortemente illiberale senza sentirsi poi vincolati a trarne la conseguenza che chi li sostiene, in patria o nel resto del mondo, sia necessariamente al soldo del regime di Caracas. La comunità italiana in Venezuela è assai ostile a Maduro e con essa buona parte della popolazione.

Ma dobbiamo constatare che c’è un’altra parte di popolo venezuelano, probabilmente maggioritaria, che invece è schierata con il governo. Il che dovrebbe indurci non tanto a cambiare opinione su Maduro, quanto piuttosto a riflettere meglio su cosa augurarci per sperare in un virtuoso cambio di regime.

E qui ci vediamo costretti ad ammettere che le politiche antichaviste messe in campo dagli Stati Uniti, dall’Europa (quasi per intero), vale a dire di quello che ai tempi della guerra fredda definivamo Occidente, sono state improvvide. Sempre. Il colonnello Hugo Chávez, dopo aver fallito un colpo di Stato nel 1992 (e aver trascorso due anni in prigione), alla fine del secolo scorso era andato al potere in seguito a elezioni abbastanza regolari. Si era poi applicato alla costruzione di un suo modello bolivariano finché nell’aprile 2002 era stato deposto da un golpe ordito da Pedro Carmona Estanga, con l’appoggio degli Stati Uniti. In quei giorni Chávez fu deportato nell’isola di La Orchila dove lo raggiunse il vescovo di Caracas Antonio Ignacio Velasco García per convincerlo a rinunciare «spontaneamente» al potere. Ma, proprio mentre l’alto prelato si trovava a colloquio con Chávez, imponenti manifestazioni in sostegno del leader spodestato avevano convinto Estanga a gettare la spugna. Talché l’uomo che si proclamava erede di Simón Bolívar tornò alla guida del Paese con un prestigio molto accresciuto che ne avrebbe fatto un leader indiscusso. Fino a quando morì (di cancro, nel 2013).

Gli successe Maduro che, non avendo potuto ricevere in eredità l’autorevolezza del predecessore, navigava tra le difficoltà riconducibili al suo modello politico e all’ostilità dei Paesi Occidentali. Nel frattempo era cresciuta un’opposizione che, pur tra molti impedimenti, aveva saputo imporsi anche sotto il profilo elettorale. Maduro aveva reagito varando un modello eccessivamente innovativo sotto il profilo della democrazia rappresentativa. Uno stallo. Poi le contestate elezioni presidenziali del 2018. Il 23 gennaio del 2019 il presidente dell’Assemblea nazionale Juan Guaidò, leader dell’ opposizione, si proclamò presidente pro tempore con l’intenzione di deporre Maduro e indire nuove elezioni. Guaidó ricevette immediatamente il riconoscimento degli Stati Uniti e di quasi tutta l’Europa. Ma non del nostro Paese che (su iniziativa grillina) si tenne neutrale. Né della Chiesa che, stavolta, lasciò ad esporsi il cardinale americano Sean Patrick O’Malley il quale in un’intervista a questo giornale disse che solo Guaidò avrebbe potuto scongiurare la guerra civile.

Ma la guerra civile non ci fu. E Maduro forte di un evidente sostegno di parte della popolazione restò al suo posto. Malgrado le sanzioni imposte al Venezuela. Nelle settimane successive al pronunciamento di gennaio Guaidò annunciò di essere appoggiato dai militari, riuscì a liberare dagli arresti domiciliari Leopoldo Lopez, leader dell’opposizione prima di lui, viaggiò in Europa e, di ritorno dall’estero, poté tranquillamente rientrare nel suo Paese. Recentemente il procuratore generale del Venezuela lo ha accusato di aver reclutato mercenari (ne sono stati arrestati quarantacinque, tra i quali due cittadini statunitensi). Poi il ministro degli Esteri, Jorge Arreaza, ha raccontato che Guaidò e i suoi avevano trovato rifugio nell’ambasciata di Francia provocando sdegnati dinieghi da parte dell’ambasciatore. Che dire? Pur mantenendo intatte le perplessità sul regime di Maduro, dobbiamo ammettere che sarebbe improprio definirlo una «dittatura». Quanto a Guaidò, va aggiunto che la sua autoproclamazione a presidente di un anno e mezzo fa era quantomeno basata su un calcolo errato della disposizione delle forze in campo.

Resterebbe da fare qualche considerazione sulle scelte di politica internazionale degli Stati Uniti, dell’Europa, dell’Occidente. Il bilancio di «noi occidentali» (e da qui usiamo di proposito le virgolette) non è esaltante. In pratica è dalla Seconda guerra mondiale – quando «riuscimmo» a dar vita a sistemi democratici nei tre Paesi sconfitti (Germania Ovest, Italia, Giappone) – che non se n’è più azzeccata una. Le intenzioni delle «nostre» scelte talvolta erano ottime. Ma i risultati non sono stati mai all’altezza delle attese. Anzi. Ai tempi della guerra fredda «aiutammo» a nascere regimi dispotici fino all’imbarazzante caso del Cile (1973). Nei migliori dei casi, come per la guerra di Corea (1950-53) alla fine si tornò al punto di partenza. Nei peggiori, Vietnam (1961-75), ci siamo lasciati alle spalle dittature di coloro contro i quali «avevamo combattuto». Caduto il muro di Berlino, abbiamo elaborato la dottrina dell’«esportazione della democrazia» e «ci siamo applicati» ai Paesi arabi con risultati sconfortanti. In generale caos (Somalia, Iraq, Siria, Libia). Oppure consolidamento di satrapie preesistenti. Nel caso di guerre civili, come quella libica, «abbiamo parteggiato» ora per il legittimo Serraj ora per il suo rivale Haftar con imbarazzante disinvoltura. Potremmo rincuorarci sostenendo che la categoria di «noi occidentali» non esiste e che sarebbe più corretto procedere a un esame caso per caso. Con i dovuti distinguo. Vero: per quel che riguarda la contesa venezuelana, ad esempio, l’Italia si è tenuta in disparte. E si è rivelata, la nostra, una scelta saggia. Ma, a ben riflettere, non è una grande consolazione.

 


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