Dall’Ucraina alla Colombia: Bianchezza e razzismo senza frontiere

Due eventi apparentemente distanti e scollegati in due parti del mondo sono rivelatori del razzismo che prevale nelle società di oggi ed è caratteristico del “nuovo-vecchio spirito del capitalismo“. Questi eventi hanno luogo in Ucraina e in Colombia.

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Fonte: Rebelion.org
Traduzione e aggiunte: GFJ

Il doppio standard razzista dei media

Due eventi apparentemente lontani e scollegati in due parti del mondo sono rivelatori del razzismo che prevale nelle società di oggi e che è caratteristico del “nuovo-vecchio spirito del capitalismo“. Questi eventi hanno luogo in Ucraina e in Colombia.
Nel primo paese menzionato, il trattamento razzista e discriminatorio in base al colore della pelle di coloro che fuggono dall’Ucraina non è nemmeno stato occultato, poiché in Polonia, i rifugiati bianchi, biondi e con gli occhi azzurri sono accolti, mentre quelli che non hanno tali caratteristiche fenotipiche e soprattutto se il loro colore della pelle è nero sono ricacciati indietro.
Nel frattempo, in Colombia, Paola Ochoa, una giornalista che è stata una pre-candidata vice-presidenziale di breve durata di un portavoce di estrema destra, è andata in un programma radiofonico a parlare di sciocchezze e stupidaggini su Francia Márquez, designata come candidata vice-presidenziale dal Patto Storico, la quale viene insultata e offesa per la sua doppia condizione di donna di umili origini, per non essere dello “strato sei” e per il colore nero della sua pelle. Sulla stessa linea, le dichiarazioni di Marbelle, una cantante di musica “arrabalera”, sono impregnate da esacerbate manifestazioni di razzismo e disprezzo per Francia Marqués.

Colombia: gli "strati" della vergogna (Nella foto una casa dello "strato" 1). In Colombia, la classe sociale si misura per strati. Essi identificano gli alloggi dalla qualità più bassa a quella più alta e definiscono chi sei, più di ogni altra cosa. Il sistema è stato creato per fornire una serie di benefici sociali ai più svantaggiati, ma è diventato una struttura di casta.

Sono due eventi che rivelano il razzismo dominante nel mondo di oggi e le sue manifestazioni su scala planetaria. Quello che succede è che questo razzismo quotidiano e strutturale, radicato nel tessuto sociale e convertito in una delle bandiere politiche dell’estrema destra mondiale, mostra il suo vero carattere nei momenti critici, come una guerra o una campagna elettorale in cui per la prima volta viene scelto un candidato che non porta i tratti della bianchezza.

È necessario innanzi tutto chiarire che lo studio della bianchezza, ossia di ciò che possiamo definire la condizione sociale di bianco così come si delinea a seconda dei contesti etnografici, deve essere inteso non come lo studio di un elemento sociale in sé, di una cosa, ma piuttosto come lo studio di un processo storico e culturale. Con “bianco” s’intende indicare una posizione in una struttura sociale razzializzata, ossia in una struttura marcata dal razzismo, e non un dato di per sé auto-evidente, come siamo abituati a pensare. “Bianco”, così come lo intendiamo noi, è un’etichetta che non ha alcun significato fuori da un sistema sociale in cui le categorie razziali influenzano l’accesso alle risorse sociali, politiche ed economiche, e in assenza di altre identità
sociali costruite come quella di nero, indigeno, asiatico. L’approccio adottato dalla maggior parte degli studi sulla bianchezza parte dall’idea che la categoria di bianco non esista di per sé, ma nella sua relazione storica e sociale con le altre categorie cosìddette “razziali” (nero/indigeno/asiatico, ecc.).

La bianchezza è il concetto che dovrebbe essere usato per riferirsi al razzismo realmente esistente. Non significa avere il colore della pelle bianca, è qualcosa di più profondo e interiore: significa che una persona o una data comunità si comporta con criteri di autoproclamata superiorità di radice eurocentrica e supposta universale, non solo per il candore della pelle, ma perché quel candore incarna a sua volta l’individualismo di chi ha successo e di chi ha successo nel nuovo ordine mondiale capitalista – che oggi si sta disfacendo come acqua tra le dita – impiantato tre decenni fa. La bianchezza proclama come modello l’American Way of Life uscito trionfante dalla guerra fredda e i cui tratti distintivi sono il successo, il profitto, la fama individuale, il culto del mercato e del dio consumatore, l’egoismo, la competizione esaltata come condizione naturale degli esseri umani, e la violenza contro i perdenti e gli “inferiori“.

Lo svizzero Guy Mettan, autore del libro “Russofobia. Mille anni di diffidenza” sostiene che:La Russofobia occidentale è debole quando la Russia è debole, forte quando la Russia è forte. È infatti direttamente proporzionale alla potenza della Russia e al suo peso geopolitico.

In questa logica, la ricchezza è associata alla bianchezza, al progresso, all’alta modernità, alla sofisticazione e alla superiorità, mentre la povertà è legata al nero, all’arretratezza, al mondo esotico, barbaro e inferiore. Per i bianchi, i poveri e i diseredati puzzano e sono un fastidio, e ancora di più, naturalmente, se sono di “razze scure“, anche se oggi è il caso che i russi – il cui colore della pelle è bianco – stanno sopportando un rinnovato razzismo, perché, pur vivendo in una società capitalista, come la Russia oggi, questo paese è considerato un ospite indesiderato nel nuovo disordine mondiale, egemonizzato dagli Stati Uniti. Quindi, la russofobia oggi è l’espressione del vecchio razzismo in una nuova veste, dove si chiede l’eliminazione dei russi a causa della loro origine nazionale e nella metropolitana di Londra ci sono adesivi, per niente divertenti, che dicono che “L’unico russo buono è il russo morto“, una massima che non è originale, poiché era già stata annunciata da Theodore Roosevelt, per giustificare l’etnocidio negli Stati Uniti alla fine del XIX secolo, quando affermò che “l’unico indiano buono è l’indiano morto“. In questo caso particolare, i russi sono discriminati in nome della pura bianchezza, per così dire.

La russofobia è insita nella storia e nella cultura occidentale, negli infondati luoghi comuni (clikka e leggi tutto)

Dagli anti-valori di cui sopra, interiorizzati in gran parte del mondo e da gran parte del mondo – compresi, naturalmente, anche molti poveri e non bianchi – la bianchezza è stata imposta come norma, pratica e comportamento, il suo simbolo per eccellenza, degradante com’è, è quello di Michael Jackson, un chiaro esempio della mentalità colonizzata che Frantz Fanon chiamava “pelle nera, maschere bianche“.

Negli Stati Uniti la russofobia ha inizio all’inizio del novecento. In risposta alla rivoluzione bolscevica, gli Stati Uniti si rifiutarono di riconoscere l’Unione Sovietica dal 1917 al 1933. Fu durante questi anni che gruppi come l’American Relief Administration e molte organizzazioni religiose si adoperarono per promuovere sentimenti anti-russi tra la popolazione.

Quelli che, pur non avendo la pelle bianca, sono accolti nel seno della bianchezza sono coloro che assumono gli anti-valori del successo e della mercificazione, come dimostrano le star dello spettacolo o del calcio dalla pelle nera, ma coperti dalla bianchezza dalla testa ai piedi: sono la chiara espressione del consumismo, dell’edonismo, dell’egoismo, del culto della ricchezza, dell’ostentazione, dell’individualismo e, politicamente, naturalmente, sono difensori incondizionati del capitalismo.

Ma all’interno della bianchezza questi sono casi eccezionali e ammessi perché condividono le logiche di disuguaglianza inerenti al capitalismo che esiste realmente ovunque sia stato attuato. Per le maggioranze sociali, incarnate dai migranti neri che arrivano in Europa, oppure per la candidata Francia Márquez in Colombia, il bianco non è un segno di ascesa sociale, ma una forma brutale di oppressione e di persecuzione. Prova del razzismo dominante quale componente centrale, anche se cercano di nasconderlo, del nuovo disordine mondiale capitalista che si è imposto dopo la caduta del muro di Berlino, perché il bianco è un altro modo di proclamare la fine della storia. Vale a dire, in una dubbia equazione in cui la somma di capitalismo (mercato), democrazia parlamentare e bianchezza sigillano la chiusura della storia. È l’estasi trionfale del capitalismo all’americana, con il Dio Mercato al timone, i bianchi anglosassoni come superiori e una democrazia a bassa intensità dove si adattano solo i vincitori e i realizzatori, che, per definizione assiomatica, sono i rappresentanti esaltati della bianchezza.

"Qualsiasi donna si vedrebbe molto 'strato sei' al lato di Francia Marquez". Paola Ochoa

La bianchezza implica che, in un mondo dipendente e coloniale, come in Colombia, alcuni proclamano la loro grandezza a causa di presunti tratti razziali superiori e questo li porta a disprezzare i poveri, i neri, gli indigeni, gli abitanti dei quartieri poveri, i migranti venezuelani o i colombiani che sono tornati dal Venezuela. E lo dicono con tutta l’impudenza e l’impunità del caso, come fa quella giornalista che pretende di essere superiore, Paola Ochoa. Ma molti di coloro che squalificano i poveri colombiani e i venezuelani comuni sono le stesse persone che, quando arrivano negli Stati Uniti, vengono espulse e subiscono discriminazioni. Questo indica che la bianchezza non può nascondere la reale disuguaglianza che caratterizza il capitalismo e l’imperialismo, dove c’è una gradazione, in cui alcuni, alla lunga, finiscono per essere più bianchi degli altri, e quelli sono, senza dubbio, i potenti, i dominanti, i vincitori nel mercato capitalista.

Questo è esemplificato in Colombia dalla cantante Maureen Belky Ramírez Cardona, conosciuta come Marbelle. Questa donna è la chiara rappresentazione della bianchezza dominante, perché non è esattamente un modello di bellezza bianca; le sue caratteristiche fisiognomiche sono l’opposto, essendo di bassa statura e di corporatura robusta, che sono comunemente disprezzate. Per questo, oltre ad essere la regina della “carrilera” (per il genere musicale che diffonde), è anche la “regina del bisturi” se si tiene conto che il suo corpo ha sopportato decine di operazioni e interventi plastici con l’inutile intenzione di trasformarsi in una donna bianca pura. La sua stessa madre è persino morta durante un intervento di chirurgia plastica. Per quanto Marbelle abbia voluto sbiancarsi razzialmente, non è stata in grado di farlo perché ci sono cose in natura che non possono essere modificate, non importa a quanta chirurgia plastica ci si sottoponga.

Il suo pubblico è di origine umile e popolare per il tipo di canzoni che esegue e, contrariamente alla sua base musicale cittadina e alla sua configurazione anatomica, Marbelle è la portatrice del candore, del successo, di coloro che sono convinti di essere superiori al resto dei comuni mortali, perché non fanno parte del mondo ridotto dei vincitori del capitalismo realmente esistente. Marbelle mostra la sua ignoranza, la sua bassezza, il suo classismo e il suo razzismo come se fossero caratteristiche meritorie di cui può essere fiera. E nelle ultime settimane ha lanciato una volgare campagna razzista contro Francia Márquez, che ha chiamato “King Kong” e Gustavo Petro “Cacas”. Lo ha ripetuto quasi quotidianamente sulle sue reti antisociali, aggiungendo che King Kong sta per salire nell’edificio Colpatria e che a causa del suo aspetto fisico (un’umile donna nera) “sono disgustata da Francia” e come buona padrona l’ha mandata a preparare degli uova strapazzate (riferendosi al trattamento che una “buona donna colombiana” riserva alla sua domestica). E in un altro Twitter ha detto che Petro e Francia Márquez sono una “coppia di mostri”.

Francia Márquez e Marbelle.

Marbelle è il grado zero della bianchezza, perché esprime gli anti-valori del capitalismo trionfante e con essi vuole schiacciare, e far sparire, quelli che considera inferiori, un’inferiorità che unisce classismo e razzismo che è diventato il metro con cui determinare chi è umano e chi no, e naturalmente, umano è bianco, occidentale, ricco, potente, famoso… mentre subumano è chiunque non rientri in nessuno di questi criteri. Non dobbiamo stupirci in questo senso del linguaggio sprezzante usato oggi contro i neri, i poveri, i migranti indesiderati (la maggior parte), i russi… tutti etichettati come animali, parassiti, mostri e simili, indicando chiaramente il razzismo endemico della bianchezza prevalente del disordine capitalista globale.

Quando questo disordine capitalista è in uno stato di collasso da tutte le parti, la paura dei potenti e dei dominanti si manifesta attraverso il razzismo, dove la bianchezza si esprime con tutte le sue miserie, come succede da decenni in tutta Europa, ma la guerra in Ucraina lo rende pateticamente attuale ed evidente. Non è sorprendente, in questo senso, che i portavoce di Vox in Spagna lo dicano senza clamore: gli ucraini bianchi sono rifugiati che devono essere accolti, gli africani che arrivano in Europa sono invasori che devono essere espulsi con violenza dal suolo europeo. Nel frattempo, in Colombia questa paura di classe si è manifestata chiaramente nello Sciopero Nazionale, quando i buoni colombiani andarono a uccidere con le loro stesse braccia e mani, insieme alla polizia, i neri, gli indiani e i poveri che fecero quello sciopero,  e oggi quell’odio e quella paura, tipici della bianchezza endemica delle nostre classi dirigenti, vengono alla ribalta quando una donna umile, dignitosa e combattiva emerge come una figura con radici nazionali, che l’ha portata – e questo non è stato un regalo – ad essere candidata alla vicepresidenza dopo aver ottenuto quasi un milione di voti.


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