Cuba 26 Luglio 1953: le donne del Moncada

Melba Hernández Rodríguez del Rey y Haydée Santamaría Cuadrado

La storia di Cuba è colma di imprese di donne coraggiose come Haydée e Melba. Esse s’incontrarono nel 1952 e da allora rimasero unite dall’infinito desiderio di una Cuba libera. Parteciparono ai preparativi per le azioni del 26 luglio e quando arrivò il momento dell’assalto continuarono a combattere. Furono incarcerate e torturate, ma non si arresero mai.

a cura di GFJ
25 luglio 2023

Fidel Castro con Haydée e Melba

Una volta tornate in libertà, si occuparono di diffondere gli scritti che Fidel Castro aveva redatto dalla prigione. Fidel scriveva con il succo di limone al posto dell’inchiostro su qualsiasi carta su cui potesse mettere le mani. Poi le due donne trasferivano e stiravano segretamente gli appunti in modo che potessero essere riscritti e distribuiti in tutto il Paese.

Dall’esilio, nella Sierra, quando la Rivoluzione trionfava… queste donne audaci vissero per difendere Cuba.

Marta Rojas, la cronista del Moncada. Foto: Revista Mujeres

Melba Hernández Rodríguez del Rey e Haydée Santamaría Cuadrado furono le uniche due donne che parteciparono all’assalto alla caserma Moncada il 26 luglio 1953. Erano responsabili della logistica della fattoria dove erano concentrati gli insorti, si occupavano delle uniformi e collaboravano come infermiere.

Vennero arrestate e torturate. Gli aguzzini dell’esercito del dittatore Fulgencio Batista cercarono di far cedere Haydée mostrandole un occhio umano insanguinato e le dissero:
Questo è di tuo fratello Abel Santamaría, se non dici quello che lui non voleva dire, gli strappiamo l’altro” (…), poi, pieni di disprezzo, dissero ancora alla giovane Haydée Santamaría:

Non hai più un fidanzato perché abbiamo ucciso anche lui” (1).  E lei rispose di nuovo, imperturbabile: “Non è morto, perché morire per la patria è vivere“.

Mai il nome della donna cubana è stato collocato in un posto così alto di eroismo e dignità“. (2).

Qualche anno dopo, Melba, Haydée e molte altre donne, diventate guerrigliere, fondarono il Plotone Mariana Grajales nella Sierra Maestra, nel quale si sarebbero distinte, tra le altre, Celia Sánchez e Vilma Espín. Tutte loro daranno il meglio di sé per la liberazione definitiva di Cuba e per il consolidamento di una rivoluzione socialista che ha ormai compiuto i suoi primi 64 anni.

Dipinto di Servando Cabrera Moreno, La Habana, 1975

Ripercorrendo la storia di Cuba, il lettore riconoscerà il ruolo di primo piano svolto dalle donne negli sforzi di emancipazione dell’isola, e troverà nomi come Amalia Simoni, moglie del maggiore generale filo-indipendentista Ignacio Agramonte y Loynaz; Paulina Hernández y Hernández, manumisa (3) nera di origine carabalí (4), la “Madre nera” di  José Martí; Mariana Grajales, madre dei fratelli Maceo – indispensabili combattenti per l’indipendenza – considerata anche Madre della Patria.

Paulina Hernández y Hernández, patriota cubana conosciuta durante l’emigrazione rivoluzionaria come Paulina Pedroso, nacque a Consolación del Sur (Pinar del Río) il 15 gennaio 1839. Morì il 21 maggio 1913, in una modesta casa dell’Avana. Nonostante ci fossero solo due anni di differenza di età tra lei e l’Apostolo, questa donna, dimenticata nei labirinti della storia, fu come una madre per José Martí.

 

Note:

(1)- Nell’attacco alla Caserma Moncada, oltre a perdere il fratello Abel, comandante in seconda dell’azione guidata da Fidel Castro, morì il fidanzato Boris Luis Santacoloma.

(2)- Fidel Castro in “La storia mi assolverà”.

(3)- ex schiava che raggiunse la condizione di donna libera.

(4)- Detto di una persona di pelle molto nera, originaria della regione africana della costa di Calabar.

Pubblicato in Attualità, Cuba, Cultura

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